lunedì 7 maggio 2018

fatevi i gatti vostri n. 946" Canto alla briga: miseria e nobiltà" seconda puntata audioracconto by Dante

Boia dé
pensavo d' esse l' unico bischero in piedi a sta ora, a parte Holly ch' è digià in barca da un pezzetto. E invece Zanzina resulta attiva al barre, Patty all' aeroporto pronta a inparigiassi e il Ciampi anche se un lo so esattamente immagino che  sará mezzo gnudo invortolato nell' eskimo (tanto pe insaporillo) a aspettare che gli tocchi il su caffè  del mattino. Io ho una giornata bella piena. Un lavoro di saldatura  su una vecchia antana di una signora che sta a Cannaregio, roba da guadagnacci la mezza giornata ma spenzolandosi su un terrazzino cadente. La voro semplice, se un fosse a Venezia. Inutile andacci in barca e far perdere tempo a Holly ma una bella fatica a portassi  la saldatrice e gli arnesi col carrettino su e giú per i ponti. Va bene va prepariamoci.
Intanto ecco qui la seconda puntata del mi audioracconto. 
Bona Giornata
Dante




Qui sotto trovate  l'audioracconto in forma scritta con corredo di foto in riferimento a quanto narrato.
 
Io  avevo subito trovato da lavorare in via de Macci da un rigattiere napoletano noto a tutti come Don Peppino, la foto del fondo l'ho ritrovata ma è chiuso chissà cosa ci sarà ora.

Tornavo a casa una volta al mese e qualche volta neppure, di solito fuggivo a Livorno quando il mio datore di lavoro, con fare principesco, mi  allungava una cinquemila lira in più (la mia paga era di 4000 al giorno) dicendomi: 
"Dantì rimane (domani) nun tengo voglia e faticà vattenne a casa." (domani non mi fa voglia di lavorare vai pure a casa).
Peppino mi trattava con la condiscendenza dovuto all' essermi maggiore di quasi 35 anni  ma anche con estremo rispetto.  Lui che al secolo portava un cognome assai nobile quello dei Ceva Grimaldi  di Napoli non  poteva più guidare l'Ape 150 con la quale si facevano ritiri e consegne perché gli avevano ritirato la patente. Così guidavo io e lui sedeva a fianco a me. A un controllo nel quale dovetti esibire la mia patente vide  che mi chiamavo Dante Davini Diversi. Io lo conoscevo come Don Peppino e lui come Dante, nessuno sapeva il cognome dell'altro  e figuraiamoci se tra noi potevano esser corsi fogli di carta scritta tipo  un contratto di lavoro. Appena se ne furono andati i vigili mi disse: 
"Aggio visto il nome vostro Dantì (per la prima volta usò il Voi)  tenete antenati e sangue bblu?"
E io risposi:
"Eh  sì, a casa abbiamo  una forchetta e un cucchiaio d'argento con gli stemmi e due quadretti con i medesimi dipinti  tutto quello che a noi è rimasto dell' antica famiglia del nonno del nonno del nonno del mi nonno.
Don Peppino rise e si presentò come 
Giuseppe Giulio Antonio  Ceva Grimaldi 



 Ceva Grimaldi di Napoli

aggiungendo:
" Nun sò e  rinari ca fanno l' omme! E' si n' coppa a isso sta o stilo! E tenimmo cchiù stilo nuje in un unghia e piede ca sti  fetentoni in tutta la persona  soja." Traduco il napoletano che capisco molto bene ma storpio orribilmente "Non sono i denari che fanno un Uomo è lo stile che emana da lui e abbiamo più stile noi in un unghia del piede che questi "fetentoni" in tutta la persona" riferendosi con fetentoni ai molti parvenù che si  vedevano in giro a darsi un sacco d'arie.
L'altra figura che ricordo con affetto è una donna. Si chiamava Sofia Irene ma noi si chiamava solo Irene. La famiglia di lei, oltre i doppi cognomi, conservava ancora ingenti proprietà terriere e perfino un  paio di palazzi nobiliari di là dall' appennino dove anche lei era nata e di cui conservava la calata e una "esse" inconfondibile. L'
 antica e blasonata famiglia, dapprima, aveva sopportato tutte le sue intemperanze giovanili, tra le quali spiccava la distruzione del matrimonio della sorella maggiore, che l'aveva trovata, appena diciassettenne, a letto col marito. L' avevano spedita a Firenze da una cugina con la speranza che studiasse. Lì aveva conosciuto cocaina e  feste ma, per sostenere la vita brillante che faceva, non bastava il pur lauto appannaggio che le passava la famiglia pur di togliersela dalle palle. Cosí aveva sottratto, falsificato e incassato assegni della parente, che la ospitava, per circa 5 milioni che al tempo erano una bella sommetta. La famiglia indennizzó e le prese un elegante monolocale in affitto. Quando però l' avìto nome fu infangato dal processo e dal carcere cui Irene, fu condannata per aver partecipato,ormai maggiorenne, come autista a una rapina in una gioielleria, non ne poterono più  ed operarono un disconoscimento di fatto. C'erano voluti degli anni in cui Irene era stata ragazza madre, escort d'alto bordo, eintraineuse nei night, ragazza squillo per portarla al livello semplice e triste di  puttana da strada. Quando la conoscemmo batteva sul viale Gramsci
in fondo a via dell' Agnolo. 

Abitava al primo piano della nostra casa e, per fortuna o per miracolo, era uscita da tempo dal tunnel della droga. Era stato possibile perché suo figlio era l'unica cosa che avesse e meritava una mamma che fosse in sé colla testa. Lo aveva messo in un collegio convitto prestigioso che costava un occhio ma diceva sempre: "Ah mo un giorno glielo port sai su a Bologna e devono sgranarli gli occhi i miei a veder quella sciagurata dell'Irene che principino che ha tirato su". Era una donna di gran cuore l'Irene  e ogni volta che eravamo in bolletta ci salvava pagandoci le bollette della luce e del gas. Aveva credo, una ventina d'anni più di me e Dino  ma era ancora assai piacente e nelle  notti d'estate,  quando si preparavano gli esami, non c'era bisogno di prendere il plegine o il deadyn per stare svegli, al piano di sotto era tutto un via vai di clienti e verso le 4 di mattina, spesso, mi sentivo bussà alla porta. Accadeva di solito quando ero solo perché, almeno credo, Irene di Dino si vergognava un po'.
"Dante? Dante? Ci sei?"  Aprivo ed era lei cogli occhi bluastri come un pugile che n'ha prese un sacco e na sporta.
"Ho visto la luce e allora sai, ho pensato che eri alzato a studiare. Ho portato le briosce appena fatte dal fornaio, mo metti su un po' di caffé bono dai!" 

 Io caricavo la moca da sei e riempivo di caffé bollente  du bicchieri di vetro da acqua. Le briosce inzuppate erano come un tonico per me  dopo quelle ore di studio e quel caffè, in una situazione così umana, doveva essere un tonico per la su anima che in un corpo sconquassato da tutto quel lavorìo notturno di certo agognava un pochina di normalità.
Quando la mi mamma venne a Firenze e la vide pelle scale vestita, anzi mezza gnuda, come se dovesse andare al lavoro, si turbò un po' e mi disse:

 "dio bonino Dante o in che popò di casino ti se' venuto a infilare?"
"No tranquilla mamma- le risposi-  lei è l' Irene e, a parte il mestieraccio che fa, è la meglio ragazza di questo mondo"
 E la mi mamma che, per arrivare alla porta di casa mia, era passata davanti al Barre dele Batacchi sula cantonata tra via dell' Agnolo e Borgo Allegri, dove stazionavano 3 o 4 travestiti colla barba che cominciava a intravedeglisi sotto a du dita  fondotinta, mi rispose colla su solita filosofia che le permetteva, da sempre di non sconvolgesi di nulla
Ah Irene eh.. .meno male! Per lo meno  un è un omo!"

4 commenti:

  1. Durante la colazione ho ascoltato e letto con piacere questo piacevolissimo racconto il cui sottotitolo, mutuato da un celebre film, è quanto mai azzeccato. Ritrovo in esso il Dante che all' unisono sa essere scrittore, narratore, pittore, sceneggiatore. Tali doti le ha, per esempio, un Andrea Camilleri ma non certo ogni persona che si accinge a scrivere per un pubblico.
    La nobiltà dichiarata dal blasone qui viene messa a confronto con la nobiltà dell' animo esprimendo una morale senza moralismo. Il racconto si presta a molti livelli di lettura, possedendo altrettanti livelli di profondità ma, quandanche ne si volesse considerare unicamente l'affresco raffigurante uno spaccato di umanità, mi permetto di richiamare l'attenzione solo sull' estrema efficacia di alcune tra le molte immagini presentate:
    "...aveva gli occhi bluastri come un pugile che ne ha prese un sacco e una sporta.."
    "...un corpo sconquassato da tutto quel lavorìo notturno di certo agognava un pochina di normalità..."
    "..colla barba che cominciava a intravederglisi sotto a du dita fondotinta.."

    Complimenti Dante! In dieci anni la tua verve letteraria non ha subito flessioni.

    Giovanni Martinelli


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  2. Un commento parigino. Meno male che ci ha pensato il prof. Martinelli a sviscerare tutto questo en di Dio di riferimenti e livelli di lettura. Me lo sono proprio goduta questo racconto durante una mezz'ora di riposo tra gli impegni. La voce di Dante mi rilassa, mi trasporta lontano ma non mi addormenta mai. Bravo
    Un abbraccio
    Patty

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  3. Io dal cellulare non so loggarmi, perdonate l'anonimato.
    Il prof. Martinelli con un commento da vero critico letterario ci ha tolto ogni imbarazzo. In effetti c'era il rischio di non cogliere qualcosa, con tanti aspetti e tante possibili letture di questo bellissimo post.
    I miei complimenti
    Anna Ferrari

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  4. E io, che non ho una sola goccia di sangue nobile nelle vene ma ho frugato per lavoro in un sacco di archivi di nobili famiglie, ammiro il doppio blasone di Dante ma soprattutto plaudo alla classe davvero ammirevole di sua madre (che mi ricorda un po' quella della mia ☺️)

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