venerdì 31 luglio 2020

fatevi i gatti vostri 1562 " un caso ancora da risolvere"

Trama:

 
Nel novembre del 1963 il Presidente degli Stati Uniti John Kennedy muore sotto i colpi di un cecchino mentre percorre, a bordo di un auto scoperta, una via di Dallas. Dell omicidio viene accusato Lee Harvey Oswald che poi viene quasi subito ucciso da un malvivente di nome Jack Ruby. L impressione che l attentato lascia nel paese è enorme, ma per quel che riguarda le indagini il caso sembra proprio chiuso. Non è così per Jim Garrison, procuratore distrettuale di New Orleans, che s intestardisce a cercare la verità, continua le sue ricerche e alla fine arriva ad una conclusione sorprendente. Un complotto della Cia, in accordo con i boss dell industria bellica, sarebbe stato all origine dell attentato.

nel palco "film disponibili" abbiamo recuperato "camera con vista" e "come un gatto in tangenziale" 
Buona Giornata
Dani

giovedì 30 luglio 2020

fatevi i gatti vostri n. 1561 "Un pezzo da collezione!!!"

Non è sfuggito alla nostra cara prof. Murasaki il pezzo da collezione che si celava all' interno della lettara J
eccone la recensione insieme all' augurio di buona giornata. Sto anche recuperando alcuni titoli che erano sfuggiti all' attenzione dei nostri cinefili e che ci sono stati richiesti. Come sapete potete richiederci anche un titolo comparso alla lettera A. Ci vuole solo un po' di pazienza ma lo recuperiamo e lo reinseriamo in cineteca nel palco "Disponibili" 
Bobby




Locandina Jesus Christ Superstar






 
 
 
 
  
Jesus Christ Superstar, scritto da Andrew Webber (autore delle musiche) e da Tim Rice (autore delle parole) è, forse, la più famosa "opera rock" mai rappresentata. Nato come album e poi come musical, di successo immediato e planetario, racconta le vicende che caratterizzarono gli ultimi sette giorni della vita di Gesù Cristo, dal suo ingresso in Gerusalemme fino alla Crocifissione. In esso vi dominano tre figure: Gesù Cristo, che sembra una star del rock ormai in declino e abbandonata dai suoi stessi seguaci, Maria Maddalena, attraente e ambigua, e infine Giuda, il traditore, qui rappresentato come una sorta di vittima costretto suo malgrado a portare fino in fondo il tradimento del suo maestro. Norman Jewison iniziò a girare in Israele il film, per cui erano stati stanziati ben 3,6 milioni di dollari. Webber e Rice volarono in Terra Santa, ma quando si resero conto che il regista non prendeva in nessuna considerazione il loro punto di vista, persero interesse al film. Jewison stava lavorando con lo scrittore e sceneggiatore Melvyn Bragg, che tra l'altro aveva lavorato ai film di tema epico diretti da Cecil B. De Mille. Fu scritturato nuovamente Carl Anderson, che era stato uno strepitoso interprete di Giuda nel tour d'esordio del musical, e che conferma qui le sue doti espressive: gli spettatori ricordano la scena in cui corre nel deserto inseguito dai carri armati e dagli aerei da guerra, cantando Damned for all time. La colonna sonora fu affidata ad Andrè Previn. Il film ebbe una nomination all'Oscar come migliore colonna sonora adattata per il cinema.

 

mercoledì 29 luglio 2020

fatevi i gatti vostri 1560" Come regalo di compleanno sceglie Dante"

Non sapevamo che regalo fargli e lui aveva già detto a più riprese che il regalo più bello glielo aveva già fatto Ito aspettandolo ancora una volta. Allora abbiamo deciso di permettergli di scegliere il film odierno anche fuori ordine alfabetico e di commentarlo qualora gli facesse piacere. Per le sue 66 primavere forse è un dono piccino piccino ma tanti altri festeggiamenti lo aspettano stasera da Nado.
Quanto al film Lui ha detto: 

"Questo lo metterei come materia d'insegnamento a scuola. E le musiche come inno nazionale. E' una parabola della vita e dell' amicizia, mostra  chi rispetta i propri valori e la propria libertà anche se i tempi stanno cambiando e  chi li tradisce con la scusante che appunto: i tempi stanno cambiando".
Poi ha aggiunto
"Non amo i tatuaggi sulla mia pelle se no sarebbe da tatuarsela sta scritta ma se proprio prima o poi volete farmi un regalo trovatemi un giubbetto o una maglietta, anche usati, e fatemici scrivere sopra:
Times are changing not me 
e anche la traduzione in italiano: 
II tempi cambiano io no."

Ci industrieremo per raalizzarla.
Chi invece desiderasse un commento diverso può leggere questo di my movies che Dante ha definito di una banalità stomachevole: 




 Verso il 1880, nel Nuovo Messico, il latifondista John Chisum ha condotto una guerra spietata contro i suoi rivali servendosi di vari pistoleri fra cui Pat Garrett e Billy Bonney, detto Billy Kid. All'inizio del film, però, Chisum si è accordato col governo federale e ha cessato le ostilità; Billy, ingenuo, non ha capito e continua ad uccidere mentre Garrett, più anziano e realista, diventa sceriffo e accetta l'incarico di eliminare l'altro che un tempo era suo amico. Pat riesce nella missione sorprendendo Kid con la sua ragazza, ma poi spara all'immagine che vede riflessa nello specchio. Peckinpah racconta abbastanza fedelmente l'episodio storico che ha ispirato molti western insistendo ancora una volta sulla fine dell'Ovest leggendario. In una parte di contorno appare il cantante Bob Dylan che è anche l'autore delle musiche.

Ci diamo ai preparativi per la serata, buona giornata a tutti
Zanza 

martedì 28 luglio 2020

fatevi i gatti vostri 1559 " Il coniglio JOJO!"




Recensione di Marzia Gandolfi
sabato 23 novembre 2019

Jojo ha dieci anni e un amico immaginario dispotico: Adolf Hitler. Nazista fanatico, col padre 'al fronte' a boicottare il regime e madre a casa 'a fare quello che può' contro il regime, è integrato nella gioventù hitleriana. Tra un'esercitazione e un lancio di granata, Jojo scopre che la madre nasconde in casa Elsa, una ragazzina ebrea che ama il disegno, le poesie di Rilke e il fidanzato partigiano. Nemici dichiarati, Elsa e Jojo sono costretti a convivere, lei per restare in vita, lui per proteggere sua madre che ama più di ogni altra cosa al mondo. Ma il 'condizionamento' del ragazzo svanirà progressivamente con l'amore e un'amicizia più forte dell'odio razziale.
Prendere per il naso Hitler è avere l'ultima parola. (La) parola di Taika Waititi, che firma una favola über-assurda ficcata nella Germania nazista e agita alla fine della Seconda Guerra mondiale.
Alla maniera di Charlie Chaplin, che crea l'arma più bella contro Adolf Hitler (Il grande dittatore), e di Mel Brooks, che mette in scena l'invenzione stessa del ridere parodico (The Producers - Una gaia commedia neonazista), Taika Waititi scongiura il corpo a corpo con la storia e volge in ridicolo la fascinazione estetica per il III Reich. Diversamente da loro il risultato è meno feroce del previsto, sovente esilarante ma troppo 'carino' per il soggetto.

Niente in Jojo Rabbit farà urlare all'indecenza o scatenerà la polemica che aveva accompagnato l'uscita in sala di La vita è bella. L'anima Disney, proprietaria della Fox Searchlight Pictures, modera i toni e procede dolcemente verso l'ode alla tolleranza e alla fantasia, alla resistenza e al rispetto verso l'altro. Da par suo, Taika Waititi dirige e indossa la divisa di un Hitler concepito dall'immaginazione di un bambino che lo convoca in sostituzione del padre assente e ogni volta che è in preda al dubbio. Ma anche qui siamo lontani dall'interpretazione caustica di Chaplin del tiranno-buffone Adenoid Hynkel (Il grande dittatore), di cui Hitler ovviamente fu il modello.

Se l'obiettivo è il medesimo, deridere i protocolli e la messa in scena di un potere che si voleva spettacolare, Waititi pesca le risorse comiche più efficaci del film nell'orientamento sessuale dei suoi nazisti, Chaplin parla per la prima volta, indossa per l'ultima i baffi di Charlot e denuncia l'usurpatore, scalzandole non solo l'immagine ma anche la performance oratoria ridotta a gesti e parole incomprensibili.
Comprensibili e definitive sono invece le parole finali di Jojo che prende letteralmente a calci il suo 'idolo' e oppone al farfugliamento nazista il valore della poesia e dell'amicizia. Tuttavia Jojo Rabbit fallisce quello che distingue la grande satira: l'onda di ilarità è sempre associata a un sentimento d'orrore. Il dittatore di Taika Waititi è un fantoccio di cui ridiamo certo ma da cui non affiora mai dietro l'attitudine farsesca la crudeltà. Resta l'impegno sincero del film davanti al risorgere di movimenti populisti e di estrema destra. Figlio di padre maori e di mamma ebrea, il regista di Thor: Ragnarok cerca uno slittamento per colpire forte gli spiriti contemporanei, giocando con l'estetica nazista e applicando una distanza ironica e un dandismo nazi difficili da maneggiare.

Ciascuno dei suoi bad guys, dall'inatteso Capitano Klenzendorf di Sam Rockwell all'ufficiale lunare della Gestapo di Stephen Merchant, passando per la valchiria ubertosa di Rebel Wilson, è agito da un mélange di libido e cecità che li rende alle volte derisori e tollerabili. Taika Waititi li arruola, si prende il rischio e poi cerca la via d'uscita, dichiarando la guerra all'odio e praticando la giusta misura: realizzare un film mai troppo drammatico per essere divertente. Ad oggi soltanto Mel Brooks ha riso del nazismo senza compromessi producendo il 'peggior show possibile'. Un delirante capolavoro che annulla Hitler a forza di ridere (The Producers - Una gaia commedia neonazista).
Sei d'accordo con Marzia Gandolfi?

Quando il tuo amico immaginario è Adolf Hitler.
Overview di Massimiliano Carbonaro
venerdì 6 settembre 2019
La storia del cinema ci ha deliziato con numerosi amici immaginari, dal gigantesco coniglio bianco Harvey (nel film Harvey del 1950) a l'Humphrey Bogart di Provaci ancora Sam fino a Eric Cantona che interpreta - splendidamente - se stesso nel più recente Il mio amico Eric, ma nessuno aveva ancora portato sulla scena come compagno e confidente invisibile Adolf Hitler: ecco nel film, Jojo Rabbit, questa lacuna viene deliziosamente colmata.
Il film è ricco di dialoghi surreali, situazioni esilaranti e momenti di grandissima ironia. In una scena in cui si incontrano Jojo Rabbit con un suo coetaneo e forse unico amico, i due commentano: "Oh mio Dio, niente sembra avere più senso". E il ragazzino serissimo gli risponde: "Yeah, penso che non sia un buon momento per essere un Nazi". Strepitoso.
Il regista di Thor: Ragnarok, Taika Waititi, firma una commedia che riesce a mettere insieme i problemi dell'adolescenza con le ironie sul nazismo in un film ambientato in Germania durante gli anni della dittatura e in prossimità della Seconda Guerra Mondiale.

Al centro della narrazione del film troviamo il giovanissimo Jojo Betzler (Roman Griffin Davis) che a 10 anni ha molte difficoltà a relazionarsi con i suoi coetanei. Sempre impacciato viene appunto chiamato Jojo Rabbit - coniglio - appunto per sottolineare con la crudeltà di certi bambini, sostenuti dagli adulti in divisa nazista, le sue difficoltà. Per cercare di affrontare un mondo che gli sembra sempre ostile, Jojo si rivolge allora al suo amico immaginario che ha il volto di Adolf Hitler e che è interpretato dallo stesso regista. Ma il giovanissimo comincia a porsi molte domande sulla legittimità di quanto gli viene insegnato a scuola e nel campo di addestramento, quando scopre che la madre nasconde in soffitta Elsa (che ha il volto di Thomasin McKenzie), una ragazza ebrea. Tra Jojo e Elsa nasce un'amicizia che porta il ragazzino a guardare con altri occhi quanto sta succedendo intorno a lui e a dubitare sulla bontà degli insegnamenti relativi al nazismo che riceve.

lunedì 27 luglio 2020

fatevi i gatti vostri 1558 "la gatta gnuda"

Quando ero piccolina mi capitava di avere paura e dicevo a mamma Nara: Mamma ho paura! E lei mi rispondeva puntualmente minimizzando: sì dela gatta gnuda. Io non capivo cosa volesse dire ma il suo tono ironico mi tranquillizzava. Saggezza e tradizione popolare attribuivano a questo strano felino senza pelo l’immagine di una paura inutile, senza senso.
Magari un tempo si credeva davvero che, nelle notti scure,questa gatta, sgraziato e glabro, alter ego femminile del gatto mammone si aggirasse per la campagna lanciando inquietanti miagolii e rappresentando un vero pericolo per gli umani che avesse incontrato sul suo cammino.

Poi, nel lessico quotidiano, destituita dell' alone fantastico e riportata appunto all' icona quasi ridicola di gatta senza pelo è forse rimasta appunto come espressione per sminuire o ridimensionarele paure di bambini e forsanche di adulti.
La gatta gnuda dunque come emblema delle nostre paureche in qualche modo, però, ne vanno affrontatee, se possibile, vinte. Cosa c'entra col film? Quasi nulla ma quando ho letto naked mi è venuta in mente la mia infanzia e la gatta senza pelo.
Buona giornata Zanza
qui la recensionde di mymovies  sul film che mettiamo oggi in cineteca

Una romcom leggera leggera, con Ethan Hawke che ben si adatta agli schemi narrativi di Nick Hornby.
Recensione di Emanuele Sacchi
Duncan e Annie vivono una relazione abitudinaria da 15 anni: lui è ossessionato da un musicista ritiratosi misteriosamente dalle scene, Tucker Crowe, mentre lei vorrebbe un figlio ma non osa insistere. Quando emerge un album inedito di Crowe e il musicista entra di fatto nelle loro vite, le crepe tra i due diventano insanabili.
Tutto in Juliet, Naked grida forte e chiaro il nome di Nick Hornby e di una tipizzazione dei rapporti umani che si ripete con variazioni minime da "Alta fedeltà" in poi.
Un Peter Pan brizzolato, anzi due: fan e artista, differenti declinazioni della figura di perdente cara all'autore di "Febbre a 90". Il differente punto di vista, americano e non britannico, di Jesse Peretz rischia di rendere più stereotipata la visione dell'inglesità, fatto che, non a caso, la critica britannica ha mostrato di non gradire. Ma quel che si perde in britishness si guadagna nella componente a stelle e strisce, visto il casting perfetto di Ethan Hawke come Tucker Crowe (è l'attore a interpretare tutti i brani musicali).

Un "giovane nonno", o un vecchio ragazzo, scombinato, perdente e sconclusionato almeno quanto Duncan lo aveva assurdamente mitizzato. Uno scollamento tra elaborazione dei propri miti, con generazione di un proprio intangibile avatar, e realtà concreta: una collisione che raggiunge l'apice quando Tucker Crowe entra nelle vite di Annie e Duncan e nello schema da romcom di Jesse Peretz. Duncan è detestabile nella sua incapacità di ascoltare la propria compagna, ma è anche drammaticamente realistico e contemporaneo.

Paradossalmente l'equilibrio creatosi fin lì, attraverso una pregevole caratterizzazione dei personaggi, si sfalda progressivamente man mano che il rapporto tra Annie e Tucker prende corpo. Splendida coppia Byrne-Hawke, ma la sceneggiatura finisce per assisterli sempre meno, introducendo nuovi personaggi e situazioni da romcom (la mostra con esecuzione di Waterloo Snset dei Kinks), che rallentano il meccanismo anziché oliarlo. Come se si preferisse girare attorno alla svolta narrativa senza assumersi il rischio, come se la sceneggiatura dimostrasse la medesima incompiutezza dei protagonisti raccontati.

domenica 26 luglio 2020

fatevi i gatti vostri 1557 " Film rivelazione?"

Sarete voi a dirlo.
Noi abbiamo fatto il possibile per acquisirlo per la cineteca di Esserino
Buona Giornata
Bobby

recensione da mymovies 
LA FRESCHEZZA, LA VITALITÀ E L'INTENSITÀ STILISTICA DI QUESTA OPERA PRIMA FANNO PRESAGIRE UN FUTURO ROSEO PER IL SUO REGISTA.
Recensione di Annalice Furfari


Hubert è un adolescente canadese cresciuto senza il padre, divorziato dalla madre e disinteressato delle sorti del figlio. Privo di un punto di riferimento maschile e agitato dalle pulsioni e dalle inquietudini tipiche della sua età, Hubert nasconde la propria omosessualità alla madre e sfoga su di lei il dolore represso, colpevolizzandola per non amarlo abbastanza. L'enfant prodige del cinema canadese, Xavier Dolan, debutta dietro la macchina da presa con questo lungometraggio sorprendente, da lui scritto, diretto, interpretato e prodotto ad appena vent'anni, dopo alcune esperienze di attore. La freschezza, la vitalità e l'intensità stilistica di questa opera prima fanno presagire un futuro roseo, ampiamente confermato dai lavori successivi. In J'ai Tué ma Mère, Dolan getta le basi - seppur acerbe - di un'autorialità brillante e incontenibile. Sono già presenti i due temi che sarebbero diventati il perno attorno a cui ruota la sua intera filmografia: un'omosessualità sofferta ma convinta e il rapporto difficile, di amore e odio, con la madre. Quest'ultimo tema è qui preponderante e il titolo del film non ne fa mistero. "Ho ucciso mia madre" è l'estremo e disperato atto di cui l'anima adolescente si nutre per intraprendere una catarsi da cui ripartire, preparandosi al tortuoso passaggio all'età adulta. Gli infantili scoppi di ira del protagonista - incapace di comprendere gli atteggiamenti di una madre da cui vuole marcare la differenza - sono tipici dell'età adolescenziale, così come le difficoltà di comunicazione di una donna sola, in bilico tra amicalità e genitorialità, ma non disposta a rinunciare a una fetta di orgoglio e amor proprio. A non essere tipico e soprattutto non banale è lo sguardo del regista su questa vicenda di passioni trattenute, represse e poi di colpo esplose. Dolan ha il dono di non lasciare indifferenti e già qui ne dà prova, tratteggiando un universo di sentimenti ed emozioni dalle tinte forti, da cui i grigi e le sfumature sono banditi, proprio come avviene nell'adolescenza. Il desiderio di distinguersi e non conformarsi di un adolescente più profondo della media (che ha 10 in letteratura e 5 nelle altre materie) sembra aver contagiato il suo autore, animato da una genuina e non calcolata voglia di stupire nella scelta di ogni inquadratura, dialogo, musica e colore. L'orizzonte asfittico che schiaccia i suoi personaggi, lacerati da contrasti e tensioni interiori irrisolte, è squarciato da Dolan con l'urgenza, l'irruenza e l'autenticità di uno stile che lascia il segno, calato in un'estetica anni Ottanta che il giovane cineasta non ha vissuto in prima persona, ma a cui rivolge frequenti dichiarazioni d'amore. L'originalità autoriale del regista si accompagna alla verità delle emozioni inscenate, anche grazie alla convincente naturalezza e intensità di interpreti affiatati, che avrebbero continuato a lavorare insieme: lo stesso Dolan nei panni di Hubert, Suzanne Clément nella parte dell'insegnante comprensiva e Anne Dorval votata (come nel successivo Mommy) al ruolo della madre totalizzante e distruttiva. Una madre che è insieme centro e periferia, motore e freno dell'universo. E che scatena la truffautiana corsa dell'adolescente verso il mare e verso la libertà.