domenica 30 ottobre 2022

fatevi i gatti vostri 1962 "in fuga col Cristo" 2 ed ultima puntata dela saga dei Dal Rombo

Finarmente si rià l' ora normale. Un ne potevo più. Per me che mi levo ale 5 du ore e più di buio erano na rottura di coglioni ncredibile. No tanto pe la luce accesa che arza la bolletta. A quella ho trovato rimedio coi ledde attaccati a na batteria e la batteria a un pannellino solare sicché potrei sta anche tutta la notte a legge andano in culo all' Enelle e a tutti quelli che nazzicano cola corrente. Il fatto è quando vai fori ed è ancora tutto buio. Hai voglia te a mette lumini sula bicicletta, per chi corre in macchina col' occhi cispiosi e nelo stomaco l' urtimi rigurgiti naciditi dela cena di iersera, ammesso che li vedano so come i lumini da morto e siccome in questo caso manca il morto, spesso ci penzan loro a completà l' opera stiacciando il poro ciclista come fosse na merda ala fermata del tramme che quando smonti dar predellino la pesti anche coll' impeto naturale  delo scendere. Ora nvece che r covidde pare si sia rotto le palle di tormentammi e l' ora è tornata normale mi posso arzà di migliore umore ed'è già quarcosina, basta sta attenti a non accende la radio o latelevisione, sinnò il giramento di coglioni riprencipia subito.

Oggi mi so preso l' impegno di pubbricà la seconda ed urtima puntata dela mi ultima novella che poi più che novella è na vicenda vissuta o meglio na vicenda relata e poi doventata patrimonio storico dela memoria del Bar Nado. S'era dunque giunti a Beppe dal Rombo coevo di Don Luigi e di lì riprencipio:

Beppe dal Rombo tra quelli dela su genia era sortito il più pio di tutti ed essendo amico d'infanzia di Don Luigi quando questi era doventato prete gli si era attaccato ala tonaca e un lo mollava mai. Così quello che vi vengo a narrare deriva da una testimonianza certa e inoppugnabile. Beppe aveva sposata na ragazza che era figliola der capostazione di Calambrone e quando aveva chiesto conziglio a don Gigi se gli sembrasse na cosa oppurtuna di piglialla in moglie, il prete aveva detto "boia dé, Beppe, e sei ar confino co Pisa devi sta attento ar culo ma comunque la stazione appartiene ala città di Livorno nfatti si chiama Livorno Calambrone da un confondesi cor paese di Calambrone indove so pisani e dela peggio specie".

"No no- lo rassicurò Beppe- loro abitano propio nela stazione perché le ferrovie gli danno di diritto l' alloggio dato che è no scalo merci in mezzo ar nulla". Erravano tutti e due, Don Luigi perché, pur avendo diritto ad essere assistito dall' onniscente cartografia celeste  e dar sisde de celi (il servizio più segreto dela CIA e der KGB che grazie all' onniscenza sapeva i cazzi di tutti) non poteva rompere i coglioni ar Divino per avere notizie su na stazioncina di merda che lui del resto conosceva perché da ragazzo ci andava a rubbà le ciliege cor mi babbo e cor babbo der Ciampino. Bebbe, da parte sua, un c'era mai andato perché Luciana la topa gliela aveva data in macchina fori dala stazione di Livorno e lui s'era subito nnamorato e poco dopo n aveva fatto la proposta di matrimonio. Proposta quanto mai appropiata e dirrei necessaria perché du settimane dopo avegli spalancato le zampe, Luciana aveva prencipiato a gonfià essendo pregna di colui che sarebbe dovuto venì ar mondo nove mesi dopo pigliando il nome di Franco Dal Rombo. Franchino che poi è doventato prete col nome di don Franco e pare che pe une smentì la su genià doverse vecchine, che avevano avuto l' avventura di andà a fa cena coll' ostie, abbino sentito de rumori inequivocabili e perfino un certo tanfo da gasse mefitico ntorno all' altare. Ma torniamo a primordi:

Calambrone paesino che, come aveva ben detto Gigi è n rovincia di Pisa, fino ar sessanta ce l' aveva la su stazioncina che si chiamava Calambrone  mentre l' altra cui si è fatto riferimento esiste tuttoggi e si chiama Livorno Calambrone perché Calambrone è anche tutta un area geografica di riferimento che si colloca appunto tar le province di Pisa e Livorno.

Quando lei portò Beppe a conosce i sua a luilì gli prese n'accidente. Si rese immediatamente conto che  si trovava in territorio nemico e un poteva nemmeno più scappà perché, come s'è detto,  Luciana aveva prencipiato a gonfià come un dolce n forno. Si sposarono e durante la cerimonia il babbo di lei pe giustificassi co convitati der fatto che la unica gemma avesse pigliato un livornese s'addoperava tutto rtempo a riferilla così:

"Gaò è nato a Livorno ma su avi eran tutti di qui e allora pazienza l' importante è che andiano d'accordo e mi faccino subito un  nipotino bello e pisanello". 

Boia se gli faceva male lo stomaco a Bebbe a sentì quelle parole, ma un poteva bestemmià perché era religioso e se r signore aveva penzato di vergaglielo su pel culo a quella maniera, bisognava fà bon viso a cattiva sorte.

Di vaini Beppe n'aveva pochi o punti e così si dovvette accontentà anche dela casetta che portava n dote la su moglie, niente di che, tre stanzine striminzite davanti a un padule ma era di propietà e un c'era da pagà la pigione e allora pazzienza se anche la casa era ne dintorni di Calambrone provincia di Pisa. 

Le poche vorte che gli riesciva di arivà da Nado ecco che tutti lo pigliavan pelle mele e nvece der nobile attributo che i Dal rombo seran guadagnati a forza di scurreggioni tonanti a luilì gli ricordavan la su disgrazzia vociando appena lo vedavano: "O ragazzi è c'è Beppe!"  

"O Beppe chie?" domandava retoricamente quarcheduno dela congrega.

"Beppe Da Pisa no? O chi voi che sia?"

Doppo i primi bicchieri di vino o i primi ponci, se s'era d' inverno, Beppe prencipiava a doventà loquace e a sciorinà le su disavventure matrimoniali e soprattutto rendeva il barre edotto di quante e quali fossero le sorprese che s'era dovuto trovare ad affrontare una volta trasferitosi a casa dela moglie.

Intento si trombava quando diceva lei e lei un lo diceva mai e quando lui timidamente gli si accostava prencipiando a tastagli le mele cola speranza che leilì gli aprisse armeno  l' uscio davanti  lo rimbrottava acidamente:

"O Madonnina cara che ossessione! Ma un hai altro nel capo che la topa, gaò e sei di una monotonia che un si pole sopportà".

Lui si ritirava in bon ordine ma la cosa un feniva lì perche lei tra tutti i difetti che una donna pole avé possedeva quello der lamento a giornata. Un giorno gli doleva r capo, un giorno aveva la tosse, n'altro un poteva move un ginocchio e quell' altro ancora si sentiva la schiena stroncata.

Beppe pregava il Signore perché era un omo pio e preferiva pregà piuttosto che fassi scappà quarhe porcoddìo.

"O Signore - diceva-  tagliami na gamba ammé piuttosto che fa venì n' undia ncarnita allei. E un ce la posso fa Signore ammé m' avete dato l' ergastolo senza avé ammazzato nessuno".

Cercava di conzolassi un po' osservando r su figliolo, sperando che col crescere gli si potessero scorgere almeno alcuni tratti di quella livornesità della quale la su famiglia era sempre stata fiera. Ma r bimbo, pur essendo bono come r pane, somigliava tutto ala su mamma e peggio ancora ar su nonno capostazione, era venuto su grassottello e rosa rosa, cor naso a patata e l' occhi porcini. Frequentava l' oratorio e cantava ner coro co na bella vocetta ntonata ma dall' indubitabile calata pisana che faceva rabbrividì r poro Beppe ogni volta che lo sentiva. 

E la su moglie seguitava a sta male, era ngrassata tarmente da togliegli quarsiasi fantasia sessuale prima ancora che gli si formasse in mente. Lo redarguiva per qualsiasi cosa a cui lui mettesse mano e gli rinfacciava continuamente che senza i boni offici del socero un sarebbe stato nemmeno bono a trovassi un lavoro. Già... il lavoro: casellante in un casottino presso un passaggio a livello di campagna che un avrebbe avuto alcuna importanza se non si fossee guadagnato negli anni la nomea di  "passaggio dela morte" perché i contadini coi trattori e le macchine agricole dovevan per forza attraverzà quel varco e prima che le ferrovie mettessero la sbarra e r casellante era capitato tre volte che que pori biforchi fossero stati travolti da treni in corza. 

Stava lì dentro da solo, stiantando di cardo d'estate e diacciandosi d' inverno. Ntanto Franchino aveva fenito r seminario e s'apprestava a fassi prete e la su moglie era doventata così insopportabile che quando feniva r su orario ar casello a Beppe un gli faceva nemmeno voglia di ritornà a casa.

C'era sulla via per casa, i cui 4 chilometri Beppe copriva colla bicicretta, un  tabernacolo cor un Cristo in croce. Ala base, il muratore che lo aveva eretto, aveva avuto la bona ispirazione di creacci un angolo di mattoni pieni che formavano un comodo supporto per sedessi e Beppe, ogni sera, fermava la bici la appoggiava ala parete del tabernacolo, si metteva a sedé e si rivolgeva al Cristo: 

"Io lo so che lassù c'hanno da fa ed è difficile che ascortino un poro disgraziato come me, ma te, che lo sai cosa vole dì esse messo in croce per piacere se poi liberami dala mia... perché un ce la faccio più"

E na sera Beppe vide il Cristo sorridegli, poi gli sembrò che gli dicesse di avvicinarsi coll' orecchio e quando l' ebbe fatto, il Cristo, che grazie al celo aveva l' accento livornese, gli disse: "Beppe t'ho ascoltato e n'o parlato ar mi babbo. E si va via nzieme, tirami giù dala croce che anche io ne ho le palle strapiene di sta attaccato quassù pe affranda da peccati sti merdosi de tu simili". 

Beppe, con attenzione e devozione sfilò i chiodi dale mani e da piedi e gli parve che il Cristo si stirasse la braccia e dala rigidità der gesso, nel quale lo aveva sempre visto ngabbiato,  era come se rapidamente ir su corpo straziato ripigliasse na certa  consistenza muscolare. 

"E ce la fai a portammi in bicicretta?" gli chiese il Cristo.

"Boia se ce la fo! O indove si deve andà Gesù?"

" Prencipia a tornà ndietro verso tu casello". 

Beppe pedalava cor una  ndicibile  gioia nel cuore  "O come farò a raccontallo al barre?" si chiedeva. "Ah ma don Luigi mi deve  crede, lui è n'omo di fede un metterà in dubbio r mi racconto" e pigiava su pedali come fosse Bartali e ad ogni poco co na mano toccava dietro il Cristo che gli sussurrava "Vai Beppe vai".

L' ultimi trecento metri gli sembrarono na pista di decollo pe n' arioplano. Il Cristo aveva allargato le braccia e pareva fossero ali e lui mulinava que pedali come se avesse un motore nele gambe, "Boia dé! N fuga nzieme a Gesù Cristo o come avrebbe fatto a raccontallo?"

Lo raccontò al barre Don Luigi, al quale lo aveva riferito il maresciallo dei carabinieri che aveva fatto il sopralluogo: il macchinista all' ultimo momento aveva visto una bici attraversare il passaggio a livello che stranamente aveva la sbarra alzata, la bici giaceva come  un groviglio di pezzi di ferro scagliati a lato della ferrovia e tra le traversine e la selce del binario pezzi d'uomo mescolati a frammenti di gesso colorato erano tutto ciò che restava di Beppe del Rombo e del Cristo del tabernacolo. 

Ndr. Guasi come rispettosa accettazione di quella fuga a due il Cristo nel tabernacolo, atutt'oggi, non è ancora stato rimesso.

Bona Domenica

Dante




domenica 23 ottobre 2022

fatevi i gatti vostri 1961 "Le novelle del covidde -la famiglia Dal Rombo- " by Dante

Abbiamo il covid, tutti e tre. Temo di averlo portato a casa con me dopo una delle pochissime notti brave che, mi ero voluta concedere. Sono stata a una festa con amici ho ballato, mi sono scatenata, ho perfino dato un semicasto  bacetto sulla bocca a un mio preistorico morosetto. Già dal giorno dopo mi sentivo strana. Poi tossettina stizzosa, febbre, brividi tipo influenza. Il giorno dopo, stessa storia per la zia Holly e  la trasmissione tra lei e lo zio Dante è stata uno scherzo. "Boia dé- ha commentato lui - per una volta che faceva la gatta in calore e mi rincorreva sotto le lenzola me lo dovevo sentì ar culo che c'era quarcosa sotto" e in effetti c'era. Lui ha reagito peggio di tutti: tosse che si sente dal Canal Grande e madonne (ovviamente nel senso di signore quattrocentesche) che riferiscono di averle udite anche alla Giudecca. Naturalmente "impestate" le sue madonne, perché, come diffusamente spiegato in tanti post apparsi nel corso degli anni la blasfemia dello zio si attiene a rigorosi canoni attributivi, ragion per cui il suo referente dell' attico  non è sempre "can" "porco" o "boia" come tra noialtri veneziani ma "infame" o "vigliacco" qualora lo zio Dante si senta tradito, "lordo" allorché si macchia di olio facendo un lavoro, "serpente" se qualche insidia lo coglie di sorpesa, "ladro se gli arriva una cartella della agenzia delle entrate. Per le madonne la varietà attributiva è altrettanto ricca ma ne ricordo una particolare includente anche un agile accostamento metaforico che per il suo cripticismo lascia sempre i Veneziani che la odono con la faccia stupita di chi si chiede "Ma cosa cavolo vuol dire questo foresto?" Ne chiedo conto allo zio perché non saprei descrivere nei dettagli questa sorta di sciarada blasfemica. Eccovi la sua lectio:

"L' espressione, che come vi ha detto mia nipote, ebbe già il suo ampio spazio su queste pagine, si concretizza nell' accostare la parola madonna a un tegame di riso e non pensino di giungere a facile decrittazione coloro i quali suppongono di poter dire la loro in tema di vernacologia labronica. Stavolta per tegame non si intende la attributo livornese indirizzato a una donna di facili costumi. In tal caso infatti avviene un traslato dalla semplice equivalenza tegame= casseruola al più complesso tegame = recipiente da cucina in cui tutti inzuppano qualcosa. Un interpretazione che sarebbe davvero  troppo semplice e piuttosto greve, roba da pisani e per di più resterebbe privo di senso quel tegame di riso. Qui tegame sta semplicemente per tegame o casseruola che dir si voglia e tegame di riso altro non è che una casseruola piena di riso. Quando però l' ascoltatore sembra deporre le armi dell' arguto solutore enigmistico ecco che come una stoccata alla Bergerac giunge la rivelazione: "maiala tre volte per chicco!!!" e non ce ne vogliano gli altri -conclude Dante dopo questa spiegazione - se con ragione affermiamo che per quanto i versati in tale arte, provenienti da ogni altra regione dell' orbe terracqueo,  si sforzino in queste ardue tenzoni d'arguzia, quando è presente un livornese al massimo possano ambire ala medaglia d'argento".

Continuiamo il resoconto delle nostre giornate di "peste" Visto che il covid ci ha colpiti quasi in contemporanea, gli zii ed io  cerchiamo di smaltirlo stando insieme. Per la spesa avevamo ampie provviste di roba conservabile o surgelata. Ai "freschi" e alle medicine  pensa la mia nonna.Lei ha un suo factotum prediletto, Igor, che per pochi schei le fa le commissioni. Lo manda quindi a far spesa e poi a consegnarla da noi. Dante ha già piazzato  alla finestra una carrucolina con la quale mandiamo giù le scoasse  (da noi i rifiuti si chiamano così).  Staccate le scoasse che, dopo,  porterà al punto di raccolta, Igor  aggancia la spesa ed il gioco è fatto. I gatti cerchiamo, con molte difficoltà, di non tenerli vicini perché  sebbene difficilmente, il covid può contagiare anche loro. Abbiamo molte castagne da far abbrustolire, buone riserve di vino e per il resto pazienza. In questa situazione lo zio, esaurito il rosario, si dedica alla sua attività preferita, il racconto.  Proprio in questi giorni ha iniziato a intrattenerci con una storia ricca di complicazioni e di storie parallelle che la dilatano a dismisura. Ve la estendo volentieri ma vedendo che la sveglia marca già le 11 e c'è il pranzo da preparare,  vedo quanta parte riesco a trascriverne rimandando l' eventuale  seguito alla prossima  o alle prossime puntate.

La famiglia Dal Rombo.

Bebbe dal Rombo era n'amico d' infanzia di Don Luigi e der mi Babbo.

Dal Rombo un era il su vero cognome anche se gli stava bene. Ma che si chiamasse Rossi o Bianchi o Verdi  avrebbe fatto poca differenza. Luilì veniva dala genìa di Ampelio del Rombo e meritava l' appellativo. 

"Nantro Ampelio" direte voi ma un vi dovete meraviglià perche nel livornese è nome diffuso ed anche insù nela costa infino a Ventimiglia. 

A Bordighera indove arivavo cola mi Gilera 98 quand'ero poco più che ventenne, c'è una chiesetta santuario dedicata appunto a sant'Ampelio. La chiesetta  sorge su una grotta in riva al mare in cui s'era ritirato a fare l' eremita vesto religioso dela metà der quarto secolo, vello in cui regnava l' imperatore Teodosio. Arcuni voglian che fosse nato in Tebaide, altri ad Arezzo. A vedé dala statua di cera che contiene le su reliquie parrebbe di pelle chiara ma cor naso abbastanza tipico dell' ebrei


comunque siccome a quell' epoca di queste questioni un gliene fregava un cazzo a nessuno fece la su vita in eremitaggio e quando fu ir momento di stiantà come tutti ,disse ar Signore  "Aspettatemi che arivo" e andette.

Secondo la religione cristiana sant'Ampelio resisté alle tentazioni del demonio brandendo un ferro rovente e così facendo ottenne da Dio il dono di essere insensibile alle scottature. È per questo considerato il santo patrono dei fabbri-ferrai. Non è un caso che ir babbo di Zanzina e gestore del nostro amato Bar Nado si chiami Ampelio Fabbri. Di certo anche nela su genìa ci dovevan esse dei fabbri ferrai e di sicuro c'era quarche ampelio prima di lui. Lui il fabbro un l'ha mai fatto ma da come picchia sula batteria si capisce che avrebbe avuto il braccio sciolto e resistentte.

Dopo ste note che vi avranno tediato a morte veniamo ar niccke. Ampelio  acquisì il su appellativo "Dal Rombo"  grazie ad un fatto memorabile di cui fu protagonista, facendo il sagrestano nela chiesetta di Viale Caprera nel quartiere dela Venezia Livornese.


Io e Dino siamo nati sull' angolo di Viale Caprera e per questo a Livorno veniamo chiamati Veneziani. Sta chiesetta si chiamava mi pare dell' Assunzione dela Vergine e di San Giuseppe e fu eretta ntorno ai primi der 700. Fu attiva per tanti anni ma poi venne sconzagrata e ora dovrebbe ospità un museo o un luogo per eventi culturali, il nome attuale è chiesa del luogo Pio. Un giorno mente puliva, Ampelio s'abbassò pe raccattà di terra na moneta da du lire e nell' inchino gli partì un curreggione di quelli che che ci vorrebbe la telecamera e il sonoro pe immrtalalli. Ma  e s'era a metà dell' ottocento ed era tanto se c'erano le candele. Il fatto in sè sarebbe stato abbastanza normale se si pensa che fagioli e patate facevan parte dei piatti base della cucina povera di quegli anni e ritorneranno in gran voga se si va avanti di questo passo. Mollare un curreggione di quella fatta in chiesa un era proprio r massimo dela convenienza ma c'erano solo tre o quattro vecchine che s'erano attardate per pregare o forse perché in chiesa c'era più cardo che a casa loro.

Il fatto è che mentre s'era chinato, Beppe si trovava proprio davanti a una rastrelliera da candele di velle che ci si mette l' offerta e s'accende la candela ar santo, al cristo o ala madonna che più ci garba.


Pare, a detta de ricordi che ci ha trasmesso Don Luigi, che sta madonnina venisse detta Madonnina dela Meloria e fosse  venerata perché la si riteneva  operatrice del miracolo che vide la flotta pisana distrutta ar tempo dele repubbriche marinare. L' immagine riportata non si riferisce, nelo specifico proprio a quell' altarino, è solo per rendere l' idea. Attualmente la chiesa pur conservando la sua struttura è totalmente  disadorna. All' epoca de fatti narrati la chiesa si presantava più o meno così

Ar momento le candele di quell' altare laterale erano l' unica fonte d' illuminazione della chiesa e le poche beghine presenti s'eran disposte lì ne pressi per avere un poinino di lume e anche perché Ampelio, facendo le pulizie procedeva con metodo, dopo aver pulito un area la chiudeva tirava da parte a parte un cordone legato a due secchi in modo che nessuno gli ci pesticciasse sopra e tutto fosse pronto per quando sarebbe arrivato r prete. In questo modo si pol dire che l' unica area era praticabile era rimasta quella indove si trovava lui e quelle donne.

Ar boato la Madonna fece finta di nulla, n'aveva sentite tante di scurregge in vita sua, d' umane e di divine che puzzano da stiantà ma un si pole dì sinnò si va all' inferno. Così non lo prese certo pe un gesto di poco rispetto, del resto anche lei nel dare alla luce r su bimbo nela stalla di Betlemme un s'era potuta ritenere durante li sforzi e prima der bimbo dar davanti dar didietro gli era sortita un' aria compressa che aveva perfino spettinato r bove  digià in posa, nzieme ar ciuco pe pittori dell' epoca. Pe le pie donne un fu diverso. La scurreggia  di sicuro la sentirono, era impossibile far finta di niente ma anche loro erano abbituate a quelle de su mariti, de su figlioli e anche a quelle di loro stesse perché quando mangi patate e fagioli omo o donna che tusia sei soggetto ala legge del Calenda. Un vi confondete,  un parlo di quer politico che si vede spesso in tv e che mostra un presunzione che ha perfino fatto preoccupare Odifreddi, Bassetti e tutti i più quotati nel competere per l' ambito primato dello stare su coglioni ai più.

La legge der Calenda che visse nel seicento a Guardistallo recita: Pel prencipio di Calenda quer che la bocca ingolla r culo renda. Che poi si pol compendiare e corroborare  con l' assunto ben noto di una dele tavole della scuola di medicina salernitana in merito ai gassi ntestinali: tromba der culo sanità der corpo l' omo che non scurreggia è n omo morto. A sto proposito, dato che si parla tanto dele diseguaglianze senza fa na mezza sega in proposito, dichiaro con ferma voce, piena responsabilità e assoluta onestà intellettuale che tutto ciò che ho riportato si applica anche ale donne le cui scurregge quand'anche per una certa forma di verecondia risonino meno dele mie e di velle dell' omini in genere, sono altrettanto e ancor più venefiche per la mefiticità del contenuto gassoso che foriesce. Svettano per acutezza le loffe giò note al poeta Orazio che nel De Pirito scriveva

Quattuor sunt genera piritorum: piritum siccum, piritum cum rotellis, lofia et catalofia. Piritum siccum facit romor Bbbuummmm, piritum cum rotellis facit romor  brrrrrrruuuummmmmbruuuum, Lofia facit romor fffffffffffffff. Catalofia non auditur sed maxime foetens est

Un si sorpresero donque pe la scurreggia in sé ma quando la chiesa rimase totalmente ar buio perchè lo spostamento d'aria aveva spento tutte le candele gridarono ar miracolo umano ed escirono sula piazzetta antistante la chiesa gridando all' evento "Boia gente co na scureggia Ampelio ha spento tutte le candele dell' altare ala Madonna dela Meloria". Diffusasi che fu la notiza, Ampelio da quer giorno doventò Ampelio Dal Rombo e a tale appellativo ebbero  diritto  tutti i su discendenti: Nanni dal rombo r su figliolo, Alvaro dal Rombo r babbo di Beppe e ala fine il nostro Bebbe. "

Delle cui gesta vi renderemo edotti nela prossima  puntata, aggiungo io, salutandovi e augurandovi Buona Domenica

Dani



domenica 16 ottobre 2022

fatevi i gatti vostri n. 1960 "Alla ricerca dell' uccellone....."

Pare che nei giorni intercorsi tra le votazioni e questi, in cui prencipia a presentassi in Parlamento, Giorgia fosse guasi sparita. I giornalisti che la volevano ntervistà doventavano matti a cercalla in giro pe Roma. Appostati sotto a casa sua giorno e notte s' empivano di dolori pel contrasto di temperatura  ma nisba. Poi grazie a uno di Pisa che lavora ne servizi segreti ma un gli riesce di tené segreto neppure quando scurreggia lui o quando piscia la su moglie, è arrivata la rivelazione. Giorgia era in giro pell' Italia in cerca d' un uccellone. "Chiamala stupita" direte voi mie maliziose amiche, ma un è affatto come potreste avé penzato: l' uccellone oggetto dele brame di giorgia un era roba pele terre der tinaledi ma  era un aquila viva per la quale pare che leilì abbi scomodato anche r vuvvueffe . Sempre a detta der Pisano, però, resulta che l' abbino mandata n culo. Perché,  a sentì lorolì, l' aquile  ar vuvvueffe le sarvano  mica le vendano. Ala fine  ne carteggi de servizzi, accui ha avuto accesso la nostra fonte si riporta che si sia  dovuta rivolge a talebani che in Affeganistann d' aquile ce n' hanno da buttà via. C'era però il problema che i Talebani cor una donna si rifiutavano di parlacci e gliene importava na sega se presto sarebbe doventata presidente del conziglio d' Itaglia. R capo tàleba pare abbi commentato: "in quer paese di merda pieno di donne maiale che girano cor culo e le poppe di fori, di finocchi, di lesbiche e di omini che si caano addosso quando Baide gli fa "Bù" era normale che facessero comandà sta mezzasega di donna". Ala fine la parentesi affegana è stata accantonata e  Giorgia, s'è diretta a dei partnerri europei che l' hanno ndirizzata  a un imbarzamatore di Amburgo.  L'omo che si chia Dieter Balzàmer  aveva n' aquila mbarzamata conzervata religiosamente  fra na busto  di Hitle e na foto  di Mussolini. La trattativa dapprima sembrava difficile pe l' affezzione ch l' omo dimostrava ne confronti di quer pennutone mpagliato ma quando Giorgia ha spiegato che lei l' aquila la vole per rievocare il famosso uccellone che Benito eresse a simbole der fascismo ner periodo mperiale 


il bon tedesco, guasi soggiogato dala logicità di cotanta argomentazione, s'è messo sull' attenti , ha arzato r baccio e ha vociato "ai itle". Un saluto che mplicava anche n' accettazione ncondizzionata dela richiesta. Ha domandato solo n' intercessione  perché r su figliolo  possa presentare ar ministro dela tranzizzione itagliano, n' invenzione der su figliolo. Detto bimbo, che si chiama Adorfe,  è ngegnere ed ha progettato un forno che invece che a gasse funziona con deli specchi solari. In pratica ha ricicciato li specchi ustori che Archimede addoprava pe  bruciacci le navi che assediavano Siracusa. La parte innovativa pare conzista ner fatto che la temperatura è regolabile come quella che si usa pe la cremazione de defunti e allargando li specchi e dirigendoli opportunamente ci si possano brucià anche na ventina di perzone ala volta e uné necessrio che sieno morte si possan brucià anche da vive, berciano un po' ma il resultato è il medesimo. La cosa c'è sembrata un po' nquietante ma r pisano è n pezzo grossettino laggiù a servizzi segreti e se un ci si fida di lui di chi ci si fida?

Certo se la Meloni avesse ritirato fòri direttamente  la simbologia dell' aquilotto a guisa d' emblema e guasi come dichiarazzione d' intenti, sarebbe stato difficile accettallo o per lo meno Letta avrebbe detto che stilisticamente si poteva fa di meglio e Calenda avrebbe sostenuto che era un plagio perché l' aquila era stata inventata dar su bisnonno e lui ne deteneva i diritti, ma sapete come vanno le cose: per ora s'è dovuto accettà La Russa a fa r presidente der Senato e Lorenzo Fontana quello dela camera, du stinchi di santo cola mente aperta e liberale tutti e due. 

Già questo mi pare dimolto peggio di quell' uccellone che la presidentessa der conziglio non potendosolo mètte davanti se lo metterà didietro, ale spalle voglio dì un penzate sempre male voialtri costì.

Ho chiesto a Dino:

"E ora che si fa Ciampino?"

"E che voi si faccia bimba?" M'ha replicato, come i gesuiti che a na domanda ripondan co nantra domanda

"Un hai nemmeno un'idea Dino?"

"Boh vole dì che si sonerà "bella ciao", armeno si farà contento Santoro".

"Ma orami mi sa che sta cosa di Bella Ciao è nflazionata di brutto, Netteflixe l' ha messa addirittura come sottofondo a na lotta di bande rivali di teppisti."

"Stai bona bimba- m'ha ridetto- ora bevo, poi mi metto lì   cor pentagramma e  la rscrivo co tempi cambiati come se fosse na danza ungherese. Gosì garberà anche a Orbanne e se Dantino un mi fa bestemmià troppo si fa così:  io faccio tutto r contorno, r tu babbo ci fa la batteria poi si manda sta base a quelk popò di duro lassùe  e lui, forze dopo dugento, tentativi riescirà a fa la parte  solista coll' armonica, poi ir mixaggio e la ripulitura  le devi fa te nzieme a Samatta.


Nzomma credetemi ci s'è lavorato anche di notte ma il resultato c'è stato, armeno ar Ciampi gli è garbata tanto che ha detto: "Senti sto nato dancane sona meglio ora che è rincoglionito che quand'era pieno di fiato e poi volevo che l' armonica qui resultasse davvero r violino de poveri e devo dì che Dantino c'è riescito abbastanza". E allora  speriamo garbi anche a voi tanto più che se un dovessite avé l' occasione di cantalla in parecchi la potete ballà in due o anche da soli.

Bona Domenica

Zanza

lunedì 10 ottobre 2022

fatevi i gatti vostri 1959 quando è merda......come Armandino entrò ala Stanicce nvece che nei Pu


Posto oggi di lunedì perché ieri s'era d'accordo co Dani che avrei scritto io la paginetta domenicale ma poi al barre c'è stato dimorto movimento e un ho trovato du menuti pel piccì. 

A luglio, il 24 pe la precisione, s' è trasferito ne prati indove razzolano Esserino e Ito anche Vittorio De Scalzi. Chissa perché quando moiano alcuni cantanti se ne parla pe un mese e nvece per Vittorio la cosa e passata quasi inosservata eppure luilì in campo musicale aveva fatto tanto, anzi tantissimo e ad altissimi livelli.

Ma cosa centra il pur grandissimo De Scalzi col raccontino che sto per propinarvi? Si magari è vero che anche ner su caso si pole a rgionè applicà l' adagio che recita: quando dice merda... hai voglia te a stringe r culo....Ma c'è un altro punto di congiunzione, una canzone stupenda che De Scalzi scrisse con de andré e  e che cantava divinamente. Noi al Bar Nado gli vogliamo rendere omaggio con una cover cantata da quella che da sempre è la nostra meglio voce, vella del babbo di Sama, Armandino Fabbri che, come parecchie volte ci avrete sentito dire, per poco un entrò a far parte dei Pooh. Oggi vi racconto proprio quel poco che lo tenne fuori dal grande complesso e poi ditemi voi se non è vero che quando è merda è merda.... Intanto sentite la voce di Armando stupenda anche se  i vapori dela benzina gli hanno bruciacchiato la gola rendendo bella e profonda la su tonalità ma togliendoli quarcosa in modulazione ed espansione. All' organo manco a dillo c'era r Ciampi. La registrazione risale a  una diecina di anni fa  e fu fatta  su cassetta. Allora  al Bar Nado un c'era ancora la saletta musica e si sentivano le voci e li schiamazzi di fondo dell' avventori, Non sono riescita a ripullilla perfettamente perché mi si sciupava la bellissima voce di Arma e così ho preferito solo renderla digitalizzata senza ritocchi 

Bon ascolto.

Quando è merda è merda.... vicenda vissuta     trascritta da un racconto di Dino Ciampi. by  Zanza

Armandino Fabbri, a detta di Don Luigi, era una dele meglio voci che il bon prete  avesse mai sentito cantà. Don Luigi s'era sempre dato da fa coi cori di chiesa ma non si vergognava neppure a intonà Miniera dei Newtrolls o altri pezzi che richiedevano na certa predisposizione vocale. Armandino era nato a Livorno ma quand'era piccino di 3 mesi ir su babo era stato assunto all' acciaierie di Piombino e, stanco di fa nzù e ngiù tutti i giorni, cosa che pe fa il turno di mattina lo costingeva ad alzassi ale 3 e mezzo, sera trasferito a Piombino cola su moglie, la su primogenita Luciana e il piccolo Armando. Armandino era donque cresciuto a Piombino ricavando dalla città lo spiccatissimo accento un pò strinto sule vocali speci la "e" che differenziava la palata locale da quella classica livornese, più aperta e strascicata. Come tutti quelli dela su epoca era cresciuto cor mito dei complessi musicali esattamente come r mi babbo, Dino, Dante e compagnia bella. A Don Luigi era arrivato mandato dal prete dela su parrocchia che, pur conoscendo il su babo come comunista mangiapreti, di fronte a quella bella voce un se l' era sentita di fa quistioni di politica. Così aveva scritto a Don Luigi, che aveva na sorella professoressa di musica al Mascagni, il blasonato conservatorio livornese, e gli aveva chiesto come era normale fare fra preti e non solo, una raccomandazione per fare entrare Armandino al conservatorio. Ci fece un anno solo  ar Mascagni r nostro Arma perché la disciplina un  era il su forte e perché a parer suo quando ci dava dentro coll' ugola faceva passare in secondo piano anche i pupilli in grazia a su inzegnanti. Così mentre cercava lavoro entrò a far parte di ogni complesso che si formasse  tra Piombino e Livorno e molti gli facevan la corte perché era anche un eccellente bassista cola chitara elettrica. 

Capitò in quell' epoca  che i Pooh perzero Riccardo Fogli  che s'era perzo tra le zampe dela Strambelli e si dovettero dà da fà a cercà un rimpiazzo. Ner contempo Armandino era entrato a fa parte dela scuderia di  Ivano Torlai, di Shangai, un popolare quartiere dela nostra città. Il Torlai  era un inzanzinone cole pretese di menager musicale, ma aveva un credito che un andava oltre la nomea che s'era fatta nei vari barre indove passava bona parte dele su giornate. Il Torlai un aveva voglia di fa na sega ma una dote l' aveva, ascoltava tuttu quello che succedeva ner campo dela musica e quando sepper der buo che s'era creato ne pù, penzò subito ad Armandino. Di voce n'aveva di più e meglio di Fogli e cola chitarra poteva avé come rivale ar massimo ir Ciampi che però non amava il basso e col su carattere impossibile  un sarebbe mai entrato in un complesso. Non so se i Pooh in perzona or su menager  s'interessasse ale convocazioni, fatto sta che il Torlai un giorno entrò trafelato da Nado tutto sudato e concitato e chiese come si potesse fa ad avvertì Armandino darto che i Pooh eran disposti a concedegli un' audizione.

"Boia dè! E si svorta ragazzi, se lo sentano lo pigliano! E se lo pigliano il Torlai lo vedete arivà cola Ferrari" annuncio manifestando un emozione ncontenibile. Siccome il Torlai era noto pe sparalle grosse s'era in dubbio  se si fosse nventato tutto pe fa na pottata o se ci fosse del vero. Fatto è che seguitò in quella affannosa ricerca, andette a rompe perfino le palle a Don luigi mentre confessava n chiesa e ala fine, non avendo Armando il telefano a casa, andette all' ufficio postale e gli mandò un telegramma.

"Causa notizia Pù urge contattà  Ivano subito"

Il telegramma arivò e lo ritirò la mamma di Armando ma luilì era a trombà co Roberta,  che poi  sarebbe doventata la su moglie e dopo i rituali rounde che eran d'obbligo a quell' età, s'era fermato a dormì lì perché i genitori di lei erano in vacanza sull' appennino tosco-emiliano, di dove era originaria Roberta che aveva approfittato pe fa l' alcova ncasa sua. Quando dice merda.... sì perche Roberta era di Livorno e stava a du passi dal Bar Nado ma nessuno sapeva che Armando era da lei. Disperato perché un aveva risposta, il Torlai, che nel frattempo aveva bevuto quanto poteva, dicendo ar mi nonno di segnà che tanto dopo quell' audizione gli avrebbe pagato il doppio per ogni bevuta fatta, prese na decisione drammatica, si fece prestà da Dino la lambretta der su babbo. Dino sapeva che Renatino un gliela avrebbe mai imprestata ma capiva anche l' importanza di comunicare co Armando e con mille raccomandazioni gli conzegnò la lambretta. Il Torlai, briaco, euforico ma anche ansioso di trovà Armando imboccò  l' Aurelia come se avesse na Ferrari sotto ar culo ma a Bibbona, per l' esattezza ala California, prese male na curva ed entrò in fossetta spaccandosi il capo sul tronco di una cascia. La lambretta, na volta ricuperata, resultò tutta interrata ma intatta. Lui lo portarono a Pisa che un si ricordava neppure come si chiamava e così il giorno dopo Armandino tornò a casa prese il telegramma dale mani dela su mamma e telefanò al Torlai ma a casa del Torlai un c'era nessuno e così  penzò a na presa pel culo.

Nel frattempo Dino e Dante cercavano la lambretta e al barre nessuno sapeva dove fosse il Torlai. Dopo du giorni a Roberta gli tornò voglia di sentì quarcosa fra le zampe e siccome i cellurari ancora un erano neppure stati immaginati, chiamò na comune amica di Piombino perché dicesse ad Armando che quella roba era pronta ancora calduccina che pareva di forno e che se poteva era bene che passasse a prendela lui ala sverta  prima che gli toccasse dalla a quarched'un artro. Solo lei e Armando sapevano che un si trattava di roba da mangià. Armando tornò a Livorno ritrombò quanto gli conzentivano le forse di quella stagione giovanile e si riaddormentò a casa di Roberta. Per fortuna, ma fu na fortuna per modo di dì, la mattina dopo venne ar Bar Nado a fa colazione e Nado che allora conduceva il barre lo apostrofò:

"Boia bimbo è venuto a cercatti il Torlai blaterando che potevi entrà ne Pooh è venuto anco a cercatti cola lambretta di Renato ma è sortito di strada e solo ierzera s'è saputo che è a Pisa co na commozione cerebrale da stianto."

"Budella  maiala rotta ner culo di Eva" sbottò Armandino, " e penzavo mi pigliasse pel culo e ora come cazzo  li contatto i Pù io?". Cercaron sull' elenco del telefono ma ala P un c'erano. Allora Nado che aveva cervello suggerì: "la mamma der Fogli sta a Pontedera proviamo a chiamà lei anche se r su figliolo è sortito dar complesso. Se ci si fa a rintracciallo vedrai che lui un recapito de su ecse compagni lo deve avé." Rispose la signora ma seppe solo dì che r su figliolo un lo vedeva e che da quando aveva perso r capo per quer tegame  veneziano lei un sapeva più  indove trovallo. Ala fine, cola lambretta recuperata da Carabinieri, Dante lo accompagnò a Pisa n traumatologia e il Torlai un parlava ma capiva gli fece cenno di prende il portafogli ne calzoni riposti nell' armadietto e lì Armandino trovò il numero benedetto del manager dei Pooh che, contattato immediatamente. rispose che ormai erano a posto la sostituzione era stata fatta.

Per qualche tempo  Armandino fece coppia musicale co Roberta e raccattarono qualche soldo facendo serate e cantando ai matrimoni ma un era vita, come un era vita per mi babbo e la mi mamma che dopo qualche anno di quel lavoro avevan capitolato rilevandoil bar del babbo di lei. Ala fine  grazie a na raccomandazione der solito Don Luigi Armando entrò ala Stanicce, na raffineria ENI da sempre a primi posti pe la produzione di cancheri benigni e maligni, quest' urtimi i più diffusi.





Poro Armandino da poté entrà  Pù a entrà ala Stanicce indov'è rimasto tutta la vita a respira benzine.... Dopo un po' si sposò co Roberta fecero Samatta e poi Camilla e la musica fu riservata ale occasioni conviviali che ogni tanto si organizzavano al bar Nado.

Bona Domenica a tutti

Zanza


domenica 2 ottobre 2022

fatevi i gatti vostri 1958 "Dino e r ciu'o di Buridano"

"Zio qual' è il brano per armonica che preferisci in assoluto?" gli chiedo mentre aspettiamo che le tazze di caffelatte fumante perdano un po' di bollore e ci consentano di portarle alle labbra. E' domenica mattina e mi sono concessa la sveglia alle 8 e mezzo. Lo zio è in piedi da prima ed ha preparato la colazione. La zia  invece ha preferito occupare il bagno prima che Balena Cice ed Emma lo arricchiscano con gli effluvi delle loro deiezioni. Non ci vuole molto a creare un po' di privacy, basta mettere almeno 2 delle tre lettiere in corridoio, chiudersi a chiave e  godersi una vasca rigenerante ottenuta  grazie alla copiosa quantità di acqua calda preparata sulla stufa. Purtroppo la stufa  c'è bisogno di accenderla e così, anche questa mattina, zia Holly  si è alzata alle sei ma poi si è infilata di nuovo sotto le coperte coi gatti addosso. Lo zio ha provveduto ad alimentare la camera di combustione e a curare la temperatura dell' acqua. Tornando alla mia domanda iniziale mi risponde dopo aver riflettuto un poco: "Nel classico sicuramente libiam ne lieti calici seguito a brevissima distanza dala polca brillante, nelle cover di canzoni famose non ho preferenze, forse "una carezza nella sera" la spunta per un pelo sulle centinaia di altre che mi garbano. Nel country style la lotta è dura anzi durissima ma scelgo teicmiòm cantri rod di Denver per un simpatico ricordo che vi associo ogni volta che la rammento". 

"Racconta dai! E' tanto che non sento una tua rievocazione" lo incito.

"S'era al mare, a casa dela mi zia, io er Ciampino. Credo fosse r settantaquatto perche s'andava digià all' università. Io avevo i capelli lunghi e la barba e Dino eguale ma mentre a me i capelli mi si allargavano a formare na specie di  cespuglio e la barba mi copriva r viso, Dino aveva i capelli dritti lunghissimi e una barbetta stenta che lo faceva sembrare Gesù Cristo. Dopo na giornata passata a cazzeggiare quando arrivava la sera o meglio r dopocena, scattava l' ora icchisse ovvero quella del "rimedio". Col che si intendeva non rimediare a qualche torto ma rimediare na ragazzotta pe quella sera e cor un po' di culo anche pe la notte.

Il Ciampi, sebbene già storto e di gusti difficili, aveva comunque l' ormoni in ordine ed era difficile che ner mucchio un trovasse quarcheduna che lo facesse recedere dale su numerosissime esigenze miste a fisime. A livello musicale si facevano più o meno sempre i medesimi pezzi. Ciò per mia ovvia e riconosciuta incapacità nel gestire un repertorio ampio come quello der mi compare. Dopo mesi passati a rompermi le palle sur tempo, sull' entrate, sule tonalità ala fine Dino mi aveva affibbiata la sufficenza su na diecina di pezzi tra i quali quello che più lo contentava era appunto Teicmiomme che lui sonava divinamente cola chitarra. Lo faceva così bene da far guasi passare in secondo piano l' eseguzzione dell' armonica che pure, nel brano in quistione, aveva la parte del solista. Quella particolare sera di cui racconto, per una misteriosa congiunzione astrale, dopo aver mangiato e bevuto dala mi zia, ci s'era trovati d'accordo sul fatto che la serata un poteva dissi concrusa degnamente se un si fosse riesciti a rimedià du tope compiacenti disposte a fa mattina nzieme annoi. Arivati ar solito baretto sula spiaggia dopo un par di bevute ci s'era spostati più vicino ar mare, io avevo acceso un ber foco e s'aveva prencipiato a sonà. 


In poco tempo s'era formato n capannello  composto per la maggior parte da ragazzotte. I  maschi, difatti, non avevan tanto in simpatia il fatto che questi du menestrelli si pigliassero la scena come primattori e s'erano levati da coglioni, chi da solo, chi tenendo stretta la su bella e allontanandola da un così evidente pericolo. Si sonò, si bevve, si stava bene c'era odore di mare, di legna bruciata e... di topa intorno annoi. Le ragazze cantavano e s'erano quasi divise democraticamente in du settori, quelle piccine, intendo infine a sedicianni massimo diciassette, sbavavan per Dino e lo rimiravano coll' occhi sfavati, quelle un po' più grandine mi pareva avessero un po' più d'attenzione per me e io ogni tant, afflitto dar quer timore che è compagno dell' omini e  tarvolta attanaglia anche i più rodati, lasciavo l' armonica in una mano sola e con quell' altra saggiavo dala tasca de mi carzoni se r mi socio nele battaglie pelose fosse pronto a un eventuale prova d'efficenza.  Ho parlato di battaglie pelose perché all' epoca la depilazione laggiù era poco in uso e famosà fu l' uscita di Bòzzolone da Stagno che ala prima depilata che incontrò riferì da Nado "Boia de mi sembrava di rivoltà un monticino di frattaglie". Intanto la serata seguitava e si trattava, a sto punto. di fare in modo di prolungare il più possibile la serata facendo capire ale due che ci garbavano di più che ormai si sonava per loro e che ci sarebbe piaciuto concrude la serata nzieme. E qui il Ciampi, che a sonà era divino ma a capì le situazzioni pareva davvero mbecille, prencipiò a demolì ogni strategia. Io ero mpegnato a parà la mi parte di gregge ma venivo distratto dar su comportamento, per me terribile presagio presagio che ne avrebbe combinata una dele sue. Intanto era guasi mezzanotte e il gruppo iniziale s'era ridotto. Nela mi metà vedevo, con un certo timore, anche arcune presenze che, in fatto d'anni, mi mi davano na bella giunta. E' questo un modo di dire in uso nel biliardo o in giochi simili quando un contendente è superiore all' altro e per invogliarlo a giocare gli consente appunto di aggiungere un po di punti allo zero iniziale da cui entrambi dovrebbero partire. Nell' uso comune lo si associa anche ad altre situazioni e in questo specifico caso lorolì mi eran superiori, ovviamente in anni e di giunta m'avrebbero dovuta affibbiare armeno na ventina se non di più.   Invece di penzare la cosa più ovvia, forze contaminato dala demenza der Ciampino, navigai cola fantasia e ci volsi vedere quelle che ora con perfetto acronimo ngrese si chiaman Milf (detto in parole povere mamme tombabili). 
Il Ciampi intanto seguitava a fa come r ciuco di Buridano che ndeciso tra na balla di fieno e una d'avena stiantò di fame. Gli mollai na pedata n' uno stinco e riescii a digli: "Ti decidi o no testa di azzo?". E lui si decise, certo che si decise...nel verzo sbagliato come c'era da aspettasselo. Prencipiò a fissà dritto nell' occhi na biondina che era la quintessenza der bello e der delicato, di quelle che r mi omonimo Alighieri ci si sarebbe sfatto di seghe n rima. Mi pareva però che, sebbene ir buio non aiutasse a distingue bene, la biondina dovesse esse la più giovane di tutte le presenti, decisamente troppo giovane, pensai. Ormai presa la decisione ir maestro der penziero logico si messe a fà quarche piccola avance tra na canzone e l' altra chiedendole quali canzoni volesse sentì e mettendo così me nela merda perché ir mi repertorio come già detto, era esiguo. Poi la chiamò principessa, fatina, capelli d'oro e un so quant'altre cazzate melenze gli vienzero a mente. Fatto sta che, vistesi messe n secondo piano, in breve, le astanti che pendevan da capelli di Dino si levaron di ulo tutte, fori che la biandina. Quando mi resi conto che pe sta dietro all' idiozia der mi amico m'ero guasi dimenticato di curà la mi parte di odienze, guardai ala mi destra. Vidi che era sopravvissuta solo la più matura dele signore presenti. No che fosse da buttà via, aveva du belle poppone fellinane e un culo che faceva provincia ma doveva avé più der doppio de mi anni. In ogni modo,  nela mi testa, ancora non ben  avvezza a capì  come funziona r mondo, mi volsi immaginà  un fine serata a 4 co na mamma e na figliola. A Dino l' inesperta fatina e a me la prova di idoneità ale mature da sostenere  con quel bel monte di roba come esaminatrice. Un pochino  m'intimoriva ma r socio occulto mi rassicurava e un mi sarei tirato ndietro.  Certo mamma e figliola....mi pareva na cosa buffa... da noi un eran  conzueti questi lacchezzi ma queste un eran del posto, magari erano emancipate a modo suo e un  si facevano scrupoli nel condivide i medesimi intenti tromberecci. Proprio in quer momento Dino contritissimo mi sussurrò: Boia Dantino ho toppato di brutto! Ha 13 anni ancora da fenì. 
"La mia n' ha parecchi di più caata", replicai e propio in quer momento la principessina, con voce delicata e quella inflessione gracidante tipica delle milanesi  ci disse: 

"Scusateci, siete fantastici, sarei rimasta fino all' alba ad ascoltarvi ma la mia nonna comincia  ad essere stanca" e recuperata la signora ala mi destra alla quale ciondolava già r capo ci lascio soli davanti ar foco che si stava spengendo."

"Fine" annuncia lo zio e io penso che se al Bar Nado i maestri di corteggiamento sono stati questi posso ben comprendere le goffaggini del Tafàno.

 Ho esteso il raccontino a Zanza che ha riso a crepapelle ed ha commentato: "R' mi babbo a Dino lo chiamava "smerdagiochi"  attributo che si dà chi ti fa l' autogolle a pallone o che se l' hai per compagno a briscola ti fa pèrde anche se avete l' asso r tre. l regio e i carichi di ricambio". Poi nel magico archivio del Bar Nado ha trovato una vecchissima registrazione



dei due, impegnati nella cover strumentale della bellissima canzone di John Denver. Un pezzo che in anni passati vi abbiamo sicuramente proposto ma non in questa versione che era addirittura registrata su cassetta ed è stata convertita ad hoc dalla mia impareggiabile amica.

Buona Domenica

Dani