venerdì 18 giugno 2021

Fatevi i gatti vostri 1874 " la spiaggia che non c'è"

Oggi piove e mi posso dedicare alle cose da scrivania. Coll'aiuto di Dani sono riuscito a scaricare le foto restanti dalla macchina fotografica. Io uso un cellulare antidiluviano con ancora i tasti sporgenti. Dani ha dire il vero mi ha regalato uno dei suoi strusciadito o smartphone che dir si voglia. Io però lo adopero poco e mai al mare. Così  mi porto ancora in tasca una mini Nikon colpix che era di Bobby, antica ormai ma efficente. Il problema del trasferimento immagini stava nel fatto che il cavetto per collegarla al pc lo aveva con sémia nipote o meglio aveva quello funzionante mentre nel bussolotto che contiene tutti gli ammennicoli, di corredo ai dispositivi elettronici di casa, ne aveva lasciato uno che funziona solo quando gli pare. Presentate dunque le scuse afferenti alla tecnologia posso seguitare colla seconda parte dela mi giornata al mare e alla ricerca dela spiaggia che non c'è. S'era rimasti a San Marco, lasciato sulla sinistra  il palazzo dogiale ed anche a  una certa distanza (perché navighiamo più vicini alla  riva della Giudecca),   ci troviamo a superare l isola di San Giorgio.  A dire il vero poco prima abbiamo passato il canale di San Giorgio una delle cui rive ospita oltre alle barche  della Guardia Finanza,  il  rinomatissimo ristorante e l albergo di Arrigo Cipriani (con tanto di piscina)


dove, anni fa, si venne invitati a mangiare dalla cara Costanza. Due sono l' isole che si stagliano davanti a Venezia la prima che abbiamo già descritto è appunto la Giudecca. L’isola di San Giorgio Maggiore  invece è la più piccola delle due e dista poche decine di metri (appunto quelle del canale su cui ha sede il Cipriani) dall’Isola della Giudecca: è un luogo magico e silenzioso, lontano dagli itinerari turistici e, per questo, mantiene intatto il suo antico fascino, le cui radici vanno ricercate nel lontano X secolo, quando i monaci benedettini fondarono qui il primo convento con chiesa adiacente.

Non ci si deve fare  ingannare dalle piccole dimensioni dell’isola perché, in realtà, è un piccolo e prezioso scrigno ricco di storia, arte e cultura: la Basilica è realizzata interamente in stile rinascimentale su progetto del grande maestro Palladio verso la fine del XVI secolo. Da non perdere all’interno l’imponente altare maggiore, opera di Girolamo Campagna e le due grandiose opere di Tintoretto: L’‘Ultima Cena’ e la ‘Raccolta della Manna’. Di altissimo valore artistico è anche il dipinto ‘Vergine con Bambino e Santi’ di Sebastiano Ricci, considerato uno dei capolavori di San Giorgio Maggiore.

Superata anche l isola di San Giorgio si vede avvicinarsi da davanti un transatlantico della Smc orchestra

 un bestione che piglia guasi tutta l acua per se e che impegna ben 3 rimorchiatori due avanti e uno ar culo quando siamo vicinissimi fa impressione è pià alto di qualsiasi costruzione di Venezia 

Sulla sinistra si vedono i giardini dela biennale



 e l' isola di Sant'Elena



e  finalmente davanti a noi si delineano meglio i profili delle case del Lido.

Ci si arriva in pochi minuti,  la Graziella è li impaziente pronta a portammi all' avventura 

il ferry si accosta allo scivolo dell approdo, 

cala il suo ponte levatoio ed io sono uno tra i primi a uscire colla mia Graziella rossa. Sono le 7 e un quarto, ero partito a venti alle sette, trentacinque minuti di tragitto, non male.

Appena sceso a terra, di solito, pedalo per circa 1 km e mi porto sul vialone centrale del Lido,  pomposamente nominato Gran Viale che  parte dagli approdi dei vaporetti a  S Maria Elisabetta e arriva al Blue Moon.




Il gran viale mi piace ha quel kicce che riprendendo Paolo Conte  potrei dire "sa di  mare, di donne di soldi, di mondanità. Faccio colazione volentieri qui anche se la mia mise da mare, bici compresa, somiglia più a quella di un homeless che a quella dei vistosi e piuttosto provinciali frequentatori del lido. Sulla desta del Gran viale si staglia, guasi esagerato nel su sfarzo l' Hotel Ausonia Hungaria


Venezia ha una grande storia e con lei tutti i suoi annessi di mare e di terraferma ma  nonostante il respiro concesso dalla frequentazione internazionale non riesce a togliere di dosso alla gente locale quel provincialismo dal quale son viziate tutte le città italiane con l esclusione forse di Roma e di Milano anche avrei delle riserve su taluni quartieri di queste città. Livorno non lo era ai miei tempi, popolare e popolana magari, dov'ero nato io ma 
comunque traspariva ovunque la Livorno città e porto franco, crogiuolo di nazioni e di vocazione internazionale  che oggi invece si vede poco e con ampie lacune che si tenta di riempire con banali forme di omologazione di massa o peggio ancora con una autoreferenzialità che nulla ha a che vedere con l' antico orgoglio labronico, quello che per intendersi faceva descrivere i Livornesi come gnete che cammina sempre a testa alta e colle mele strette (cfr. C. Malaparte "Maledetti Toscani"). La grossa  catena d'oro al collo del portuale d'una volta era come la medaglia appuntata sul petto di un combattente adesso è la becera esibizione di molti che non hanno mai alzato neppure un sacchetto di cemento da 25 kg. L' orgoglio che avevano i babbi nel mettere in moto la 127 comprata a rate e col sudore di tanti straordinari rappresentava il premio di una umana fatica e non la cialtroneria di mostrarsi diverso o più abbiente degli altri quella che oggi caratterizza chi lascia il porsce caienne a traverso al marciapiede perché qualcheduno venga a chiedere di chi è quella macchina che impedisce il passo.

Spesso,  sul Gran viale, mi concedo un cappuccino e una brioscia  a un bar pasticceria che fa produzione propria. Mentre assaporo il cappuccino i primi effluvi di creme al cocco o di ambre solari mi violentano r naso e penzo a Dino e ar su rapporto cogli odori.  A me, se non stroppiano, come avviene in molti casi, questi odori piacciono mi sanno di mare, come dicevo, di vacanza e di persone in cerca di vacanza o talvolta di fuga da na vita troppo stretta da muri di casa e dall' abitudine. Povere donne, co quer puzzo di cocco addosso e  quer fruscio di parei che spesso avvolgano e celano  i disatri dela cellulite mi pare di sentire a naso il loro desiderio di sentirsi libere e se non proprio belle, armeno piacenti, armeno per quelle due o tre ore al mare dove magari non io (senno Holly mi tronca) ma un bischero come me che dondola lì a giro, buttandogli un occhio addosso pensi: "E nzomma via, è mpo' sfatta la signora ma è sempre trombabile". Dal canto loro quando vedano n settantenne che fa corre na bici come un matto diranno fra sé e sè: "chissà se gli funziona sempre r pisello come i polpacci?" e così a forza di penzieri si fa come rgatto: fra caa e fa lo spiazzo si fa buio e un s'è fatto un cazzo. Così limito ste riflessioni al tranzito ner viale. Stamattina ho in mente un' impresa. Voglio arrivare a na spiaggia deserta che vidi tanti anni fa cola barca, dal mare, e spero di esse bono a ritrovalla. Pedalo pedalo pedalo, la graziella va via agile ma ha le rote piccine e io peso parecchio, l' asfarto è caldo e i copertoni bruciano, speriamo che une scoppino sennò cole pore gambe che mi ritrovo ti ci voglio a rifalla ndietro a piedi. Ho superato la serie dei grandi alberghi il De Bains 


e l' Excelsior

spiccano tra tutti ma tutti hanno un loro tono su sta parte del lido. Ecco supero anche la piazza con architettura fascista indove si fa la mostra del cinema, 

e che ospità anche il Casinò




Ancora una chilomentrata e da un viottolino stretto salgo sui murazzi (descrivere)

Scendendo dai murazzi si trovano tanti arenili abbastanza piccoli compresi tra due pennelli di sassi che impediscano al mare di mangiare tutta la sabbia. Qui fantasiosi capanni fatti con legni di recupero vengono edificati dai frequentatori



Ne passo tanti, il fondo dei murazzi è gruzzoloso e la graziella saltella come una capretta, il sellino mi fa bruciare il culo e i colpi sotto le palle mi pare che un mi facciano punto bene ma oramai sono lanciato.

Vedo na signora cor un cappellone che pare un fungo e le domando quanto c'è ad arrivare in fondo. "Ancora almeno 3 Kilometri mi risponde. Boia dé sono guasi all' esaurimento dell' energie, mi fo forza penzando a quando ero in mountain bike a 5000 metri d'altitudine in Tibette mentre andavo da katmandu a Lahsa. Li si che mi mancava l' ossigeno e gni tanto dovevo dà na ciucciata ala bombola. Coraggio, pedalo ancora, e ogni tanto bevo un po' d'acqua che ho preso a una delle tante fontanelle sul gran viale.

Finalmente vedo l' ultimo pennello a mare e dopo sapre la mi spiaggia. Vota desertissima sula rena solo l' orme dele zampe dei gabbiani. Sento un senzo di gioia come un bimbo che scarta i regali la mattina di Natale. Camino piano su quella sabbia immacolata, 



spingo anche la bici con me, 

se lo merita questa vecchio ciuchino, ecco pianto la bandiera dela mi impresa: è un obrello normale al quale ho segato il manico e rifatto le stecche rotte con del fil di ferro. Lo trovai a un cassonetto e mi garbavano i colori. 

Cor un tubo ho fatto una giunta e lo innesto su un tubino a punta di un vero ombrello da spiaggia. Perfetto. Per oggi ho avuto la mi gioia. 

Dopo bagni e notate da solo mi sdraio e m' asciugo al sole. Mi sembra di non sentire alcun dolore. Verso le 9 e mezzo  riparto, stavolta faccio la strada asfaltata e costeggio la laguna invece che il mare. Sembra guasi che i bagni m' abbiano dato forza, ale 10 e 10 sono alla spiaggia libera vicino all' approdo del traghetto.

Ho un ora e mezzo prima della partenza cosi ripiazzo bici e ombrello, c'è più gente ma trovo un buco abbastanza isolato.

 Ancora un bagno, poi m' asciugo e avvolgendomi nel telo riesco anche a cambiammi ir costume cor uno asciutto.

Sono le 11 e un quarto, in 5 menuti raggiungo il traghetto 


ed ho tempo finalmente di offrimmi un bicchiere di vino al chioschetto che c'è in angolo, uno dei miei preferiti.





Parto puntuale  e il traghetto viaggia spedito

alle 12 e 15 sono al Tronchetto, pedalo ancora verso Venezia attraverso Piazzale Roma spingo la bici sul ponte di Calatrava e a venti all' una schiaffo la bici in cantina e sento pelle scale un bon odore di fritto. Entro in camera pe cambiammi e vedo un altro spettacolo: Balena è li che mi aspetta. Chi fra voi ha bona memoria ricorderà che lo ritrassi così armeno dieci anni fa e poi ne feci un disegno a carboncino, l' invecchiamento gli si si vede davvero poco.

Che bella giornata.

Dante


Mi fa presente la mi nipote che fra i tanti filmi dei quali ci avevate richiesto la presentazione avevamo saltato questo. Tra l' altro la Regista ha per nome e cognome la mi gatta tartaruga e me. E allora si rimedia subito: testo e foto da cinematografo.it 

Via Castellana Bandiera

Sorprendente esordio di Emma Dante: uno "stallo" che non fa prigionieri, metafora di un paese impantanato

18 Settembre 2013
    
3,5/5
Via Castellana Bandiera
Emma Dante in Via Castellana Bandiera

“Ci vuole del coraggio, e una certa dose d’impazienza”: gli Offlaga Disco Pax non c’entrano nulla, ma l’esordio sul grande schermo della regista teatrale Emma Dante può far venire in mente – parafrasandolo – il passaggio di Tulipani, canzone dedicata dal gruppo reggiano all’olandese Johan Van der Velde, grande protagonista della tappa del Gavia del Giro 1988.
“Coraggio”, perché tradurre per il cinema Via Castellana Bandiera (romanzo scritto dalla stessa Dante, edito da Rizzoli nel 2009) è già di per sé un’idea che poteva presentare più di qualche insidia; “impazienza”, la stessa che – immaginiamo – ha condizionato la regista siciliana nel mettere in scena quella che, a tutti gli effetti, è una metafora neanche troppo velata sul pantano in cui ci troviamo da qualche tempo: una domenica pomeriggio qualsiasi, nel caldo torrido di Palermo, due autovetture si ritrovano muso contro muso in un budello di strada, Via Castellana Bandiera appunto. Rosa e Clara (Dante e Rohrwacher) da una parte, la numerosissima famiglia Calafiore dall’altra, con al volante l’anziana Samira (Elena Cotta): basterebbe che una delle due macchine facesse qualche metro in retromarcia per permettere all’altra di procedere, ma non se ne parla. Rosa e Samira hanno deciso di sfidarsi in un duello che non prevede prigionieri, e la situazione di stallo assume con il passare dei minuti contorni sempre più grotteschi, poi drammatici.
Il film di Emma Dante sorprende per la ricerca mai artificiosa di un linguaggio che si mischia, anche esteticamente, al territorio, reso quanto mai naturale dalla prova di tutti gli interpreti secondari, quasi tutti provenienti dalla Compagnia Sud Costa Occidentale della regista, più le due “scoperte” Renato Malfatti (il carismatico e massiccio genero di Samira), nella vita parcheggiatore dell’Arenella, e Dario Casarolo (minorenne palermitano che interpreta il nipote della donna).
Un atipico western governato dal gentil sesso, con gli uomini convinti di poterne manovrare le gesta (al punto di organizzare anche delle scommesse “pilotate” sull’esito della sfida…): il muro contro muro, però, non si risolverà così facilmente. Perché da una parte c’è quello che la stessa Dante definisce un “frangiflutti”, Samira, muta per tutto il film (ma resa fortemente espressiva dalla gestualità e dagli sguardi dell’ottima Elena Cotta, premiata con la Coppa Volpi a Venezia), monolite al di sopra di ogni cosa, immobile anche di fronte al corso degli eventi, portatrice di un ostruzionismo (quello del quartiere) che prende le mosse da una “questione di principio”; dall’altra una donna, Rosa, tornata controvoglia (e per sbaglio) nei vicoli della propria infanzia, bloccata in una situazione – anche sentimentale, con Clara – che la vede impossibilitata a scegliere: davanti a lei c’è il crash, alle spalle un precipizio (letteralmente). Basterebbe fare una piccola “manovra”, ma retrocedere da un’impuntatura – a volte – è più facile a dirsi che a farsi. Bellissimo il finale, camera fissa sulla via popolata dalla corsa affannata e sgraziata dell’intero quartiere, contrappuntata da Cumu è sula la strata dei fratelli Mancuso: chapeau.


8 commenti:

  1. A R E A __ C O M U N I C A Z I O N E__ R E D A T T O R I __B L O G
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    Redazione: on line dalle ore 20:00 alle 22:00

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  2. Ormai grazie alla frequentazione ultradecennale di questo blog credo di avere imparato a conoscere la filosofia di Dante e anche quella di Dino. Con attitudini e percorsi diversi hanno trovato entrambi un modo di sopravvivere alle angustie di questa esistenza ed anche di farlo divertendosi. La via del Ciampi è quella della fuga, facile per un talento come lui un po meno per comuni mortali ma comunque va tenuta presente. Il metodo di Dante è più semplice ma richiede molta più forza di carattere e talvolta anche fisica. Lui vive nel mondo di tutti i giorni talvolta integrato, talvolta marziano. Cerca la spiaggia deserta dove nuotare da solo ma riesce a infilarsi nei corridoi mondani del Lido e a comprendere, forse, pensieri e stati d'animo di persone con le quali non ha nulla a che fare, come le mature signore in pareo ed olezzanti di cocco, ma che comunque appartengono a quella umanità alla quale lui non rinuncia cercando di coglierne magari gli aspetti un po' più gratificanti. Conosco Venezia ed il post è gradevole, assai meno pedante delle escursioni di Angela. Dante in un percorso che prevede ferry boat e bici cerca la spiaggia ideale ma anche qui non disdegna l' osservazione delle grandi opere degli uomini.
    L' ho letto con grande piacere, è piaciuto tantissimo anche a Valerio e cercheremo il film che dovrebbe essere bello, non eravamo stati noi a chiederlo però.
    Un abbraccio da
    Patty e Valerio

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  3. Dimenticavo:
    La foto che più mi ha colpito, tra tante bellissime, è l' ultima. Un capolavoro della Natura
    A lui baci freschi
    Patty

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  4. Nel commento al post di ieri, che ho lasciato stamattina, vi ho raccontato del mio unico modo possibile di andare in bici: il tandem. A vedere queste spiagge che mi sembrano irreali pensandole poi a due passi da Venezia mi è venuta una gran voglia di fare un giro. Cercherò di coinvolgere mio marito in una gita che attendiamo da troppi anni. Davvero un bel reportage.
    Condivido molto ciò che ha scritto Patty che ha saputo vedere in profondità brava anche a lei.
    Eliana

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    1. Anche io stavo dimenticando Balena e so che è suscettibile.
      Balena sei bellissimo!
      Eli

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  5. Un vero piacere leggerti caro Dante e sono convinta che il tuo modo di porti vicino alla gente ma anche con un tuo distacco non sia affatto male. Venezia e il Lido di Venezia ti dovrebbero ringraziare per la buona pubblicità che hai fatto
    Un abbraccio Anna e Giacomo

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