domenica 20 giugno 2021

fatevi i gatti vostri " L' ultima lotta: Addio a ITO "

Verso la metà di maggio alcuni membri di una coperativa che si occupa di servizi sociali avvistarono un vecchio gatto ferito e quasi moribondo con grandi lacerazioni a una zampa, presumibilmente da incidente, ormai era quasi agonizzante ed anche ricoperto di mosche ma portato presso una associazione che si occupa di animali feriti i veterinari riscontrarono che le ferite derivavano da un combattimento all' ultimo sangue con un grosso cane. Il gatto parve reagire e  dopo una settimana fu riportato a casa. Il bello è che Ito, perché di lui si trattava, una vera e propria casa non l' aveva mai avuta. La volenterosa vicina di Dante gli allestì una cuccia nel suo giardino e il gatto continuò a mangiare e a sonnecchiare, sempre con troppe mosche intorno ma abbastanza vigile. Poi verso il 12 di giugno è iniziato il tracollo forse qualche lesione interna non accertata il gatto perdeva sangue e pus e i veterinari dell' associazione hanno diagnosticato lo stadio terminale. Ieri le anime pietose che si erano prese cura di lui hanno dovuto decidere per l' eutanasia. Dante è stato avvertito solo la sera, a me il fatto pare almeno poco simpatico ma lui non ha avuto alcuna reazione di sorta  ha solo detto a Holly e Dani: "avrei dovuto essere lì" poi ha aggiunto  che aveva bisogno di stare solo e se n'è sceso in campiello vicino casa a sedersi sulla panca di un osteria. Lo ha trovato Dani questa mattina con un mezzo sigaro toscano spento ancora stretto in mano. Purtroppo non c'era nulla da fare Dante se n'era andato col suo gatto.

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Di fronte allo spavento di Dani e di Holly subito accorsa, l' uomo che è sempre stato dietro al personaggio di Dante ha dischiuso gli occhi si è alzato piano piano ed è andato a casa seguendole in silenzio.


La grande saga di Fatevi i Gatti Vostri finisce qui. Non si tratta della reazione ad un dispiacere ma di una decisione che aleggiava da quando ci lasciò Esserino. A me l' ingrato compito di darne notizia e, credetemi, da questa mattina ho aperto il pc almeno 10 volte senza riuscire a cominciare.


Con grande dispiacere vi salutiamo ma ormai non sussistono più le condizioni perché questo blog vada avanti. Bobby ha espressamente dichiarato che non può e non  desidera occuparsi più di queste pagine. Dante come vi ho detto è morto insieme col suo gatto ed è la fine che gli sarebbe piaciuta scrivere anche personalmente. Chi ho sempre chiamato Dante non se la sente più di recitare questo ruolo e non me la sento di giudicare la sua scelta. Dani è stanca, stanchissima e si rende ormai conto che alla soglia dei trent'anni non può vivere all' ombra della vita degli zii. Non sa ancora cosa farà ma non le interessa rendere pubbliche queste decisioni.

Lo stesso vale per me sono provata dal lavoro, dai pensieri dall' insoddisfazione. Io scrivo per mestiere e forse avrei potuto continuare a farlo ma come avrete capito da tempo, sebbene io esista e come me esistano Dino, i miei genitori e le mie amiche, la realtà non è esattamente quella fiabesca di un Bar Nado che apparteneva a una Livorno che non c'è più ed era  scomparso ancor prima che nascesse questo blog. 

Lavoro è vero al bar dei miei ma non si chiama Nado e non gli somiglia neppure un poco. Nei miei racconti la parte autobiografica è stata preponderante, non è nelle mie corde attriburmi la partecipazione a tragedie e amori solo in nome della fiction ma non me la sento di continuare a descrivere giornate fatte di ricerca di sé stessa in un bicchiere di birra  o nell' ennesimo approccio sentimentale sbagliato.


Vi saluto tutti con grandissimo affetto e sappiate che con me lo fanno tutti coloro che hanno preso parte a questa avventura durata 14 anni. Volevamo raggiungere il numero 2000, meglio di no! Quando si parla di cose umane meglio non porsi traguardi olimpici, sono d'accordo con quanto disse Dante un po' di tempo fa credo pel compleanno di Balena. Allora lo deridemmo ma sento che aveva ragione.

Oggi ho dovuto scrivere della morte del grande Gatto Ito ma inevitabilmente mi troverei a dover scrivere di quella di altri amici, dei miei  genitori, forse di Dino, forse  di Dante. E' la vita lo so ma non amo la cronaca. Io amo le fiabe, specie quelle che finiscono con e vissero felici e contenti.

Vostra


Mariangela Fabbri (Zanza)

Prego gli affezionatissimi lettori di non chiederci di continuare. Risponderò ai vostri commenti per tutta la prossima settimana poi concorderò con Dani se lasciare in rete quel che abbiamo scritto finora o rimuoverlo.

sabato 19 giugno 2021

Fatevi i gatti vostri 1875 "Bastasse un vestito pe ammazzà chi dico io..."

Stamattina risò partito pel mare. Credo e anche spero che questa sia l' ultima volta. Io mi rompo le palle ala svelta. Ora vorrei fa un po' di giornate di barca e poi sarebbe il caso di movessi ala volta di Livorno. E' da settembre che un ci si va. Holly ha preso di ferie l' ultime due di luglio. Dani s'è fatta un culo incredibile e s'è deciso di mandalla via il primo, così da una mano a Zanza e sta in un bel posto. Io aiuterò Holly nele prime due di Luglio poi se tutto va bene e se si trova chi ci guarda i mici si dovrebbe partì. Altrimenti manderò giù lei per du settimane a raggiunge la su nipote e penserò ai gatti io. Poi al loro ritorno sarà la volta mia di andare giù. In passato abbiamo anche portato i mici con noi ma Balena ed Esserino insieme non erano scalmanati quanto Emma da sola. Cice è più sonnacchiosa ma basta percepisca la presenza di un insetto e doventa tremenda. Balena sta bene ma ha i su anni e la vetrinaria dice che se gli si possano risparmià li strapazzi d'un viaggio è meglio.

Sono tornato a casa abbastanza accaldato e ora ho bisogno di sdraiammi sul letto un par d' ore. Bon sabato a Tutti 

Dante

Ed ecco il titolo odierno: Questo a su tempi fu un filmone su qualche canale tv si rintraccia sempre segno di inossidabile  longevità  io ce l' ho in dvd e in Vhs ma come facilmente immaginerete ho deciso di guardarlo col secondo supporto oggi  di pomeriggio appena mi sveglio, mentre lascio che si attenui il fuoco der sole al piacevole fresco del ventilatore che oltre che a me da refrigerio anche ai gatti stesi mollemente per terra. 

Dante


Vestito per uccidere (Restaurato in HD) (Special Edition 2 DVD) di Brian De Palma - DVD

Vestito per uccidere 


Paese: Stati Uniti
Anno: 1980
Una bionda misteriosa uccisa a rasoiate, in ascensore, una donna di mezza età, Kate Miller, sessualmente insoddisfatta e, per questa ragione, assidua paziente di uno psicanalista, il dottor Robert Elliott. Al delitto assiste una giovane squillo, Liz Blake, che, per aver raccolto il rasoio insanguinato, è fortemente sospettata dal tenente di polizia Marino, che dirige le indagini. Mentre un altro dei suoi pazienti - un transessuale che si fa chiamare Bobby - telefona ad Elliott per dirgli di essere lui l'assassino di Kate e di voler uccidere, come pericolosa testimone del suo delitto, anche Liz. La ragazza e il figlio della morta, Peter, si danno da fare per scoprire chi sia il maniaco omicida. Quando Peter giunge alla conclusione che egli debba essere cercato fra i pazienti di Elliott, Liz, che per farlo ha bisogno di frugare nello schedario dello psicanalista, va da lui fingendo di aver bisogno delle sue cure. Poiché Bobby non è che l'alter ego di Elliott - è questi il transessuale la ragazza, consegnatasi da sola nelle mani del suo probabile assassino, sta per seguire la stessa sorte di Kate. Una valente collaboratrice di Marino, però, che per ordine del tenente aveva pedinato Liz, blocca tempestivamente la mano di Elliott, che finisce in manicomio. La giovane donna resterà per sempre segnata nell'animo dalla sua terribile esperienza.


venerdì 18 giugno 2021

Fatevi i gatti vostri 1874 " la spiaggia che non c'è"

Oggi piove e mi posso dedicare alle cose da scrivania. Coll'aiuto di Dani sono riuscito a scaricare le foto restanti dalla macchina fotografica. Io uso un cellulare antidiluviano con ancora i tasti sporgenti. Dani ha dire il vero mi ha regalato uno dei suoi strusciadito o smartphone che dir si voglia. Io però lo adopero poco e mai al mare. Così  mi porto ancora in tasca una mini Nikon colpix che era di Bobby, antica ormai ma efficente. Il problema del trasferimento immagini stava nel fatto che il cavetto per collegarla al pc lo aveva con sémia nipote o meglio aveva quello funzionante mentre nel bussolotto che contiene tutti gli ammennicoli, di corredo ai dispositivi elettronici di casa, ne aveva lasciato uno che funziona solo quando gli pare. Presentate dunque le scuse afferenti alla tecnologia posso seguitare colla seconda parte dela mi giornata al mare e alla ricerca dela spiaggia che non c'è. S'era rimasti a San Marco, lasciato sulla sinistra  il palazzo dogiale ed anche a  una certa distanza (perché navighiamo più vicini alla  riva della Giudecca),   ci troviamo a superare l isola di San Giorgio.  A dire il vero poco prima abbiamo passato il canale di San Giorgio una delle cui rive ospita oltre alle barche  della Guardia Finanza,  il  rinomatissimo ristorante e l albergo di Arrigo Cipriani (con tanto di piscina)


dove, anni fa, si venne invitati a mangiare dalla cara Costanza. Due sono l' isole che si stagliano davanti a Venezia la prima che abbiamo già descritto è appunto la Giudecca. L’isola di San Giorgio Maggiore  invece è la più piccola delle due e dista poche decine di metri (appunto quelle del canale su cui ha sede il Cipriani) dall’Isola della Giudecca: è un luogo magico e silenzioso, lontano dagli itinerari turistici e, per questo, mantiene intatto il suo antico fascino, le cui radici vanno ricercate nel lontano X secolo, quando i monaci benedettini fondarono qui il primo convento con chiesa adiacente.

Non ci si deve fare  ingannare dalle piccole dimensioni dell’isola perché, in realtà, è un piccolo e prezioso scrigno ricco di storia, arte e cultura: la Basilica è realizzata interamente in stile rinascimentale su progetto del grande maestro Palladio verso la fine del XVI secolo. Da non perdere all’interno l’imponente altare maggiore, opera di Girolamo Campagna e le due grandiose opere di Tintoretto: L’‘Ultima Cena’ e la ‘Raccolta della Manna’. Di altissimo valore artistico è anche il dipinto ‘Vergine con Bambino e Santi’ di Sebastiano Ricci, considerato uno dei capolavori di San Giorgio Maggiore.

Superata anche l isola di San Giorgio si vede avvicinarsi da davanti un transatlantico della Smc orchestra

 un bestione che piglia guasi tutta l acua per se e che impegna ben 3 rimorchiatori due avanti e uno ar culo quando siamo vicinissimi fa impressione è pià alto di qualsiasi costruzione di Venezia 

Sulla sinistra si vedono i giardini dela biennale



 e l' isola di Sant'Elena



e  finalmente davanti a noi si delineano meglio i profili delle case del Lido.

Ci si arriva in pochi minuti,  la Graziella è li impaziente pronta a portammi all' avventura 

il ferry si accosta allo scivolo dell approdo, 

cala il suo ponte levatoio ed io sono uno tra i primi a uscire colla mia Graziella rossa. Sono le 7 e un quarto, ero partito a venti alle sette, trentacinque minuti di tragitto, non male.

Appena sceso a terra, di solito, pedalo per circa 1 km e mi porto sul vialone centrale del Lido,  pomposamente nominato Gran Viale che  parte dagli approdi dei vaporetti a  S Maria Elisabetta e arriva al Blue Moon.




Il gran viale mi piace ha quel kicce che riprendendo Paolo Conte  potrei dire "sa di  mare, di donne di soldi, di mondanità. Faccio colazione volentieri qui anche se la mia mise da mare, bici compresa, somiglia più a quella di un homeless che a quella dei vistosi e piuttosto provinciali frequentatori del lido. Sulla desta del Gran viale si staglia, guasi esagerato nel su sfarzo l' Hotel Ausonia Hungaria


Venezia ha una grande storia e con lei tutti i suoi annessi di mare e di terraferma ma  nonostante il respiro concesso dalla frequentazione internazionale non riesce a togliere di dosso alla gente locale quel provincialismo dal quale son viziate tutte le città italiane con l esclusione forse di Roma e di Milano anche avrei delle riserve su taluni quartieri di queste città. Livorno non lo era ai miei tempi, popolare e popolana magari, dov'ero nato io ma 
comunque traspariva ovunque la Livorno città e porto franco, crogiuolo di nazioni e di vocazione internazionale  che oggi invece si vede poco e con ampie lacune che si tenta di riempire con banali forme di omologazione di massa o peggio ancora con una autoreferenzialità che nulla ha a che vedere con l' antico orgoglio labronico, quello che per intendersi faceva descrivere i Livornesi come gnete che cammina sempre a testa alta e colle mele strette (cfr. C. Malaparte "Maledetti Toscani"). La grossa  catena d'oro al collo del portuale d'una volta era come la medaglia appuntata sul petto di un combattente adesso è la becera esibizione di molti che non hanno mai alzato neppure un sacchetto di cemento da 25 kg. L' orgoglio che avevano i babbi nel mettere in moto la 127 comprata a rate e col sudore di tanti straordinari rappresentava il premio di una umana fatica e non la cialtroneria di mostrarsi diverso o più abbiente degli altri quella che oggi caratterizza chi lascia il porsce caienne a traverso al marciapiede perché qualcheduno venga a chiedere di chi è quella macchina che impedisce il passo.

Spesso,  sul Gran viale, mi concedo un cappuccino e una brioscia  a un bar pasticceria che fa produzione propria. Mentre assaporo il cappuccino i primi effluvi di creme al cocco o di ambre solari mi violentano r naso e penzo a Dino e ar su rapporto cogli odori.  A me, se non stroppiano, come avviene in molti casi, questi odori piacciono mi sanno di mare, come dicevo, di vacanza e di persone in cerca di vacanza o talvolta di fuga da na vita troppo stretta da muri di casa e dall' abitudine. Povere donne, co quer puzzo di cocco addosso e  quer fruscio di parei che spesso avvolgano e celano  i disatri dela cellulite mi pare di sentire a naso il loro desiderio di sentirsi libere e se non proprio belle, armeno piacenti, armeno per quelle due o tre ore al mare dove magari non io (senno Holly mi tronca) ma un bischero come me che dondola lì a giro, buttandogli un occhio addosso pensi: "E nzomma via, è mpo' sfatta la signora ma è sempre trombabile". Dal canto loro quando vedano n settantenne che fa corre na bici come un matto diranno fra sé e sè: "chissà se gli funziona sempre r pisello come i polpacci?" e così a forza di penzieri si fa come rgatto: fra caa e fa lo spiazzo si fa buio e un s'è fatto un cazzo. Così limito ste riflessioni al tranzito ner viale. Stamattina ho in mente un' impresa. Voglio arrivare a na spiaggia deserta che vidi tanti anni fa cola barca, dal mare, e spero di esse bono a ritrovalla. Pedalo pedalo pedalo, la graziella va via agile ma ha le rote piccine e io peso parecchio, l' asfarto è caldo e i copertoni bruciano, speriamo che une scoppino sennò cole pore gambe che mi ritrovo ti ci voglio a rifalla ndietro a piedi. Ho superato la serie dei grandi alberghi il De Bains 


e l' Excelsior

spiccano tra tutti ma tutti hanno un loro tono su sta parte del lido. Ecco supero anche la piazza con architettura fascista indove si fa la mostra del cinema, 

e che ospità anche il Casinò




Ancora una chilomentrata e da un viottolino stretto salgo sui murazzi (descrivere)

Scendendo dai murazzi si trovano tanti arenili abbastanza piccoli compresi tra due pennelli di sassi che impediscano al mare di mangiare tutta la sabbia. Qui fantasiosi capanni fatti con legni di recupero vengono edificati dai frequentatori



Ne passo tanti, il fondo dei murazzi è gruzzoloso e la graziella saltella come una capretta, il sellino mi fa bruciare il culo e i colpi sotto le palle mi pare che un mi facciano punto bene ma oramai sono lanciato.

Vedo na signora cor un cappellone che pare un fungo e le domando quanto c'è ad arrivare in fondo. "Ancora almeno 3 Kilometri mi risponde. Boia dé sono guasi all' esaurimento dell' energie, mi fo forza penzando a quando ero in mountain bike a 5000 metri d'altitudine in Tibette mentre andavo da katmandu a Lahsa. Li si che mi mancava l' ossigeno e gni tanto dovevo dà na ciucciata ala bombola. Coraggio, pedalo ancora, e ogni tanto bevo un po' d'acqua che ho preso a una delle tante fontanelle sul gran viale.

Finalmente vedo l' ultimo pennello a mare e dopo sapre la mi spiaggia. Vota desertissima sula rena solo l' orme dele zampe dei gabbiani. Sento un senzo di gioia come un bimbo che scarta i regali la mattina di Natale. Camino piano su quella sabbia immacolata, 



spingo anche la bici con me, 

se lo merita questa vecchio ciuchino, ecco pianto la bandiera dela mi impresa: è un obrello normale al quale ho segato il manico e rifatto le stecche rotte con del fil di ferro. Lo trovai a un cassonetto e mi garbavano i colori. 

Cor un tubo ho fatto una giunta e lo innesto su un tubino a punta di un vero ombrello da spiaggia. Perfetto. Per oggi ho avuto la mi gioia. 

Dopo bagni e notate da solo mi sdraio e m' asciugo al sole. Mi sembra di non sentire alcun dolore. Verso le 9 e mezzo  riparto, stavolta faccio la strada asfaltata e costeggio la laguna invece che il mare. Sembra guasi che i bagni m' abbiano dato forza, ale 10 e 10 sono alla spiaggia libera vicino all' approdo del traghetto.

Ho un ora e mezzo prima della partenza cosi ripiazzo bici e ombrello, c'è più gente ma trovo un buco abbastanza isolato.

 Ancora un bagno, poi m' asciugo e avvolgendomi nel telo riesco anche a cambiammi ir costume cor uno asciutto.

Sono le 11 e un quarto, in 5 menuti raggiungo il traghetto 


ed ho tempo finalmente di offrimmi un bicchiere di vino al chioschetto che c'è in angolo, uno dei miei preferiti.





Parto puntuale  e il traghetto viaggia spedito

alle 12 e 15 sono al Tronchetto, pedalo ancora verso Venezia attraverso Piazzale Roma spingo la bici sul ponte di Calatrava e a venti all' una schiaffo la bici in cantina e sento pelle scale un bon odore di fritto. Entro in camera pe cambiammi e vedo un altro spettacolo: Balena è li che mi aspetta. Chi fra voi ha bona memoria ricorderà che lo ritrassi così armeno dieci anni fa e poi ne feci un disegno a carboncino, l' invecchiamento gli si si vede davvero poco.

Che bella giornata.

Dante


Mi fa presente la mi nipote che fra i tanti filmi dei quali ci avevate richiesto la presentazione avevamo saltato questo. Tra l' altro la Regista ha per nome e cognome la mi gatta tartaruga e me. E allora si rimedia subito: testo e foto da cinematografo.it 

Via Castellana Bandiera

Sorprendente esordio di Emma Dante: uno "stallo" che non fa prigionieri, metafora di un paese impantanato

18 Settembre 2013
    
3,5/5
Via Castellana Bandiera
Emma Dante in Via Castellana Bandiera

“Ci vuole del coraggio, e una certa dose d’impazienza”: gli Offlaga Disco Pax non c’entrano nulla, ma l’esordio sul grande schermo della regista teatrale Emma Dante può far venire in mente – parafrasandolo – il passaggio di Tulipani, canzone dedicata dal gruppo reggiano all’olandese Johan Van der Velde, grande protagonista della tappa del Gavia del Giro 1988.
“Coraggio”, perché tradurre per il cinema Via Castellana Bandiera (romanzo scritto dalla stessa Dante, edito da Rizzoli nel 2009) è già di per sé un’idea che poteva presentare più di qualche insidia; “impazienza”, la stessa che – immaginiamo – ha condizionato la regista siciliana nel mettere in scena quella che, a tutti gli effetti, è una metafora neanche troppo velata sul pantano in cui ci troviamo da qualche tempo: una domenica pomeriggio qualsiasi, nel caldo torrido di Palermo, due autovetture si ritrovano muso contro muso in un budello di strada, Via Castellana Bandiera appunto. Rosa e Clara (Dante e Rohrwacher) da una parte, la numerosissima famiglia Calafiore dall’altra, con al volante l’anziana Samira (Elena Cotta): basterebbe che una delle due macchine facesse qualche metro in retromarcia per permettere all’altra di procedere, ma non se ne parla. Rosa e Samira hanno deciso di sfidarsi in un duello che non prevede prigionieri, e la situazione di stallo assume con il passare dei minuti contorni sempre più grotteschi, poi drammatici.
Il film di Emma Dante sorprende per la ricerca mai artificiosa di un linguaggio che si mischia, anche esteticamente, al territorio, reso quanto mai naturale dalla prova di tutti gli interpreti secondari, quasi tutti provenienti dalla Compagnia Sud Costa Occidentale della regista, più le due “scoperte” Renato Malfatti (il carismatico e massiccio genero di Samira), nella vita parcheggiatore dell’Arenella, e Dario Casarolo (minorenne palermitano che interpreta il nipote della donna).
Un atipico western governato dal gentil sesso, con gli uomini convinti di poterne manovrare le gesta (al punto di organizzare anche delle scommesse “pilotate” sull’esito della sfida…): il muro contro muro, però, non si risolverà così facilmente. Perché da una parte c’è quello che la stessa Dante definisce un “frangiflutti”, Samira, muta per tutto il film (ma resa fortemente espressiva dalla gestualità e dagli sguardi dell’ottima Elena Cotta, premiata con la Coppa Volpi a Venezia), monolite al di sopra di ogni cosa, immobile anche di fronte al corso degli eventi, portatrice di un ostruzionismo (quello del quartiere) che prende le mosse da una “questione di principio”; dall’altra una donna, Rosa, tornata controvoglia (e per sbaglio) nei vicoli della propria infanzia, bloccata in una situazione – anche sentimentale, con Clara – che la vede impossibilitata a scegliere: davanti a lei c’è il crash, alle spalle un precipizio (letteralmente). Basterebbe fare una piccola “manovra”, ma retrocedere da un’impuntatura – a volte – è più facile a dirsi che a farsi. Bellissimo il finale, camera fissa sulla via popolata dalla corsa affannata e sgraziata dell’intero quartiere, contrappuntata da Cumu è sula la strata dei fratelli Mancuso: chapeau.


giovedì 17 giugno 2021

fatevi i gatti vostri 1873 " chiamate chi l' ha visto "

"Zio ma il post di oggi?"

"E te l' ho detto ieri un riesco a scaricà le foto, o come faccio a fallo?"

"Sì ma pensavo che poi tu avessi risolto"

"Penzavi male"

"E adesso dove sei?"

"All' orto".

"A quale orto?"

"Vicino al camper ho fatto un orticello".

"Ma scusa zio è da stamattina che ti cerchiamo e non rispondi al telefono, il post non c'è....."

"Chiamate chi l' ha visto e ditegli che  la Sciarelli è qui da me che mi racconta di perzona la storia di quella povera bimba di Mazara. Pensava che un avessi ancora capito come stavano le cose e sai repetita juvant, ha preso l' aereo ed è venuta a raccontammela dar vivo"

"Dai non scherzare che facciamo adesso?"

"Il post fallo te, poi mi sistemi lo scarico dele foto e domani lo fo io".

"Ma per cena torni?"

"Boia dé ho anche un sacco di verdure da portavvi".

"Ma come torni in bus?"

"No no torno in bicicletta".

"Con la Graziella magari..." 

"No so venuto col mulo (è una bici robusta da lavoro) ma ritorno colla bicicletta da corsa". 

"E quanto pensi di metterci?"

"Na cinquantina di menuti so 9 chilometri pe arrivà a Marghera e altri 10 scarsi da Marghera a Venezia".

So che riesce ancora a viaggiare sui 20 / 25 all' ora e quindi la stima è attendibile. Avverto la zia che commenta scuotendo la testa: " Poveraccio lui se sta fermo si spegne ma ogni volta che sale in barca sta per due giorni a cortisone. Meglio che scorrazzi in bici che non gli fa male e gli irrobustisce le gambe".

Ogni giorno se ne inventa una per scappare al mattino e tornare alla sera. Io e la zia ci alziamo presto e lui sebbene possa restare a letto non ne vuol sapere. Scende a prepararci la barca, risale, sistema i gatti e poi parte, o va al mare o va al suo camper laggiù sul naviglio del Brenta, gli manca Livorno, il Ciampi, il Bar Nado. Gli manca Ito ed è preoccupato di non trovarlo. Purtroppo la pandemia prima ci ha immobilizzato e ora ci lega al lavoro. Potrebbe andare da solo, la zia glielo ha detto ma lui dice che adesso non è il momento.

Intanto gli ho sistemato le foto era solo un problema di cavetto da trasferimento. Domani riuscirà a terminare il post iniziato due giorni fa.

Sono un po' stanca e un po' bruciata dal sole. Mi faccio una doccia mangio un boccone e poi a nanna.

Ciao a tutti

Dani

La presentazione del  film di oggi, richiestoci via mail  dall' amico Fausto di Jesi, riguarda la vita di Renato Vallazasca

da my movies.it la recensione


UN'ADESIONE TOTALE AD UN SIMPATICO NEMICO PUBBLICO.
Recensione di Giancarlo Zappoli
lunedì 6 settembre 2010

1985. Renato Vallanzasca, 35 anni, è detenuto in isolamento nel carcere di Ariano Irpino. È lui stesso a raccontarci le sue prime imprese adolescenziali che gli frutteranno la prima reclusione nel carcere minorile. È l'inizio di una carriera che, con il supporto di alcuni amici d'infanzia, lo condurrà a divenire "il boss della Comasina". All'inizio degli Anni Settanta inizia ad insidiare il dominio, fino allora incontrastato di Francis Turatelo ma la rapina a un portavalori gli procura un arresto con conseguente evasione dopo quattro anni e mezzo. La battaglia con il clan Turatelo si fa sempre più dura così come sempre più sanguinose divengono le rapine ascritte alla Banda Vallanzasca. Vallanzasca sta scontando una condanna complessiva a quattro ergastoli e 260 anni di reclusione con l'accusa di sette omicidi di cui quattro direttamente compiuti, una settantina di rapine e quattro sequestri di persona nonché numerosi tentativi di evasione. È detenuto da 38 anni.
Michele Placido potrebbe diventare il Lizzani (quello migliore) dei nostri tempi se non si facesse prendere dal desiderio di applicare ogni volta chiavi di lettura e angolazioni 'originali' alle storie che intende trattare. Dopo averci raccontato il '68 dal punto di vista del giovane poliziotto che egli era in quell'epoca oggi afferma: "Non mi interessava entrare nel merito della vicenda. Quello che trovavo stimolante da un punto di vista artistico e creativo era entrare nella mente di un criminale per capire, con un approccio asettico e quasi entomologico lontano da qualsiasi giudizio morale, cosa si prova a stare in bilico fra la normalità e la devianza, a trovarsi al bivio fra il bene e il male e a scegliere deliberatamente il male". Il problema sta proprio qui. Non c'è nulla di più lontano dal Placido regista (ma anche dall'attore) della freddezza dell'entomologo. Il suo è un cinema che, quasi per inerzia, aderisce vigorosamente alle situazioni e ai personaggi che porta sullo schermo. Solo che qui, a differenza di quanto era riuscito con grande lucidità a fare in Romanzo criminale, sta 'addosso' al suo protagonista mettendo quella Milano e quegli anni sullo sfondo.
Un film non può e non deve essere un saggio sociologico ma nella precedente occasione, forse perché sostenuto dall'acuto libro di De Cataldo, Placido ci aveva offerto non solo la storia di una banda ma il ritratto di un periodo buio della nostra storia. In Vallanzasca invece l'adesione al personaggio è, potremmo dire, totale grazie anche a una superlativa interpretazione di Kim Rossi Stuart (ma tutto il cast, a partire da Filippo Timi è all'altezza). Purtroppo l'asserita lontananza dai giudizi morali finisce con il trasformarsi nella descrizione delle imprese di un uomo consapevole del proprio fascino ma incapace di trovare un equilibrio tra le sue pulsioni in cui lo sguardo che si vorrebbe distaccato nei fatti non lo è e l'adrenalina che percorre le oltre due ore di proiezione ne fornisce un'ulteriore prova. Ma ciò che dimostra con grande precisione la non attuazione dell'asserito distacco è l'ultima scena. Che non vi riveliamo ma che fa da sensore dell'ottica in cui Placido, anche senza volerlo (vogliamo dargli credito), ha finito con il collocare il bel René. Un simpatico nemico pubblico. 


Su MYmovies il Dizionario completo dei film di Laura, Luisa e Morando Morandini

Nel 1985 Renato Vallanzasca (1950), condannato a 4 ergastoli, detenuto in isolamento nel carcere di Ariano Irpino (AV), racconta la sua storia, a partire dai furti che gli costarono la 1ª detenzione in un carcere minorile, per culminare, negli anni '70 a Milano, a capo di una banda che fece decine di rapine con 7 omicidi (di cui 4 attribuiti a lui). È la 2ª volta, dopo Romanzo criminale (2005), che Rossi Stuart recita in un film di genere gangster con la regia di Placido, qui come protagonista nella parte di un bandito fascinoso, intelligente e razionale che piaceva alle donne (centinaia di lettere in carcere). Ne esce una interpretazione notevole, frutto di mesi di allenamento (anche per imparare, lui romano, a parlare in cadenze lombarde), che ne fa un degno erede di Volonté, meritandogli anche un posto tra gli 8 sceneggiatori. Che da questo script sia uscito un film stringato, fitto d'azione, ben costruito, recitato benissimo, specialmente da Scianna che fa Turatello, prima rivale in rapine e poi amico di Vallanzasca, rasenta il miracolo. Oltre a Placido (il suo film più riuscito?), i meriti vanno condivisi tra Consuelo Catucci (montaggio), Arnaldo Catinari (fotografia), i Negramaro (musica). Fuori concorso a Venezia 2010, dove più di un critico gli rimproverò l'assenza del contesto socio-politico.

mercoledì 16 giugno 2021

Fatevi i gatti vostri n 1872 " Il detettive Bosce e r mistero dele briosce"

S'arrovella r nostro Bosce 

pe trovare le briosce.

Son sparite stamattina

dalla tavola in cucina

dove sta tutta la spesa 

che ha ordinato la Marchesa

Fiuta n terra piano piano 

come n cane da fagiano: 

"Se quarcuno l' ha mangiate 

l' avrà pure ricacate...." 

Ma per quanto fiuta e lecca 

lui non trova merda secca. 

"Voi vedé che n sto mistero 

c'è di mezzo l' omo nero?. 

Alla tana di quell' orco 

si dirige ed urla: "Porco 

io nel nome d' Arri Bosce 

ti contesto le briosce". 

Gli risponde l' omo stanco:

"Da  tre giorni mangio in  bianco 

dolci e zuccheri interdetti 

pel diabete degli orchetti" 

Bosce allor coll' intelletto 

prova l' ultimo trucchetto, 

preparato un cappuccino 

apparecchia nel giardino.

Ar profumo der caffè

la Marchesa grida "Ammé! 

Mi mancava r cappuccino 

pe dà vita ar mi mattino". 

Mostra Bosce il tavolino 

piega r capo e fa un inchino

La marchesa giunge tosto 

pronta a prendere il suo posto 

Ma pe accavallà le cosce 

fa cascare le   briosce.

Coll' aplombe del vuoiaé 

Arri Bosce, in bon franzé,

alla Dama fa: eVuala'

dar tegame di sumà

cappuccen con le  briosc 

a l' aromme dele cosc


La dedico a Dino che coll' aromi corporali ha rigettato diverse volte e ha perzo anche dell' occasioni d'oro co delle belle tope. E' verò roba da rigettà a leggela prima di colazione ma noi siamo di stomaco solido, abitati a Cice che mangia i bonncini ar pesce, fa la popò, si fa r bidé cola lingua e poi viene a baciatti sula punta der naso.

Come avrete capito, oggi tocca alla puntata di Hyeronimus (Harry) Bosch il detectivone di Connelly che mi ha ispirato  questo piccolo enigma in rima.

Il seguito della ricerca della spiaggia ncantata, iniziato ieri, lo pubblicherò domani. Stamattina non riesco a scaricare le foto che ho fatto e Dani è in giro a vedere se, ora che hanno aperto i porcili, gli riescisse di trovà un maialino rosa da compagnia perché si sente un pò sola ma di omini un ne vole sapé. Così gli ho suggerito il maiale. Del resto alo zio dela mi mamma a 70anni, quando l' operarono al cuore gli messero le varvole d' un maiale  perchè erano compatibili, difatti campò vino a 88 anni.

Bona Giornata

Dante

Nota di redazione: ieri ho fatto casino non mettendo i commenti d'apertura, se n'è accorto solo Martinelli oppure gli altri o non hanno osato pensando di creare casino oppure non si sono accorti propio del post. Meglio fosse mai che a quarcheduno gli venisse voglia di venì a visità sto posto palustre e mefitico indove mi tocca vive.



Come potete vedé dar titolo è proprio adatto ala stagione di oggi io ala scivania ho 29 gradi cor un umidità der 75% .

martedì 15 giugno 2021

fatevi i gatti vostri 1871 " guasi sfinente come Angela "

Occhio non come Mariangela detta Zanza lei è inimitabile e quanto a sfinitti è nsuperabile sennò che cazzo l' avrebbero nikkeneimata Zanzara affà?. Cerco invece di imitare gli Angela padre e figlio macinandovi le palle reali o metaforiche fino alo sfinimento. Vi porto a quel mare che ieri m' ha rimesso n mente i verzi di Paolo Conte e m'ha dato l' occasione di favvi sentì un Ciampino in grandissima forma, ho veramente voglia di riabbraccialo per moi mandallo n culo dopo cinque menuti ma ar momento mi manca come mi manca ir Bar Nado.

Donque prencipiamo questo viaggio verso l' uniche spiagge per me accessibile da dove si sta di casa senza dové bestemmià cor incolonnamenti di macchine o busse affollati. Al lido da casa nostra ci si potrebbe andà anche cor 6 un vaporetto che raggiungo in 10 menuti a piedi ma trabocca di gente  e anche se ho fatto ir vaccino completo ho paura lo stesso d'impestammi.

Cos' tiro fori la graziella dala cantina e ale 6 e 10 pedalo verzo il tronchetto. Da casa nostra devo attraversà solo un ponticello un po' ritto e poi ho il ponte di Calatrava che si deve fa a mano ma a quell' ora io lo fo in sella tanto ha i gradini bassi bassi. Poi traverso piazzale Roma risalgo pe un pezzetto verzo r ponte dela liberta e mi butto a sinistra l' con 700 metri di paedalata arrivo al Ferry boat come lo chiamano pomposamente, io lo chiamerei motozzattera ma un voglio che si dica che sono un detrattore della grandeur dela città che m'ospita e mi sopporta da tant'anni.

Ci s'imbarca ale 6e40 precise prima le bici e i motorini, poi le macchine i furgoni e i camioncini diretti al Lido.

Appena sortiti dal tronchetto il nostro traghetto prencipia a costeggiare la lunga riva della Giudecca

e ala nostra destra appare il Mulino Stucky


Il Molino Stucky fu costruito tra il 1884 e il 1895 per iniziativa di Giovanni Stucky, imprenditore e finanziere di nobile famiglia svizzera, il cui padre si era spostato nel Veneto con un'italiana della famiglia Forti. La progettazione dell'imponente complesso fu affidata all'architetto Ernst Wullekopf, che realizzò uno dei maggiori esempi di architettura neogotica applicata ad un edificio industriale.

L'edificio colpisce per le sue proporzioni anomale rispetto a quelle delle tradizionali architetture veneziane presenti su entrambe le sponde del Canale della Giudecca.

L'idea originale di istituire un mulino nella laguna veneta venne a Giovanni Stucky intorno alla metà dell'Ottocento in seguito allo studio del funzionamento di diversi mulini in paesi esteri. In base a tali studi, l'imprenditore decise di sfruttare il canale veneziano per un veloce trasporto via acqua del grano da destinare al mulino dell'isola di Giudecca.


Rilevata nel 1994 dalla società Acqua Pia Antica Marcia (gruppo Acqua Marcia), l'antica area industriale è stata posta quattro anni dopo sotto la tutela della Sovrintendenza alle Belle Arti. Lasciandone inalterata l'architettura neo-gotica, è stata poi sottoposta ad uno dei maggiori restauri conservativi d'Europa riguardanti direttamente un antico opificio.

La fine delle traversie dell'antico complesso è giunta a metà degli anni 2000 con la stipula di una partnership economico-finanziaria fra Acqua Marcia e la catena di alberghi Hilton, in base alla quale l'area è stata destinata a complesso immobiliare dotato di residence, centro congressi e sede alberghiera capace di 379 stanze, ristorante e piscina panoramici, una sala convegni da duemila posti.

Il 15 aprile 2003, quando i lavori di ristrutturazione erano già in corso, il Hilton Molino Stucky Venice è stato colpito da un vasto incendio che ha distrutto l'intera parte centrale dello stabile, danneggiato in particolare la torre, la piccola loggia e il cappello - ovvero il punto più alto dello stabile - nonché il prospetto laterale della struttura, la parete est, quasi interamente crollata nel rio sottostante. L'incendio è stato domato dopo intense ore di lavoro da parte dei vigili del fuoco, giunti con due grandi motobarche e due elicotteri per l'opera di controllo e spegnimento, contrastata dal forte vento e resa complessa dalle grandi dimensioni dell'edificio.

Il complesso ha avviato l'operatività nel giugno 2007.

Nel 2016 la proprietà viene in parte ceduta dal gruppo Acqua Marcia, in amministrazione controllata, al gruppo The Marseglia Group per quanto riguarda la sola parte gestita ad uso hotel e non quella residenziale che rimane di proprietà dei primi rispettivi privati residenti... Mentre una perizia del tribunale di Venezia ha valutato il complesso in 350 milioni di euro, il prezzo finale concordato e per la cessione è di 280 milioni di euro (737.000 euro a camera).

Subito accanto vediamo un edificio tipo old factory, si tartta del Fortuny  un luogo all’apparenza inaccessibile, storia della Venezia industriale, impreziosito da un giardino magico. Qui dagli anni ’20 si narra la storia del tessuto, e di una creatività del tutto speciale. La fabbrica Fortuny non è visitabile, vi si custodisce infatti un segreto sulla produzione per volontà del suo stesso fondatore, mentre lo showroom, il solo ed ufficiale a Venezia, vi farà immergere in un fantastico mondo di stoffe e tessuti sorprendenti, materiali, disegni, cuscini, accessori pregiati e vetri d’arte. Le collezioni esposte sono raffinate e portano chiari i segni di una sofisticata artigianalità.

Mentre una caligine che non so se si dissiperà rivelando un sole in cui spero superiamo sulla destra la chiesa del Redentore

Nell'estate del 1575 scoppia a Venezia una terribile epidemia di peste che in due anni provocherà 50.000 morti, quasi un veneziano su tre. Nel settembre del 1576, quando il male sembra invincibile dagli sforzi umani, il Senato chiede l'aiuto divino facendo voto di realizzare una nuova chiesa intitolata al Redentore.  Scegliendo rapidamente fra diverse opzioni circa forma, localizzazione e progettista cui affidare la costruzione, nel maggio del 1577 si pone la prima pietra del progetto di Andrea Palladio (che dal 1570 era il Proto della Serenissima, architetto capo della Repubblica di Venezia). Il 20 luglio successivo si festeggia la fine della peste con una processione che raggiunge la chiesa attraverso un ponte di barche, dando inizio a una tradizione che dura ancora oggi.


La chiesa è destinata ai padri cappuccini, che ne determinano sia l'impianto planimetrico secondo il modello dei Francescani osservanti (di cui i Cappuccini costituiscono una filiazione) sia la scelta, in ossequio alla loro Regola di povertà, di rifuggire l'uso di marmi e di materiali pregiati, preferendo mattoni e cotto anche per la realizzazione dei bellissimi capitelli all'interno della chiesa. Nel rispetto della griglia funzionale dei cappuccini, per la definizione della planimetria Palladio riflette a fondo sulle strutture termali antiche (in un rilievo delle terme di Agrippa è possibile ritrovare molti degli elementi che caratterizzano la pianta) come fonte delle sequenze di spazi che si susseguono armonicamente una dopo l'altra.


Proseguiamo di poco e sulla sinistra ci appare la punta della dogana e la Chiesa della Salute

qui si vede meglio i foto ripresa dall' alto



La Punta della Dogana o Punta della Salute o Punta da Màr è una zona di Venezia, sottile punta triangolare di divisione tra il Canal Grande e il Canale della Giudecca, prospiciente il Bacino San Marco.

La zona, parte del sestriere Dorsoduro, ospita tre importanti complessi architettonici (Basilica di Santa Maria della Salute, il palazzo del seminario patriarcale e il complesso della Dogana da Mar, da cui l'area prende il nome) e la principale stazione di rilevamento mareografico della laguna di Venezia, da cui deriva il termine "Zero Mareografico Punta Salute" - ZMPS.



Santa Maria della Salute (o chiesa della Salute o semplicemente La Salute) è una basilica di Venezia eretta nell'area della Punta della Dogana, da dove risalta nel panorama del Bacino di San Marco e del Canal Grande. Progettata da Baldassare Longhena con attenzione ai modelli del Palladio, è una delle migliori espressioni dell'architettura barocca veneziana. La sua costruzione rappresenta un ex voto alla Madonna da parte dei veneziani per la liberazione dalla peste che tra il 1630 e il 1631 decimò la popolazione, come era avvenuto in precedenza per la chiesa del Redentore. Il culto divenne così radicato a Venezia che la Vergine Maria venne aggiunta all'elenco dei santi patroni della città di Venezia. Nel dicembre del 1921 papa Benedetto XV l'ha elevata al rango di basilica minore.

Questo qui un c'è bisogno di divvelo cos'è e ir palazzo ducale o meglio Dogiale dove Balena ha una sala riservata con scritto sull' uscio Gabinetto del Dogie Serenissimo Gato Balena Primo. In terra invece del marmo c'è la sabbietta perché Balena appena entro disse Gabinetto na sega con tanti architetti ditemi dove piscio e caco io e cos' gli messero la sabbietta profumata e che fa la palla quella da diversi euri a sacchetto pe intendesi. Capolavoro dell’arte gotica, il Palazzo Ducale di Venezia si struttura in una grandiosa stratificazione di elementi costruttivi e ornamentali: dalle antiche fondazioni all’assetto tre-quattrocentesco dell’insieme, ai cospicui inserti rinascimentali, ai fastosi segni manieristici. Esso è formato da tre grandi corpi di fabbrica che hanno inglobato e unificato precedenti costruzioni: l’ala verso il Bacino di San Marco (che contiene la Sala del Maggior Consiglio) e che è la più antica, ricostruita a partire dal 1340; l’ala verso la Piazza (già Palazzo di Giustizia) con la Sala dello Scrutinio, la cui realizzazione nelle forme attuali inizia a partire dal 1424; sul lato opposto, l’ala rinascimentale, con la residenza del doge e molti uffici del governo, ricostruita tra il 1483 e il 1565. L’ingresso per il pubblico di Palazzo Ducale è la Porta del Frumento (così chiamato perchè vi si trovava accanto l'”Ufficio delle Biade”), che si apre sotto il porticato della facciata trecentesca prospiciente il Bacino San Marco.

Propio mentre si supera la Piazza san Marco s' icrocia un traghetto come il nostro così vi rendete conto di come è fatto e credo concorderete che è na motozzattera perché ha i bordi tarmente bassi che cor un onda ser mi mare si empirebbe come na vasca da bagno ma in questa pozzanghera qui basta e avanza.

Siccome ir materiale è tanto, io mi stanco facile e voi mi immagino eguale. Il seguito dela giornata al mare lo metto nel post di domani

Statemi bene


Quanto al firme

oggi dirrei che si possa metta la presentazzione di Veleno  un film drammatico del 2017 diretto da Diego Olivares, tratto da una storia italiana vera. È stato presentato alla Settimana Internazionale della Critica a Venezia 2017 se gli è garbato un lo so.

Presentazione da my movies

UN CREDIBILE 'WESTERN CAMPANO' CHE PROCEDE IN MODO SEMPLICE E LINEARE FINO ALLA SUA "NATURALE" CONCLUSIONE.
Recensione di Paola Casella
venerdì 8 settembre 2017

Cosimo e Rosaria lottano ogni giorno per tenere la loro fattoria e il loro allevamento di bufale al riparo dal progressivo avvelenamento delle terre del casertano ad opera di chi continua a sotterrare in quelle terre rifiuti tossici. La loro piccola impresa agricola è in comproprietà con Ezio, il fratello di Cosimo, e sua moglie Adele, genitori di tre bambini piccoli. Anche Cosimo e Rosaria scoprono di aspettare finalmente un figlio, e questo li stimola a tenere ancora più duro nella difesa della terra di famiglia. Ma i responsabili dello "smaltimento rifiuti" fanno pressioni per impossessarsi di quell'appezzato che confina con le loro discariche abusive impedendone l'ampliamento attraverso un sordido avvocato, Rino Caradonna, che aspira anche a diventare sindaco del paese. Ed Ezio e Adele sembrano inclini a cedere a quelle pressioni insistenti.

Diego Olivares, al suo secondo lungometraggio di finzione dopo I Cinghiali di Portici, struttura il suo Veleno (ispirato ad una storia vera) come un western, di quelli dove il padrone della ferrovia vuole fare fuori il contadino la cui fattoria gli ostruisce il tracciato, e lascia che la sceneggiatura (scritta dal regista) proceda in modo semplice e lineare fino alla sua "naturale" conclusione.

Le interazioni fra i personaggi sono credibili, soprattutto quella fra un'inedita Luisa Ranieri e il sempre affidabile Massimiliano Gallo nei panni di Rosaria e Cosimo (la cui chimica di coppia funziona a meraviglia), e un cast di attori campani di qualità, fra cui spiccano Salvatore Esposito nei panni di Caradonna e Miriam Candurro in quelli di Adele, fa sì che il tono del racconto, seppure (volutamente?) monocorde, risulti convincente.

Il problema semmai è che la storia è così uniformemente (melo)drammatica non dà tregua allo spettatore. È evidente il tentativo di mettere il pubblico nello stesso "imbuto" in cui si trovano molte famiglie contadine del casertano, strette fra la miseria e la camorra, ma filmicamente una mano occasionalmente più leggera e qualche attimo di tregua avrebbero giovato al risultato finale. Il personaggio più interessante resta Caradonna, a sua volta stritolato fra le pressioni della malavita e le proprie ambizioni di riforma, fra il desiderio di ripulirsi la coscienza e le lusinghe del denaro e del potere. E il vero protagonista della storia è quel veleno che permea non solo il terreno ma anche le vite di chi, volente o nolente, in quel terreno è nato e cresciuto. Un veleno che prima o poi intossica anche chi ne fa uno strumento di sopraffazione e una fonte di guadagno.