sabato 25 febbraio 2023

fatevi i gatti vostri n. 1988 " da Londra L' onda"

Non è un mistero che mi piacciano i film aventi per ambientazione la scuola. Nel mio ultimo post vi avevo proposto "Effetto Lucifero" che portava sullo schermo l' esperimento del prof. Zimbardo. Oggi vi presento "L' onda" che, fatta eccezione per  "L' attimo fuggente" che considero un capolavoro assoluto, ha pochi rivali in questo genere tematico. In cineteca, come sempre, tutte le info sui canali che vi consentiranno  la visione in diretta o streaming. Questa suggestiva foto con un onda che sfiora i 7 metri arriva dal Bar Nado. Loro, a Livorno ci sono abbastanza abituati.

Buon Weekend

Bobby





La recensione che segue  è integralmente tratta da Cinefilos 9 ottobre 2010 (https://www.cinefilos.it/rubriche/gli-invisibili/the-wave-londa-2306)

L'onda (Die Welle) è un film del 2008 diretto da Dennis Gansel, tratto dall'omonimo romanzo di Todd Strasser, a sua volta basato sull'esperimento sociale denominato La Terza Onda (The Third Wave), avvenuto nel 1967 in California. Sulla base di questo esperimento, Todd Strasser (usando lo pseudonimo Morton Rhue) scrisse il romanzo Die Welle (L'onda), che in Germania è diventato un classico della lettura scolastica. 

La trama del film L’onda: Germania, giorni nostri. In un liceo tedesco, all’inizio dell’anno scolastico, è consuetudine organizzare una settimana a tema; al prof. Reiner Wenger, insegnante liberal-progressista molto apprezzato dagli studenti, viene affidato suo malgrado il corso di autarchia e non il solito corso sull’anarchia di cui era da anni il titolare indiscusso.

Jürgen Vogel interpreta il ruolo del prof. Reiner Wenger  che, grazie a un esperimento sociale da lui stesso ideato, vuole dimostrare alla sua classe come nascono le strutture sociali autoritarie. Gli studenti partecipano al movimento da lui guidato e fondato sulla disciplina e sullo spirito di solidarietà: l'Onda.


The Wave – L’onda, l’analisi

The Wave – L’onda diretto da Dennis Gansel è tratto da un racconto che da vent’anni è lettura obbligata nelle scuole tedesche “Die Welle” di Morton Ruhe. Questo racconto costituisce un’opera di fantasia ma che trae spunto da un fatto realmente accaduto in California negli anni ’60: l’esperimento sociologico in questione, infatti, venne svolto dal prof. Ron Jones nel 1967 alla Cubberley High School di Palo Alto e con risultati sorprendenti; Gansel e il suo co-sceneggiatore Peter Thorwarth hanno fatto di tutto per acquisirne i diritti.

Dennis Gansel non è nuovo nel trattare il tema del totalitarismo e del nazismo nel suo specifico, basta ricordare il lungometraggio da lui diretto “ NApoLA – I ragazzi del terzo Reich” che nel 2003 vinse il premio federale come migliore sceneggiatura e altri vari riconoscimenti tra cui il premio come miglior film al Festival europeo del cinema di Viareggio. Questa sensibilità e questo interesse verso i motivi che possono portare un intero popolo a seguire un’ideologia o comunque un movimento criminale come quello hitleriano nascono, in Gansel, dai racconti della nonna che come altri ottanta milioni di tedeschi fu attratta dal nazionalsocialismo e da Hitler in quanto: “ …era riuscito a far sentire i suoi seguaci tutti uguali, uniti verso lo stesso obbiettivo…”, come racconta il regista stesso. The Wave – L’onda si presuppone specificamente questo scopo ossia dimostrare come un leader ed un’ideologia totalitaria basata sul rispetto di regole rigide e comuni, sull’omologazione assoluta dei suoi membri, sulla rinuncia totale alla propria singola identità ed a ogni forma di particolarismo o di egoismo personale in nome di un identità comune ed unica, possa, anche nei giorni nostri, raccogliere consenso e successo. Il film invita a riflettere su come una società vuota e sterile come quella contemporanea, priva di modelli o ideali da seguire, rappresenti un terreno molto fertile per chi volesse conseguire un vasto consenso popolare incentrato su valori teoricamente nuovi e comuni.

I giovani studenti, protagonisti di The Wave – L’onda, palesano le solite e sottovalutate problematiche adolescenziali: conflittualità interne alla famiglia, mancanza di dialogo con i propri genitori, rifiuto del mondo degli adulti e sopratutto una disperata ricerca di qualcosa a cui credere e a cui aggrapparsi nel nulla che li circonda e da cui si sentono oppressi. Tim, il ragazzo più timido e indifeso della classe, rappresenta il caso più estremo di quanto appena detto: “l’onda” diverrà ben presto per lui una ragione di vita, un’occasione irrinunciabile per potersi sentire finalmente parte di un gruppo, per poter trovare nell’autoidentificazione in quel simbolo e nel suo leader un modo per riempire quel “vuoto” che nessuno capisce e che i suoi genitori ignorano.



domenica 19 febbraio 2023

fatevi i gatti vostri n. 1987 "Il Popolo va agli Uffizi" 1 cap. Legge Dante Davini Diversi

Bona Domenica a Tutti, dato che Zanza ed i miei nipoti c'hanno da fà, riempio questo spazio domenicale cola lettura che v'avevo promesso.

Dante

domenica 12 febbraio 2023

fatevi i gatti vostri n. 1986 "In nome del Popolo"

Marco Teglia lo conobbi intorno ala fine del secolo scorso. 

Eravamo ospiti  di un' altro  comune amico medico, in  terra di Maremma.  Nei confronti di entrambi conservo  un forte senso di rimpianto. Il medico mi manca per averlo avuto come carissimo amico fin  dall' infanzia. Marco  perché amava e si dilettava in quei generi che amo anch'io, lo scrivere canzoni e racconti. Purtroppo non ho avuto abbastanza tempo per condividere con lui queste passioni sebbene qualche tentativo lo si sia fatto  durante estemporanee serate accompagnate sempre da buoni piatti toscani e robusto rosso. Credo di averlo visto in tutto 5 o sei volte, l' ultima a Follonica sul mare a breve distanza dalla casa di mia zia. Chiacchierammo di mare e di barche. Argomento nel quale mi riconosceva la maggiore esperienza. Io, di contraccambio, tributavo a lui i miei plausi per la scioltezza nel verso e la maestria nell' accompagnamento delle sua canzoni con la chitarra. Mi parlò di suoi progetti letterari ma non ebbi modo di approfondire quel colloquio durante altri incontri. Non ce ne furono più. Seppi della sua scomparsa dal comune amico medico che, pochi anni dopo, lo ha seguito nei prati del Gatto Eterno. Ci si deve star bene lassù perché vedo che quelle distese verdi accolgono molte persone che stimavo tra le migliori.

Di Marco Teglia conservo, tra i miei innumerevoli reperti, un cd dal titolo Gente del Chianti. Con mio enorme rammarico non ricordo dove abbia deciso di conservarlo.

L'altro giorno, invece,  una libreria antiquaria mi ha inviato uno dei due libri che lui riuscì a dare alle stampe durante la sua permanenza quaggiù.

E' il secondo in ordine di sortita e si intitola; 

Il popolo va a Viareggio.

 


A dispetto di quanto si potrebbe pensare di primo acchito, il popolo è una sola persona al secolo Guerrino Anchioni contadino e "il popolo" è il suo nickname 

Per gli amici delle novelle raccontate vicino al focarile, mi volevo cimentare nella lettura di uno dei racconti afferenti questo libriccino che alcuni hanno paragonato a testi sacri come Pinocchio ma poi Dani mi ha confessato di aver trovato in rete e ordinato il primo libro: "il popolo va agli Uffizi". Cosi ho pensato che avrei fatto meglio ad aspettare un poco e presentare Guerrino Anchioni fin dal suo esordio. Mi sono messo a cercare qualcosaltro su di lui, magari le canzoni ma niente. Non è facile trovare notizie su Marcone, come lo chiamavamo affettuosamente. La sua cassa di risonanza erano più le osterie di Firenze che non la rete. Qualcosa in margine ai suoi libri c'è nelle pagine editoriali. Neppure sulla sua morte trovavo alcunché. Stavo per abbandonare la cerca quando mi soni imbattuto  in un bel pezzo che lo riguardava. E' comparso, nel 2016, sul Foglio, a firma di Adriano Sofri. Lo incollo integralmente sperando non dispiaccia a nessuno. provo anche a leggerlo ad alta voce per chi come Eliana ci segue sempre ma ha difficoltà a leggerci. Ovviamente vuol essere anche un mio  saluto e un abbraccio a Marcone sperando lo raggiungano  ovunque egli sia. Lassù  negli immensi possedimenti del Gatto eterno. Qualora mi possa sentire vorrei anche  rassicurarlo su un fatto. A parer mio  il miglior modo di sopravvivere alla dipartita terrena è  quello di lasciare un ricordo di sé o qualcosa che ci faccia ricordare. Cosa che Marco ha fatto con indubbia bravura. 

Dante Davini Diversi


Guardare la tempesta ricordando quel grand'uomo del “Popolo”

ADRIANO SOFRI  

Marco Teglia somiglia al suo Popolo? Non tanto: ha un aspetto da Mangiafuoco che la sa lunga. Però è mimetico, e sa mettersi nei panni di un filosofo di campagna.
Ieri c’è stata una tempesta sopra la mia casa. Ha abbattuto arbusti, piegato alberi, strappato fiori, una cascata d’acqua, tuoni e lampi hanno fatto saltare la luce e tremare i muri e spaventare Brina e Brillo, che non hanno paura di niente. Con la tempesta è un po’ come con i naufragi. Hans Blumenberg, riprendendo la metafora di Lucrezio, intitolò un suo gran libro “Naufragio con spettatore”. Se ne accorgono ora i soccorritori del Mediterraneo, e tutti noi che guardiamo tre o quattro volte al giorno il nostro prossimo che naufraga e annega, e ci commuoviamo un po’ per lui e ci rallegriamo molto per noi. La casa in cui abito non è al mare, è una vecchia casa colonica con una loggia, e quando fischia il vento e la bufera infuria mi copro, mi metto seduto al riparo e me ne sto a guardare la furia degli elementi. Anche ieri, e mi sono ricordato di quando ci sedevamo insieme, io e Marco Teglia, a guardare il temporale e stare zitti, coi cani suoi e miei accucciati accanto senza litigi.

Marco è nato a Lucca nel 1949 e ha abitato per più di trent’anni nella stessa casa, anzi fu grazie a lui e a suo fratello che vi fui accolto con Randi quando Lotta Continua finì e, spiantati, ci rifacemmo una vita. Marco, che era anche buon suonatore di piano e di chitarre, liuti e mandolini, tre anni fa pubblicò un libro intitolato “Il Popolo va agli Uffizi”, e poi un seguito, “Il Popolo va a Viareggio”. “Nacque Guerrino Anchioni, ma la mamma non ebbe latte per sfamarlo, lo portava, dunque, da tutte le conoscenti di recente parto. Guerrino succhiò il latte di cento donne del popolo, ebbe cento fratelli, divenne il figlio del popolo e poi il ‘Popolo’, come tutti da allora lo chiamarono”. Era il Millenovecentoventotto, nella campagna della Lucchesia, e il Popolo si fa la sua strada, venti chilometri ad andare e venti a tornare, a vendere braccia e vanga, e intanto recita a memoria i versi della Gerusalemme e di Dante e dell’Orlando. Finché decide di prendere il treno e andare agli Uffizi a veder Giotto, L’Angelico e Leonardo. Il Popolo è un gran personaggio, che fa ridere e intenerisce. Anche Marco Teglia. Magari l’avete conosciuto, per qualcuna delle serate che faceva nei locali e i teatri e le case del popolo e degli amici raccontando le sue storie e cantando le sue canzoni, metà sentimentali da far quasi piangere, metà comiche da far ridere con le lacrime agli occhi.

 Insomma, il Popolo viene a Firenze. Sale sul treno come un soldato che va alla guerra. Al Duomo non c’è un omino che rovescia manciate di granturco ai piccioni? “O che li mangiate?”. “Mangiate cosa?”. “Codesti piccioni”. “O che date i numeri?”, risponde quello inorridito. “Allora che li governate a fare?”. “Rallegrano la città con i loro voli”. Un piccione gli sale sul cappello, gliela fa sulla giacca. “Sì, rallegrano la città e concimano la vostra bella giubba”, ride il Popolo, pensando che quello è più bischero di lui. In piazza della Signoria si indigna per la Giuditta che ha tagliato la testa di Oloferne, e gli hanno fatto pure un monumento; poi agli Uffizi passa e ripassa davanti alla Madonna di Giotto, con l’occhio intenditore, fissa la vergine al centro, e sembra guardarlo, si sposta di lato, e continua a fissarlo. “Questa move gli occhi!”. Incontra uno, ci parla un po’, quello lo trova buffo. “Anche voi siete buffo, parete un prete”. “Sono un prete!”. I preti di città sono strani. Anche al paese c’è gente strana, ma si conosce. Ferragalline, il miglior amico del Popolo, fa il fabbro, si fa pagare in uova e castagne. Un vizio ce l’ha, di rubacchiare. Quello che gli manca per il lavoro, lo prende dove lo trova.

 

Il Popolo gli chiede una lastra di marmo per il lavandino, la sua gli s’è rotta. Ferragalline gliela procura, e va a montargliela, quando il Popolo è a vangare. Raccomanda alla sorella del Popolo di non toccarlo finché la calce non avrà tirato. Il Popolo torna, gli pare che il marmo sia bello lucido, e anche robusto. “Già. Robusto!”, fa lei con l’aria ironica. “Perché, non ti piace?”. “A te ti piace?”. “A me sì, e poi il marmo è sempre marmo”. “Allora vieni a vedere!”, e s’infila sotto la lastra cementata, e gli mostra la scritta: “Qui giace colpito da fiero morbo…”. Il Popolo pensa che dritti si ha un’aria di prosopopea, e distesi non si vale nulla, come essere vivi o essere morti. Poi pensa che è vero anche il contrario, per uno sdraiato quello ritto è disteso, e forse per uno morto il vivo è il vero defunto e viceversa. Cerca di sbrogliare i pensieri, ma intorno le cicale fanno sarabanda, riempiono tutto, non lasciano l’intimità. “Le cicale rompono i coglioni!”, sentenzia il Popolo a voce alta, le cicale si zittiscono. C’è una prefazione di Adolfo Natalini, che passava parecchie sere a inseguire Teglia nelle osterie di qua e di là, con Roberto Barni e Staino e gli altri che vivon d’arte e il ragazzo Francesco. Marco Teglia somiglia al suo Popolo? Non tanto: ha un aspetto da Mangiafuoco che la sa lunga, è musicista e antiquario e figlio d’arte, perché suo padre Remo era medico e scrittore di libri pubblicati nei “Gettoni” Einaudi di Vittorini. Però è mimetico, e sa mettersi nei panni di un filosofo di campagna. Le bufere vanno guardate in silenzio, con una donna, o con un amico. Marco Teglia ora è morto, la tempesta di ieri era formidabile e l’ho guardata da solo.

sabato 4 febbraio 2023

Fatevi i gatti vostri 1985 "il crognolo si addrizza cor culo"

Scrivo di Sabato perché per me il sabato è come quello del leopardi mi riempie di gioia, nvece la domenica fino all' ora di pranzo la reggo ma poi mi mette tristezza.

Quanto all' argomento odierno spieghiamo intanto cosa è il crògnolo, poi verremo al fatto.

Il crògnolo, denominazione toscana del Corniòlo (Cornus mas) è un arbusto che talvolta raggiunge le dimensioni di albero e che in molti usano in giardino per la bellezza del suo fogliame e per il colore dei suoi frutti.


Originaria della regione mediterranea, questa specie si trova allo stato spontaneo in tutta la Penisola, anche se un po’ più difficile ritrovarlo nelle Isole.

ed è apprezzata da sempre, sia per il suo legno che per i suoi frutti, le cosiddette corniole che noi si chiamano ovviamente crògnole.

Persino Omero, nelle sue opere, parla di queste drupe oblunghe di color rosso acceso e talora tendenti al rosso bruno, sottolineando come nel tempo passarono da esser cibo per i maiali ad essere consumate dalle famiglie.

Virgilio invece ne parla nell’Eneide narrando il fatto che il famoso cavallo fu costruito proprio grazie al legno di questa pianta.

Anche nella letteratura contemporanea il legno di corniolo è annoverato tra i materiali dalle qualità portentose: pare proprio che sia l’ideale per costruire le bacchette magiche, almeno secondo quel che dice J. K. Rowling, autrice del famoso Harry Potter. I Serbi lo chiamano Dren e lo considerano un legno sacro. Nell'usare una analogia per descrivere una persona forte e sana usano il motto: Zdrav kao dren. Esiste un sito serbo  sulla salute naturale che ha proprio questo titolo.

Ma agli antecedenti storici e letterari io antepongo un uso del crògnolo che è forse meno noto alle persone colte ma ben conosciuto tra pastori e contadini.

Il legno del crognolo è il più duro che si possa trovare tra i legni italiani ed europei ed è molto apprezzato anche dagli americani che lo chiamano dogwood e lo usano come noi per le sue qualità e soprattutto per fare bastoni. Cosi fin da quando, circa 20 anni fa,  io sono approdato nella serenissima repubblica di Venezia, sia Holly che i miei nipoti mi hanno sentito spesso citare il crògnolo.  Si badi bene che in qualità attributiva  si usa anche per definire una persona malavvezza ai modi sociali, rustica o anche impacciata in abiti che non le siano abituali del tipo: "bada te quer popò di crognolo cor vestito celeste e la camicia rosa" oppure; "ma che se li mette a fa sti tacchi a spillo leilì, crognola com'è ner caminà". Più spesso però ho evocato il crògnolo nella sua funzione di doma sósi (le "s" sono ambedue sonore e rendono l' effetto onomatopeico del nome la ó è chiusa ed ha lo stesso suono che ha in "nome").  Il sóso dovete sapere che,  fra gli umani, è quel tipo supponente che avrebbe anche magari l' ardire di fare il prepotente, l' attributo pare derivi da quei maggiolini 


che volano producendo un rumore quasi di motorino e che di solito hanno l'ale e corazza verde metalizzato. Spesso i bimbi a sentire quel rumore si atterriscano ma le mamme son leste adir loro "occosa voi che ti faccia quel poro s
óso?". In una crudele versione ludica, noialtri si era soliti legare a una zampetta dell' insetto un lungo capello, strappato a una bimba tra le nostre amiche, o un filo di cotone. Poi il filo  si teneva colle dita pronunciando la formula magica: "sósa sóso sennò t'ammazzo" e lui poverino volava, trattenuto dal filo.

Io però li liberavo sempre e posai su fiori dela mi mamma  quello che mi permise di fare un figurone ale medie. Gli avevo attaccato un bigliettino cor un capello biondo legato ala zampa. Sul biglietto avevo scritto " boia che topa la proffe di mate". Il sóso partì e pareva un arioplano, di quelli che portano in aria uno striscione pubblicitario. Il colpevole un fu trovato ma ho sempre pensato che la professoressa di matematica avesse capito che il marchingegno l'avevo assemblato io. A sostegno di questa mia ipotesi ci fu il fatto che fino a che l'ebbi per docente riescii sempre a conservare l' otto e pigliai anche qualche nove e dieci. Cosa che a Dino, nonostante fosse bravino anche lui, un gli riescì mai. Una vorta, siccome sta bella ragazzona ci faceva anche scenze, mi fece passare da casa sua a pigliare dei libri pe na ricerca.  C'era tra noi alunni uno de più smaliziati  che ripeteva da du anni la seconda, fumava le alfa der su babbo e si faceva le seghe in classe da na tasca sfondata de carzoni.  Mi disse, "Vedrai Dantino che trova il modo di fatti sbircià la topa. Ammé i libri un me l' ha mai dati prtché so somaro ma na vorta  ir mi babbo andette a imbiancagli la casa. Quando ebbe fenito lo sentii al barre che diceva a Renatino (r babbo di Dino) che  leilì era montata sula scala per levà de libri perché s' imporverassero e un aveva nemmeno le mutande". Io col penziero fisso a quell' immagine andetti da lei convinto di vedere quella roba meravigliosa e quando sonai ir campanello mi sentivo du agitazioni: una ner petto e una ne pantaloni. Ma le cose un vanno come nele fantasie, anche lei aveva i pantaloni, l' occhiali e l' aria seria da professoressa. I libri eran digià appoggiati sur tavolinetto der telefano all'ingresso. Cosi la mi estasi durò il tempo giusto pe sentilla dire:"Eccoti i libri Dantino, mi raccomando un li sciupare, un ci scrive e un mi ci fa trovare macchie di sugo o di vino". 

E così perzo cola fantasia dietro a quer monte di topa, ho perzo anche ir filo del poste..... 

Donque ero partito da quando s'incappa in qualche sóso che vorrebbe fa r prepotente. In que casi m'è capitato di dire "Con quelli stùpiti lì un ci s' inzudicia nemmen le mani, si piglia un ber legno di crognolo e si frollano a dovere".

E il crògnolo è davvero micidiale in quegli usi didattici. Difatti dale Marche all' Abruzzi vige il detto (variante un po' nel dialetto) "Lu Vastuni de crugnale scoccia l' ossa e nun fa male". Il fatto che spacchi le ossa ma non produca abrasioni è dovuto al fatto che il suo colpo è penetrante come un fendente di spada per cui non strappa ma arriva dentro con una potenza dirompente. Come ebbi modo di raccontavvi, io e Dino, da ragazzotti, si tirava di scherma. Forze perché un c'erano ancora i socialle e le bimbe, che ti mandano la foto gnude chiedendoti la tua...eloquente, ancora avevan da nasce. Forze perché un livornese che si rispetti dovrebbe conosce quell'arte nobile  armeno ne su rudimenti fondamentali. Poi siccome l' accademia costava e i soldi mancavano ci si specializzò nela scherma cor bastone che era gratisse e si poteva fa pella strada. Mio maestro fu Cecco il saltimbanco di cui ho parlato tante volte e io trasmisi a Dino quanto apprendevo. Cecco, che era anche abile giocoliere, faceva roteare il bastone avanti e indietro ma conosceva anche tutte le parate e gli affondi dela scherma classica appresi prima che l' indole gitana gli facesse abbandonare la nobile famiglia in cui era cresciuto. Aveva incrociato il ferro nientemeno che con Nedo Nadi e quando lo raccontavo la gente stentava a credemi ma appena vedevano lui cor un manico di granata in mano si rimangiavano tutti i dubbi che avevan sollevato prima. Dino preferiva il frassino forse più elegante di foggia e più dritto ma inferiore al crògnolo per robustezza e peso. Io ogni volta che potevo trovare una pianta adatta raccoglievo i frutti, coi quali la mi mamma faceva una marmellata nzuperabile.  Poi cor un ramo, di foggia ben adattabile a trarne un bastone, prencipiavo un lavoro che a volte durava de mesi ma che mi forniva un arnese micidiale.

Ne feci uno stupendo e lo regalai a Don Luigi che anche lui sapeva come adoprallo. Perché diceva luilì che: "Se la parola di Dio penetra anche  gli animi più malvagi ove  la si accompagni co dele robuste legnate, realizza assai prima la sua opera di convinzione". Non so che fine abbia fatto quel bel legno, Dino non lo trovò tra le cose lasciate dal prete quando andette anche lui dal Gatto Eterno a seguità la partita a scopa cor mi poro babbo.

Ora, però, come si conviene a chiunque affronti un argomento, sarebbe d'uopo anche chiudilo con dele concrusioni che ripiglino il punto da cui s'era prencipiato ossia dar titolo.

Capita donque che Dani e Bobby, in vena di fammi un regalo, abbino penzato di donammi un bastone. Del resto zoppico da fa schifo e ne uso diversi. Pol essere anche che  m'abbino sentito lamentà che qui a Venezia a trovà un ber legno da bastoni è cosa più rara che trovà un comunista ner Piddì d'oggi. E così ricordandosi del crògnolo. che gli rammentavo da bimbi, l' hanno cercato in un bosco moderno. Quello dell' internette. 

Ala fine, dopo tanti bastoni ucraini, irlandesi e d'ogni altra parte d'Europa e for d' Europa, cari di prezzo da fa accapponà la pelle, hanno trovato quer che cercavano da un onestissimo artigiano dela maremma toscana.  Meno male che fortuna volse che oramai, anche in quelle terre sperse laggiue fra Grosseto er confine cor Lazio, ci  fosse arrivata l' internette. Così  un bravo fabbricante di taglieri, bastoni e altri oggetti in legno ha potuto mette le su creazioni in rete. Ar momento però di già fatto un aveva niente. Ma la mi nipote quando vole na cosa è inarrestabile e s'è fatta mandare quel che poteva reperì così com'era, appena tagliato dala pianta e ripulito dai rametti ma ancora da lavorare perché come le ha detto chi glielo ha venduto è sì un gran legno ma è come i cazzi d'oggi, trovanne uno che stia bello dritto è un miracolo.

E difatti il legno era bello, abbastanza lungo ma anche parecchio curvo e Dani, quando me lo ha conzegnato, nel porgemelo mi ha detto

"Zio non so se sia troppo torto".

"Boia dé se è storto ti insegno ad addirizzallo".

E lei stupita: "ma dale parole del venditore avevo capito che il crògnolo ha questa natura".

"Pora la mi  bimba anche le banane per natura so curve ma Giane di Tarzan le addrizzava e come"

"E come?"

"Ocché un te la ricodi la canzone del mi amico Marcone che diceva "Ma la più brava è certo Giane a addrizzare le banane" (dalla canzone "E allora tutti con Tarzane" del compianto  Marco Teglia cantatutore e antiquario in Firenze col quale ricordo di aver bevuto del bon vino e duettato in rima cantata estemporanea)

"Si ma è uno scherzo, Marco lasciava intendere che Giane le banane le addirizzasse col sedere".

"Appunto il crògnolo lo poi addrizzare anche te  cor culo e mi pare tu abbia proprio le mele  adatte"

Mi sono beccato un vaffanculo  ma poi quando ho scaldato il legno col soffiavapore a 100 gradi di Holli, l' ho messo tra due sedie cola curva in alto e ce l' ho fatta sedere sopra, la mi nipote ha capito cosa intendessi per "addrizzallo cor culo".

Ecco il bastone quasi dritto, cercare la perfezione non avrebbe senzo, è bello così.



E ora attenti a  voi o sósi, è arrivato il crògnolo 

Quando realizzai quello di Don Luigi ci feci su du strofe  di velle che se cantate in una tenzone in rima sonerebbero pressappoco così:

Da sempr' io confidai nel mi bastone 

è di crògnolo maschio stagionato

il foco l' addrizzò ma un l' ha bruciato

spesso ha difeso me o la mi ragione


Il prepotente sempre e  l' ha accucciato

chiarendo chi era il cane e chi il padrone

chi l'ha assaggiato  nel  mezz' al  groppone 

credete a me  non se n' è più scordato

Bona domenica a tutti

Dante