domenica 22 giugno 2025

fatevi i gatti vostri n. 2020 " A Venezia e si pole andà anche al mare e si pole"

Gira e rigira risiamo ala domenica.  Io cerco di dà un senzo a quest'estate notando e andando in canoa. So dimagrito sette e otto chili e vorrei rifà un po' d'addominali e di dorzali. No pe m ostralli perché oramai a luglio fenisco 71 anni ed entro ner mi 72esimo e a esibissi c'è da passà pe ricoli. L'obbiettivo sarebbe quello di dà un sostegno migliore ala colonna vertebrale ma senza sforzalla troppo. La canoa è ideale perché richiede la contrazione dell' addominali e anche dele semirotazioni su un fianco e su quell'altro. A notà me la cavo ancora benissimo ma colo stile libero mi indolenzisco e allora mi impegno in chilometrate a dorzo e quando mi rompo coglioni vo a rana. Dican tutti che andà ar mare a Venezia e come volé andà da Roma a Ostia di sabato d'estate. V'assicuro che un'è così. Io piglio il vaporetto n. 6 e in mezz'ora mi porta al Lido. Il Lido sa di mare appena arrivi. Di qua c'è la laguna e di la l'Adriatico. La spiaggia è bella e grandissima. Il mare è quel che è ma mica lo devo beve, per notacci dentro m'avanza. L'unico problema per me è il chilometro abbondante che separa l'approdo del vaporetto dala prima spiaggia libera utile, quella del vecchio ospedale. Mezzo chilometro  di gran viale, bello co tanti alberghi e boni barri che spandano l'odore di briosce e di bomboloni, e poi na secentina di metri di lungomare. Co mi problemi di mobilità, a piedi un ce la fo ma ho allestito una biciclettina pieghevole tipo Graziella alla quale ho messo le rote d'una bici da bambini. Resulta abbastanza piccina e nzaccabile in un borzone.




I freni non arrivavano al cerchio e allora ho tolto quello posteriore mentre all'anteriore ho allungato la ganascia con due barrette di ferro come prolunghe. Frena bene. Peserebbe un po' a portalla a mano ma la metto su un carrellino che ho ricavato da una borza co rote pella spesa al supermercato. Messa in quel modo sul vaporetto mi ci fanno salì e appena al Lido la monto e via ala spiaggia. La rottura di coglioni è che al ritorno la devo rismontà e rimette nela borza ma si pole fa. Ho fatto così fino all'altro ieri quando, in un campo vicino al mi campere, ho trovato il telaio d'una bici molto vecchia buttata via. La forcella e i pedalì c'erano. Gli ho messo un manuvrio che mi pareva adatto, na sella che un offendesse r culo, 
catena e rote sempre ricavando r tutto da materiale di recupero che ho nela mi officinetta . Un credo sia troppo appetibile.


Poi, il giorno dopo, di buzzo bono, ho pedalato fino al ferribotte sul quale cor un euro e mezzo, oltre a quello dela perzona si pole portà na bici ntera. Così dopo la spiaggia l'ho legata nel parcheggio bici davanti all' approdi e ora la mattina devo solo piglià il sei e scioglie la catena appena arrivo. Se un la rubano è na cosa fantastica. Come capirete oramai mi contento di poco e se le emozioni dela vita so queste un è difficile conzeguille.

Come recenzione oggi presento r Cacciatore. Serie dela quale perora ho visto solo 3 puntate. M'affido quindi a commenti più autorevoli de mii.

Bon uicchende


Dante




Articolo a cura di Paolo di Marcelli su everyeye.it

 19/04/2020


Ok, è prodotta da Rai Fiction, ma Il cacciatore ha i toni, le atmosfere, il ritmo, ma soprattutto la qualità delle migliori serie americane. Ci sono due pregiudizi da vincere prima di mettersi comodi e affrontare le venti puntate dirette da Stefano Lodovichi e Davide Marengo: il primo è credere che la Rai continui a rivolgersi esclusivamente a un pubblico di anziani, il secondo è scommettere che della lotta alla mafia abbiamo visto già tutto. Si potrebbe pensare, in aggiunta, che siccome negli ultimi anni il racconto della criminalità organizzata ha avuto molto più successo, di pubblico e critica, se filtrato dal punto di vista dei cattivi (vedere il successo di Gomorra), allora un ritorno dei buoni come protagonisti non promette niente di buono. Siamo felici di constatare, invece, che entrambe le stagioni, da poco disponibili su Amazon Prime Video, presentano dei sorprendenti elementi di novità rispetto al genere, e una cura per i dettagli tipica del cinema più appassionato, che fanno de Il Cacciatore un evento televisivo imperdibile.


Una storia vera

Tutti, più o meno, conosciamo la cosiddetta stagione delle stragi di Cosa Nostra, culminata con gli omicidi di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli uomini della scorta. Erano gli anni del maxiprocesso, che per la prima volta diede un volto e un nome alla mafia, e un pezzo di Storia narrato molte volte al cinema e in tv. Sappiamo, ovviamente, che dopo quelle tragedie lo Stato reagì, cercando con ogni mezzo i mandanti delle bombe e tutti i latitanti ancora in libertà. Quello che non sappiamo, o di cui abbiamo solo una vaga idea, è cosa successe nel dettaglio, quali furono le forze contrapposte e gli esiti di una vera e propria guerra. Il cacciatore racconta proprio questo, ovvero la lotta serrata ai mafiosi all'indomani della morte dei due giudici di Palermo. Lo spunto è tratto da Il Cacciatore di mafiosi, libro di memorie di un pubblico ministero, Alfonso Sabella, coinvolto in prima persona in quel periodo tanto complicato quanto glorioso.


Contro la mafia, per la prima volta, un antieroe

Francesco Montanari ha fatto tanto cinema e tv. La prima interpretazione che viene in mente, tuttavia, è senza dubbio quella del Libanese in Romanzo Criminale - La serie, diretta da Stefano Sollima. In quell'occasione fu strepitoso nell'incarnare l'astro nascente della malavita romana esprimendo al meglio una smisurata fame di potere. Sembra che Lodovichi e Marengo si siano ricordati di quel sorriso insolente, di quel modo di fare ingordo e arrogante per scegliere chi avrebbe interpretato l'egocentrico, spregiudicato e spericolato Saverio Barone, nome di fantasia del PM protagonista de Il cacciatore. Per la prima volta, a combattere la mafia, non troviamo un eroe senza macchia, un "buono" mosso esclusivamente dall'amore per la legalità, ma un uomo intenzionato prima di tutto a fare carriera, costi quel che costi, per dimostrare a tutti di essere il migliore. Tant'è che, e non si tratta di uno spoiler, quando alla fine del pilota gli viene proposto di combattere la criminalità organizzata, la prima risposta che dà è negativa, confessando di "non essere nato" per quel tipo di imprese. L'interpretazione di Barone è valsa a Montanari il premio come miglior attore al Canneseries, neonato concorso internazionale rivolto al meglio della serialità internazionale.

Prima ancora di un poliziesco, una storia su carriera e lavoro

Il cacciatore "diventa", quindi, un poliziesco incentrato sulla guerra alla mafia, ma comincia, innanzitutto, come una storia su i conflitti legati al desiderio di fare carriera a tutti i costi e, a ben vedere, uno spaccato sulle dinamiche d'ufficio.Anticonvenzionale, se pensiamo che l'ambiente di lavoro è quello delicato, e prima d'oggi raccontato senza ombre, di un pool antimafia.

Oltre alle vicende che riguardano direttamente il protagonista, che con i suoi metodi prevaricatori si guadagna il rancore di tutti, compreso quello della sua compagna (Miriam Dalmazio), la serie mostra da vicino cosa significhi mettere in piedi un'indagine, coordinarsi con le forze dell'ordine, spartirsi gli obiettivi da catturare nel rispetto di regole e procedure raccontando le stesse invidie, incomprensioni, colpi bassi, trionfi, delusioni e routine di un lavoro qualsiasi.


Una veste accattivante e cinematografica

Ci sono delle ridondanze (qualche flashback esistenziale di troppo, nel bosco, in cui un giovane Saverio impara a cacciare); alcuni passaggi non sono messi a fuoco come dovrebbero, specie nella seconda stagione. A volte i dialoghi, in particolare quelli tra Montanari e la Dalmazio, soffrono qualche leggerezza e il ritratto dei mafiosi poteva risultare più realistico e brutale. Tuttavia il risultato è migliore della somma delle parti perché Silvia Ebreul e Marcello Izzo scrivono un arco narrativo efficace non solo dell'intera vicenda ma di tutti i personaggi principali. E sono tanti. Bagarella (David Coco), sua moglie Vincenzina (la splendida Roberta Caronia), Toni (Paolo Briguglia), e poi Giovanni ed Enzo Brusca (Edoardo Pesce ed Enzo Praticò), Giada (Miriam Dalmazio) e ovviamente Barone e il collega Mazza (Francesco Foti, grazie al quale Il cacciatore assomiglia anche a un buddy cop movie) rappresentano un universo variegato e credibile di umanità, crudeltà e aspirazioni, il cuore vero della serie. La fotografia di Davide Manca non sbaglia un colpo e i due registi sono capaci di virtuosismi inaspettati (alcune scene di suspense e d'azione sono mozzafiato) e sfumature da grande cinema. Soprattutto, oltre alla coolness di un ottimo cast pensato per un pubblico giovane e che speriamo serva a consacrare più di un talento, il Cacciatore vince la sfida di indovinare un taglio internazionale e allo stesso tempo di conservare il meglio della fiction all'italiana, quella che sa mettere in scena, coniugando immedesimazione e nostalgia come nel caso de L'amica geniale, gli scenari, la Storia, i difetti, le virtù e i caratteri tipici del Paese.





domenica 15 giugno 2025

fatevi i gatti vostri 2019 "Schiavone pell'ombrellone"

Come avrete visto è oramai fenito  il periodell'ovo di Pasqua. Prolungatosi grazie alla generosita delle nostre redattrici è stato caratterizzato da du poste ala settimana. Col gran caldo estivo siamo tornati alla conzueta ritmicità. Oggi le donne so tutte al mare e m'han chiesto di provvedé ala pubbricazione. Magari raccontando quarcosa in merito a come devasto r mi tempo. Prencipiamo da lì:

A dire il vero, la totale mancanza dela primavera, le piogge esagerate di maggio e ora il repentino arrivo d'una calura da stiantà m'hanno parecchio destabilizzato. Idee n'avevo tante: volevo fa, forze, la mi urtima vogalonga ma un mi sentivo bene. Ho prencipiato a costruì n'appendice n legno ar mi famigerato bocchise di lamiera. In quer box d'una quindicina di metri quadri sta tutta la mi poliofficina. E' laggiù  a Malcontenta, dove sta parcheggiato il vecchio camper Ford compagno di tante avventure. Ancora devo finì sta prolunga e dubito di faccela entro fine mese. Sono riescito a fa passà la revisione al camper e ho sistemato le cose meccaniche e di carrozzeria che potevo fa da solo. Didentro ora è tutto in ordine e luilì ha una gran voglia di movessi ma chi lo deve guidà un s'è ancora mosso. Co' dolori so arrivato all'ossicodone pe terapia ma lo piglio solo quando propio un ce la fo più. Ne momenti di riposo guardo le serie tv di tipo poliziesco, perché la televisione co guerre e omicidi veri in prima pagina, ogni giorno, un riesco più a seguilla.

Oggi ho fenito di vedé la sesta e, perora ultima, stagione di Rocco Schiavone, il vicequestore romano esiliato ad Aosta e interpretato da un eccellente Marco Giallini.

In questo ruolo lui, a parer mio, è bravissimo e regge tutta la baracca. Il resto è così così ma il resultato finale è accettabilissimo ed ho salvato i files di raiplay pella videoteca di Esserino. Potrebbe esse un diverzivo ala settimana Enimmistica pe fa quarcosa sotto all'ombrellone se avete la fortuna di mette le chiappe ar sole anche quest'anno.

Pe na recenzione più approfondita dela mia rimando a questa di Michele Corrado, comparza su   onda cinema (https://www.ondacinema.it/serial/recensione/rocco-schiavone.html)

Bona Domenica

Dante



Rocco Schiavone

di Antonio Manzini

recensione di Michele Corrado

La serie che sin dalla prima messa in onda del 2016 ha affezionato milioni di telespettatori e rinfrescato il panorama asfittico delle fiction Rai, rimanendo però ben lontana dal rappresentare una vera rivoluzione

C’è una scena dall’impatto fortemente iconico nella prima puntata di “Rocco Schiavone”. Anzi, più che di una vera e propria scena, si tratta di una semplice ripresa del protagonista. Siamo nei pressi di uno snodo autostradale nei pressi di Aosta, sta albeggiando e sul ciglio della strada il vicequestore Rocco Schiavone, con la faccia di bronzo di Marco Giallini, imbraccia un kalashnikov e si fuma una lunga canna di marjuana. A grandi boccate.

Rewind. Coadiuvato da un manipolo di criminali, suoi amici d’infanzia, il vicequestore di Aosta ha appena fermato un tir contenente marjuana, armi di contrabbando e un numeroso gruppo di immigrati illegali provenienti dall’Africa centrale. Dopo aver requisito il carico, Rocco ne ha reso una parte ai suoi amici criminali, del resto non mancherà di aiutarli in numerose occasioni, e ha lasciato invece che gli immigrati raggiungano la loro destinazione.

Braccio un po’ violento della legge, all’occorrenza bandito, sorta Robin Hood postmoderno, il personaggio nato dalla penna di Antonio Manzini (i romanzi dai quali è ispirata la serie sono editi da Sellerio) è una figura iconoclasta, un ceffo che proprio non ti aspetteresti di incontrare in prima serata sulla Rai. Già solo per questo, per la forza anticonformista del suo protagonista, “Rocco Schiavone” rappresenta uno strappo deciso, per certi versi violento, alla fiction Rai classica. Proprio per questa stessa ragione, risulta però anche l’occasione in parte perduta, da parte dell’emittente pubblica nazionale, di realizzare un prodotto davvero riuscito e originale, se non addirittura rivoluzionario. Con le smorfie della sua faccia segnata dalle rughe, con l’inconfondibile parlata romanesca e i modi bruschi di chi soffre regole e protocolli più di ogni altra cosa, Giallini ha dato vita a un personaggio magnetico e stratificato. Al poliziotto insofferente all’autorità, al capo che spesso e volentieri bullizza i suoi sottoposti, corrisponde però un animo tormentato e romantico, che patisce il distaccamento dalla terra natìa, incapace com’è di sentirsi a casa in un’Aosta che vive quasi come un esilio, e intollerante alle ingiustizie, siano esse perpetrate da un “infame” o dallo stato che rappresenta. Ad angustiare più di ogni altra cosa Rocco è però Marina, l’adorata moglie rimasta uccisa tra le sue braccia dagli spari di un criminale in cerca di vendetta. Interpretata dalla suadente Isabella Ragonese (e a partire dalla quinta stagione da Miriam Dalmazio), la donna appare a Rocco nei momenti di sconforto e solitudine. È un fantasma amorevole, ma allo stesso tempo impedisce al vicequestore corroso dai sensi di colpa di voltare pagina.



Un personaggio del genere, e la sua interpretazione da parte di Giallini, avrebbero meritato una messinscena e una cifra stilistica all’altezza, che invece non sono pervenute, se non a sparuti sprazzi. Impedendo così al risultato finale di andare oltre la mera piacevolezza. Il personaggio Rocco Schiavone è troppo potente per la regia ordinaria, da fiction Rai verrebbe per l’appunto da dire, dei vari Soavi, Manfredonia e Spada e per un linguaggio televisivo in fin dei conti conformista. Finisce così per cannibalizzare tutto quello che lo circonda, per sovrastare ad esempio i pur interessanti gialli che il vicequestore e la sua squadra devono risolvere di episodio in episodio. Neanche la presenza dello stesso Manzini in sede di sceneggiatura è riuscita a circoscrivere la problematica.  A catalizzare l’attenzione di chi guarda non sono dunque i fatti, piuttosto le azioni, le reazioni e le metodiche del protagonista a essi.

Non aiuta una fotografia impersonale che riesce soltanto in alcuni frangenti a trasformare la nevosa Aosta in un luogo dell’anima, indugiando invece nelle solite inquadrature delle cime innevate e del teatro romano viste in mille pubblicità turistiche patrocinate dalla regione. Le cose vanno ancora peggio quando la produzione tenta sotterfugi abusati come l’inframezzo onirico dell’incontro tra Schiavone e Marina durante il proverbiale stato di incoscienza del poliziotto ferito, che finisce col risultare estremamente posticcio e amatoriale.

L’unico elemento di “Rocco Schiavone” che sembra anelare a una cifra stilistica propria e definita è la colonna sonora di Corrado Carosio e Pierangelo Fornaro che punta su struggenti linee blues di chitarra in linea con la ruvidità del protagonista. Del resto, i titoli di testa sono accompagnati dalla voce e la chitarra del bluesman londinese Duke Garwood – insieme a Mark Lanegan tra i cantautori preferiti di Giallini. La colonna sonora poteva però essere parte di un disegno stilistico più grande, come accadeva ad esempio ai motivi poliziotteschi de “L’ispettore Coliandro”, tanto per usare un paragone di casa Rai, che insieme ai personaggi fumettosi e le storie stravaganti ne hanno fatto una delle serie più originali della recente storia seriale italiana. Probabilmente a “Rocco Schiavone” è mancato dunque un retroscena autoriale, che invece due fini autori di film di genere come i Manetti Bros hanno potuto conferire alla serie dedicata allo stralunato poliziotto bolognese.

L’ombra lunga del vicequestore giganteggia per carisma e spessore anche su tutti i personaggi su cui si staglia. Una rosa che, pur variegata, raramente supera lo steccato dello stereotipo. La squadra di Rocco è difatti composta da veri e propri archetipi della commedia all’Italiana. C’è il “tonto” D’Intino (Christian Ginepro), lo sveglio e “sciupafemmine” Scipioni (Fabio La Fata), l’eccentrico medico legale Fumagalli (Massimo Reale), l’ombroso incline a smarrirsi Italo (Ernesto D’Argenio) e il dolce e riflessivo Casella (Gino Nardella) – tutti personaggi dei quali sarebbe un esercizio facile trovare il corrispondente in altre serie italiane similari, a partire ovviamente da “Il commissario Montalbano”.

Non va meglio se spostiamo la lente sulle numerose fiamme che nel corso delle stagioni cascano tra le braccia del tenebroso poliziotto, praticamente una serie di figurine, ciascuna egualmente inefficace nel suo ruolo di scaccia-fantasma (di Marina) di turno. Anche qui parliamo di caratterizzazioni tagliate con l’accetta, come la talpa suo malgrado Caterina (Claudia Vismara) o la ricca ereditiera che si riscatta facendo la giornalista d’assalto Sandra (Valeria Solarino). È invece foriero delle gag più divertenti e scorrette il trio di amici d’infanzia criminali di Rocco, i romanacci Sebastiano (Francesco Acquaroli), Brizio (Tullio Sorrentino) e Furio (Mirko Frezza).

Nel corso delle 6 stagioni  “Rocco Schiavone” è riuscita a diventare uno dei prodotti più seguiti della televisione nazionale, allargando il suo raggio di interesse anche verso frange di pubblico più esigenti. Proprio per la libertà che solo un pubblico altamente affezionato garantisce, la sensazione è che la produzione avrebbe potuto osare molto di più.

La serie rimane comunque un prodotto superiore alla media della fiction nostrana, che sia grazie alle trame gialle dei singoli episodi che al plot noir che la percorre per l’intera durata (la faida tra Schiavone e i fratelli Baiocchi), porta in prima serata Rai tematiche importanti come la ludopatia, la solitudine, l’elaborazione del lutto e la nostalgia del nido. Il tutto con un discreto ritmo e una bilanciata alternanza tra momenti mistery e divertenti gag.

sabato 7 giugno 2025

Fatevi i gatti vostri 2018 "Meglio provà cole streghe che sta a fassi le seghe" by zzzzz

Sto poste lo dedico a due che si sentan ganzi e che l'altro ieri al barre, mentre io Sama e le trombanti si chiaccherava tra noi, si so nfilati nel discorzo senza nvito.

Si ragionava dele varie ordinanze per cui un si pole girà in costume da bagno in paese. A dì la verità un c'era discussione perché noi quattro co differenti argomenti si sosteneva tutte  più o meno la medesima tesi.

"O che c'è di male se una camina in costume da bagno pela strada?" Aveva esordito Samatta, proseguendo poi: "E pole esse na cosa più o meno elegante ma un siamo mica n una contrada slamica un siamo". 

"Boia dé- rinforzava la trombante maior - giù dal muretto da perizzomi che ci sò esposti e pare d'esse n'un campo di mele mature e a sentì loro r culo gnudo n ispiaggia sì e n du pezzi pe la strada no!".

" Allora com'è? bisogna arza n muro perché sinnò come si fa a un vedelle - ripigliava la su sorella - quando nvece pela strada  a vorte ne so a giro arcune cor un vestito tanto  trasparente che si vedan bene la topa er buo der culo. Ntendiamoci se voglian mostrà io un mi scandalizzo davvero  ma se io mi so scordata di comprà le sigarette e vengo su n bikini e mi fanno la murta m'incazzo di brutto!"

"Sì la libertà è na bella cosa e tutto quer che la limita m'indispone- sostenevo io- anzi a me sto senzo dela decenza mi sembra na misura pe protegge no r pudore ma i complessati"

A sto punto uno de du ganzi, che finallora avevan meritato quarche nostra occhiatella perché brutti un eran davvero, sarta su e co na strafottenza da sputagli ner caffé dice la sua:

"Voi quattro e ci potete andà anche gnude pe la strada tanto a chi gli nteressano quattro streghe attempatelle come voi?"

Forze "streghe" ci poteva anche sembrà un comprimento. Ma sentissi dà dell' attempatelle da du torzoli che a fa tanto potevano avé du o tre anni meno di noi, c'ha dato un po' noia, lo ammettiamo. 

Così sto poste lo scrivo per loro e che r titolo gli sia di monito perché se seguitano co sto stile gli verrà r gomito der tennista a forza di  andà la mano  nzùengiù

Per voi nvece presento sta guida dove, tra le streghe d'Italia, ci siamo anche noi ma non vogliamo sciupare la sorpresa dicendo indove siamo allocate pe organizzà i nostri sabbi.

Bon weekend

Zanza



Un viaggio tra i borghi, le valli e le foreste incantate che hanno ospitato i raduni delle streghe. Questi vengono rievocati insieme alla caccia alle streghe, che fece dell’herbara un’entità malefica legata al demonio, e all’eredità pagana, i cui simboli resistettero all’avvento del cristianesimo e ai tentativi dell’Inquisizione di cancellarli. Regione per regione, l’autore narra le leggende e le tradizioni che fecero di queste zone la dimora preferita di maghe e fattucchiere e offre al lettore, grazie a mappe, indirizzi e consigli pratici, gli strumenti per organizzare veri e propri itinerari magici tra i sentieri di campagna e gli anfratti nascosti del territorio italiano, in cui guaritrici e sciamane raccoglievano le erbe medicamentose e officiavano i sacri riti in onore dei loro dèi.



sabato 31 maggio 2025

Fatevi i gatti vostri n 2017 favole o novelle basta che siano belle

Mentre il sole prencipia finalmente a splendere su Livorno il Ciampi dietro mie continue, zanzaresche, sollecitazioni pare si sia deciso a dare na controllata ala barca che Dante ha lasciato in eredità al Bar Nado. 

Feniti i tempi in cui r bimbo d' Uliano veniva a trovacci armeno sei volte l'anno ma spesso anche si più, la barca è rimasta ormeggiata ne nostri fossi. 

Io seguito a pagà l'ormeggio e nessuno si cura di andà a vedé se è sempre a galla o se è affondata. Quando veniva Dantino, un dico la prima cosa che faceva ma nemmeno l'urtima, era quella di andà a controllà la barca e di facci un giro n mare, se la stagione acconzentiva. Dino un ha la su stessa maestria  cole barche e i motori ma essendo cresciuti nzieme armeno i rudimenti l'ha presi. Eppoi un bisogna dimenticassi che Renato, r su babbo aveva passato la vita in mare. 

Così dopo avello dotato d'una borraccia ripiena der su rosso preferito so riescita a spingilo sula bicicletta per andà a fa r primo controllo. Il motore è qui in fondo al garage der mi babbo e r Tafanino, che ha provato ad avviallo, ha certificato che parte bene. Poi bisogna vedè se seguita bene ma quella è cosa che si pol fa solo quando è montato sula barca. 

Nzomma se tutto andasse pel meglio io Sama e le trombanti ci siamo prenotate pe du giorni o anco tre  di mare. Io a tuffammi dali scogli so ancora discretamente okkei ma a a risalicci su o mi taglio, o mi scortico. Nzomma, se rsole lo posso piglià n barca e r bagno fallo da lì, preferisco. Ho detto du o tre giorni ma il barre ha bisogno di lavorà e quindi si tiene aperto, così, in realtà il tempo orgiastico si riduce ar massimo a tre  mezze giornate che poi a sta larghi saranno 6 o 7 ore in tutto. Se penzo però  a chi sta a Milano o a Torino mi sembra d'avé avuto n gran  culo a nasce qui.

Pe la biblioteca d'Esserino presento  un libro bello e raro, che Dani ha digià proveduto ad appoggià sur su palchetto di destinazione. E' roba per palati fini e credo stia bene in ogni biblioteca degna di questo nome.

Bon mare anche avvoi

Zanza





La grande e complessa tradizione della favola greca e latina, le cui antichissime origini si perdono nei primordi della civiltà, si estende su più secoli, con una sorprendente coerenza di temi e figure: per la prima volta in Italia questo dizionario la cataloga, da Esopo a Fedro fino alle raccolte tardoantiche e medievali, senza trascurare influssi ed echi biblici, mesopotamici, indiani. Volpi astute, scimmie sciocche, lupi spietati, piante vanitose, pastori beffati: il variegato universo della favola è popolato di personaggi umili, e i suoi protagonisti, animali, piante o esseri umani che siano, mettono in scena i motivi del conflitto e dei rapporti di forza, della rinuncia e dell’immutabilità del destino individuale, in un’esortazione continua al pragmatismo e alla scoperta della verità nascosta sotto le apparenze. A ciascuno di essi è dedicata una voce di presentazione e una ricca scelta di favole – oltre cinquecento – e di proverbi; se gli indici e gli ampi apparati sono preziosi per una consultazione puntuale, il repertorio favolistico e proverbiale offre il piacere della lettura – e della rilettura.

domenica 25 maggio 2025

Fatevi i gatti vostri n. 2016 "E c' era dele 'narchiche di pe ride e c'era! Qui ce ne s'ha 10!"

Dieci pericolosissime anarchiche e c'erano. Allora sì che c'erano. Allora. E ora? So tutti strapieni di lavoro e anche io une scherzo ma ho preso n impegno cola mi nipote e sto poste tocca a me. Il libro l'ho messo in biblioteca ierisera.

Bona Domenica

Dante





Dieci anarchiche italiane vissute tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, ritenute pericolosissime da ogni polizia e perciò costantemente controllate, in pubblico e in privato, in Italia come all’estero. I loro nomi sono ormai dimenticati, ma ricorrono nei documenti conservati presso il Casellario Politico dell’Archivio Centrale dello Stato. Si chiamavano Ersilia Cavedagni, Ernestina Cravello, Nella Giacomelli, Clotilde Peani, Virgilia D’Andrea, Leda Ratanelli. Fosca Corsinovi, Elena Melli, Maria Rygier e Maria Bibbi, e sono state per cinquant’anni, ognuna a modo suo, protagoniste dell’anarchismo. Le loro travagliate esistenze, qualcuna spezzata, raccontano – fra rivolte e prigioni, giornali, spie e cospiratori, amori e rancori, attentati veri o presunti – le storie non prive di contraddizioni dell’antimilitarismo, del sindacalismo rivoluzionario, degli esuli politici in giro per il mondo, della guerra civile di Spagna e dell’opposizione al fascismo. Con loro e intorno a loro altre donne e molti uomini. Un affresco umano e politico di chi ha attraversato la vita controcorrente.

giovedì 22 maggio 2025

fatevi i gatti vostri n.2015 "affare fatto ala libreria dell'acqua"


Era da un pezzetto che un andavo a Venezia. E so dietro a risistemà r mi vecchio camper Ford perché in estate mi ci vorrei fermare a dormire qualche vorta. Di motore e mpianto elettrico l'ho risistemato da me  coll'aiuto d'un amico slavo che cola meccanica ci s'arrangia benone. Procedo piano perché la schiena  mi tormenta e quando arzo pesi mi fa un male bestia. Proprio pe la riacutizzazione d'una di queste dolenzie so rimasto a casa du giorni. Si fa per modo di dì perché a casa un ci so sta. Così piano piano, pe calli e ponti, mi so trascinato nzino a quella libreria dell'acqua arta che tante volte è stata celebrata su sto blogghe. Ci trovo sempre qualcosa. Soprattutto qualcosa di adatto ale mi tasche. Tante volte co du euri o tre vengo via cor un paio di libri boni. Stavolta ho trovato uno scapigliato, che recenzirò a breve e sto romanzo di Cheney che avevo letto anni addietro e che mi era piaciuto parecchio. Lo volevo regalare a Bobby che ama i nuarre ben fatti ma a comprallo novo mi pesava. Ala fine è arrivato per sorte. Visto che Bobby fino a Luglio un viene, lo metto da Esserino. Poi r mi nipote si ritirerà li a leggilo. 

Bon Giovedì

Dante



 “Affare fatto” di Peter Cheyney è un avvincente romanzo noir che combina azione, mistero e intrighi criminali. Al centro della storia troviamo Slim Callaghan, un investigatore privato astuto e senza scrupoli, che si muove tra ambienti eleganti e pericolosi per risolvere un caso complesso e rischioso. Con dialoghi taglienti, colpi di scena e una trama avvolgente, Cheyney trasporta i lettori in un mondo fatto di segreti, tradimenti e giustizia poco convenzionale. Un classico per gli appassionati di spy story.




sabato 17 maggio 2025

Fatevi i gatti vostri 2014 "Oltre la siepe del bar Nado"

A Maggio

Oltre la siepe del bar Nado, 

quando piove e si va a guado 

e se l'acqua i piedi  bagna 

co  n ber ponce  s'accompagna

ma se vedo r  sole pieno

io mi gnudo in un baleno

e così l'attimo  còglio

cor un tuffo dalo scoglio

Nzomma a dire l vero oggi piovere un piove il sole è bello ma l'aria è diaccia e cor un tuffo dali scogli quando sorti è facile chiappà na bronchitella. Quindi ala macchina der caffè come tutti i giorni e la poesiola resta tale. Certe volte mi sento un po' scema e come i bimbi che dican "cacca cacca cacca" finché un si prencipia a sentì r puzzo, anche io mi invento mentalmente de ritornelli e poi li canticchio, appunto, davanti ala macchina der caffè. Oggi Dante m'ha segnalato d'avé messo un libro in biblio e quando ho visto il titolo ho prencipiato cola canzoncina-

E' questo uno dei rari casi in cui il filme mi è piaciuto più del libro ma è comunque un testo che non pole mancare nella biblio di Esserino e dato che Bobby lo ha messo nello scaffale propio oggi ma un ha tempo di scrive du righe, ci penzo io. Ovviamente Dante ha scovato una prima edizione e l'ha pagata davvero poco 15 euri (che allui gli so semmrati n'enormità) eccola qui propio quella anni sessanta


Ala fine della lunga recenzione che un'è opera mia (ma in fondo si citano le fonti) metto anche la copertina dell'edizione che ho in camera mia

All'urtimo momento Dani mi segnala di avé messo anche l'audiolibro che è un bon ascorto per chi deve riposà l'occhi.

Saluti a tutti e bon uikkende

Zanza

Il buio oltre la siepe esce per la prima volta in Italia nel 1960, pubblicato da Giangiacomo Feltrinelli, e ottiene immediatamente il Premio Pulitzer. Dopo esserlo diventato in America, il romanzo si conferma da subito un best seller anche in Italia: la prima edizione da 10 mila copie viene acquistata a scatola chiusa dai librai e Feltrinelli si affretta a farne stampare una seconda edizione ancora prima che i volumi si vedano esposti nelle vetrine delle librerie. Nel 1962, arrivato alla quinta edizione, il libro si presenta con copertina cartonata con una sovraccoperta che mostra, sul tono del verde, il viso di Mary Bedham, l’attrice che interpreta la giovane protagonista Scout nel film basato sull’opera letteraria, uscito nei cinema americani il giorno di Natale dello stesso anno.

La versione nostrana del titolo non è una traduzione, bensì una scelta originale: To Kill A Mockingbird, titolo dell’edizione originale del 1960, risulta infatti intraducibile in italiano, essendo il mockingbird un uccellino diffuso negli Stati Uniti ma completamente sconosciuto in Europa. In ogni caso, poiché sia il mockingbird che la siepe rimandano simbolicamente allo stesso personaggio del romanzo, il titolo italiano risulta essere un’ottima soluzione. Oggi Il buio oltre la siepe viene ancora riproposto come un romanzo attuale e assolutamente da leggere; la dicitura «il romanzo consigliato da Barack Obama contro ogni razzismo e discriminazione» compare infatti in grande sulla fascetta delle ultime ristampe dell’“Universale economica” Feltrinelli.

Quando, nel 1960, To Kill a Mockingbird venne pubblicato, nessuno si sarebbe aspettato un successo da 30 milioni di copie vendute, traduzioni in circa quaranta lingue e il Premio Pulitzer per l’autrice. Ma, una volta constatato l’appeal del romanzo, a mostrare cautela fu l’industria cinematografica: se l’umorismo sottile, la rappresentazione di un periodo storico ormai passato e la trattazione di problematiche sociali ancora presenti avevano attratto numerosi lettori, forse gli stessi ingredienti non avrebbero riscosso popolarità presso un’audience abituata a film incentrati sull’azione, sull’avventura o sul romanticismo. Il romanzo, ambientato negli anni trenta in una cittadina dell’Alabama, racconta infatti, attraverso lo sguardo infantile della giovane protagonista Scout, i conflitti razziali e l’emarginazione […].


Come afferma Barton Palmer, uno dei timori di Hollywood era quello di offendere parte dell’audience nazionale; gli Stati del Sud avrebbero infatti potuto percepire la critica sociale presente nel romanzo come un insulto alla loro storia e alle loro tradizioni. […] Fu quindi una sorpresa quando Alan Jay Pakula e Robert Mulligan, rispettivamente produttore e regista alle prime armi, entusiasti decisero di investire insieme alla Brentwood Productions – appartenente all’attore Gregory Peck, cui venne data la parte di Atticus Finch, padre di Scout e avvocato difensore di Tom Robinson – e riuscirono a farsi finanziare dalla Universal Pictures. Quello che era stato un investimento cinematografico per molti poco promettente non tardò a ricevere gli stessi apprezzamenti del best seller da cui era stato tratto: considerato ancora oggi «un evergreen e un unicum nell’intera storia del cinema americano», ricevette nel 1963 numerosi premi, tra i quali ben tre Oscar.


Un altro dei motivi che aveva reso To Kill a Mockingbird un progetto cinematografico poco appetibile era il fatto che la prima parte del romanzo, costituita perlopiù da narrazione episodica, è incentrata sulle avventure di tre bambini. […] La produzione volle rendere le atmosfere del romanzo e la visuale dei bambini un punto di forza anche per il film: prima di tutto furono scelti per l’interpretazione di Jem e Scout non giovani star di Hollywood, ma due ragazzini che prima di allora non avevano avuto esperienze nel cinema e che quindi avrebbero potuto offrire una recitazione estremamente spontanea; in secondo luogo si tentò di far vivere a entrambi la vita sul set come un momento di gioco. L’atmosfera giocosa e di stupore si percepisce già dai titoli di testa, che, accompagnati da un tema musicale delicato e misterioso, introducono da subito nel mondo interiore dei bambini.


Le numerose parti dialogate del romanzo, altra caratteristica considerata poco allettante in un film, diventarono infine un ulteriore punto di forza grazie all’interpretazione di Gregory Peck. L’attore riuscì a rendere perfettamente il personaggio di Atticus Finch sia nella veste di padre che in quella di avvocato, ma soprattutto in quella di un uomo che decide di affrontare a viso aperto il razzismo locale, convinto di dover essere un esempio per i suoi figli. La figura di Atticus è il fulcro della storia e a dimostrarlo è anche una delle scene più memorabili del film, la sequenza conclusiva del processo: gli uomini di colore, sul loggione del tribunale, si alzano in segno di rispetto nei confronti dell’avvocato che, nel giusto, ha comunque perso la sua causa. Un’immagine utopistica, ma, come afferma Riccardo Esposito, «libro e film raffigurano gli americani non com’erano o come sono, ma piuttosto come a molti di loro piace pensare di essere (o di essere stati)».


Brano tratto da:

Maria Chiara Tricomi, Gli americani, «come a molti di loro piace pensare di essere», in Film da sfogliare. Dalla pagina allo schermo, a cura di Velania La Mendola e Maria Villano, note di Roberto Cicala, Roberto Della Torre, Alessandro Zaccuri, EDUCatt, Milano 2013, pp. 78-79.



Pubblicato per la prima volta nel 1960 e vincitore del premio Pulitzer nel 1961, Il buio oltre la siepe si annovera tra quei classi della lettura dei quali tutti (o quasi) incappiamo nel corso della nostra vita.

Che sia per imposizione scolastica, per suggerimento di un amico o, più semplicemente, per una sfida con noi stessi, ci sono romanzi che tutti leggeremo; e quello di Harper Lee è sicuramente uno di questi.