A scrivere di Via del Corno, sono tornato indietro, colla memoria, a quegli anni stupendi che passai a Firenze, durante i mi studi universitari.
Con questo strumento magico (stritteviù) che ti permette di vedere le stade al pc e di percorrerle metro a metro, torno a vedere la mi prima casa e mi sento salire un'ondata di commozione
Sono passati 45 anni e mi sembra rimasta come allora.
Eccola qui, l'uscio è il medesimo e le finestre al secondo piano erano le mie :quelle del salottino e dela cucina.
Vivevo allora in Via dell' Agnolo al 54 nel quartiere di Santa Croce proprio nella parte piu
stretta e affollata della via, quella compresa tra via de Macci e Borgo
allegri, facente parte di una area della stessa strada che i vecchi
abitanti mi dissero essersi chiamata del Canto alla briga, nota anche in
epoca settecentesca per le frequenti liti che vi divampavano. Avevo
trovato una casa a relativamente poco, 40 000 al mese da dividere con
Dino, che era venuto a Firenze per puro spirito cameratesco dato che lui
aveva l'impegno del conservatorio a Livorno e gli sarebbe convenuto
enormemente frequentare L'università di Pisa. 40000 in due in centro di
Firenze, all' epoca sembravano un affare ma consideriamo anche che era
il 1973 e che, in estate la mia giornata da bagnino era di 3'800 lire.
A dire il vero la spesa risultava inutile specie agli occhi della mia
famiglia e di Renatino, il babbo di Dino. Ci eravamo conquistati tutti e due l' accesso alla Normale ma
per una scazzottata, sorta in occasione degli scherzi alle matricole
(figuriamoci se con me e Dino avevan trovato pane per i su denti li studenti anziani) ce lo
eravamo giocati prima ancora di assistere al primo giorno di lezione.
L'episodio mi pare d' avello raccontato ai tempi splinderiani, magari, un'altra volta, ci tornerò sopra. Comunque per due Livornesi, del cuore dela Venezia,
andare a Pisa era già un onta di per sé, sottoporsi poi alla vessazione che
toccava ai matricolandi, era decisamente troppo. S'era richiesto e ottenuto, grazie al profitto,
l'accesso ala Normale per il prestigio della scuola e per la vicinanaza a casa. Del
resto il patema dello studiare nella città nemica veniva mitigato da una
piccola vanità: quella del poter dire che la Normale i crani andava
a cercasseli a Livorno, quindi passi. L' alternativa, rimastaci dopo la
rissa, era di ripiegare sulla statale di Pisa che significava, però, un
capitolazione degna della presa pel culo a vita ad opera degli avventori
del Bar Nado e anche di parecchi altri coi quali s'era fatto un po'
troppo li strafottenti. Eppoi Firenze aveva tutt' altro fascino,
pullulava di belle ragazze, nostrali e straniere e a quell' età si sa che
" i gatti cercan d'acchiappare le tope". L'appartamento era al secondo
piano di una casa che mostrava ancora consistenti tracce dell' alluvione
del 66. Apparteneva a un vecchio artigiano di via dell' Ariento, la
zona del Mercato Centrale di San Lorenzo. Quando andai a parlacci
avrebbe voluto vedere il mi babbo e scoteva il capo in segno d'una certa
riluttanza a trattare con me ma io gli risposi: "tanto poi dopo, mica
ci sta il mi babbo in casa sua. Cosa vole che ne sappia ir mi babbo, a
Livorno di quello che fo io a Firenze, del resto io lavoro e l'affitto
mica me lo paga il mi babbo".
"Bravo e che lavoro fai?" mi chiese riconcedendomi un po' di stima per il fatto d'aver dichiarato che lavoravo.
"D'estate
faccio il bagnino a Livorno d'inverno ho trovato un lavoro da omo
di fatica in via de' Macci, da un rigattiere e ni detti ir telefano di
referenza.
"Va bene mi voglio fidare disse lui, prese tre mesi di caparra e il mese in corso, compilò il contratto e mi dette la chiave.
L'appartamento
aveva una caratteristica singolare ovvero che era diviso in due parti.
Da una parte la camera da letto e il gabinetto (chiamarlo bagno mi
parrebbe uno sproposito) dall' altra salottinoe cucina. Il bello è che
in mezzo passavano le scale che conducevano al piano superiore ed erano
utilizzate dall' inquilina del piano di sopra una gentile signora che
aveva il banco al vicino mercato di S. Ambrogio. Analogamente, per
arrivare al nostro piano, anche noi si doveva transitare attraverso l'
appartamento, scisso in due, dell' inquilina sotto a noi. Ci dividemmo la casa
con Dino ma non ci si messe uno da una parte e uno dall' altra. In
camera si dormiva insieme in un lettone matrimoniale comprato con molte speranze di usallo con delle donne e tutte
le sere ci si scambiava, quasi all' unisono, la battuta: "ma bada con tutte ste belle fiche che ci so in giro
con che ca'ata mi tocca andà a letto". Al gabinetto mancava la doccia e
io ne costruii una con un po' di ingegno e molte di quelle bestemmie
che mi han sempre sorretto il morale nei lavori. Avevo preso un mastello
enorme da bucato e al soffitto avevo avvitato un asta che sosteneva un
cerchio di ferro, parallelo al soffitto medesimo, nel cerchio corrreva
una tenda di plastica fissata cogli anelli e dal supporto calava anche
un tubo di comma terminante in una nappola da doccia. Per avere l'acqua
calda rimediai un acquabox. Era un piccolo cubo collegato alla corrente elettrica e contenente una resistenza piccola ma simile a quelle degli
scaldabagni più grandi. Si avvitava sotto al rubinetto dell' acqua fredda e,
accendendolo, l'acqua che passava dal tubo si scaldava per effetto della
resistenza. Non si poteva dire che arrivasse bollente ma accettabile
anche in inverno. Restava il problema dello scarico ma io venivo dal mondo dele
barche e de pescatori e la soluzione mi balenò subito davanti agli occhi. Il mi babbo
mi procurò una pompa di sentina, quelle con cui si svotano le barche, la
prima fu a mano ma in breve la sostituii cor una elettrica così
azionando la pompa, l'acqua sudicia veniva pompata e scaricata nel
vater. Ecco uno schizzo fatto proprio in du secondi, per chi non avesse capito il marchingegno:
Non ci crederete ma in quegli anni c'erano parecchi studenti che
non avevano doccia o vasca disponibile. Due con cui s'era fatta amicizia
stavano a pensione da una vedova in via San Zanobi, avevano il
lavandino in camera ma il bagno assegnato a loro aveva solo il cesso e
così se volevano lavarsi dovevano andare al diurno della Stazione o
quello che c'era sotto al cinema Alfieri, in via dell' Ulivo, di lato
alle poste di via Pietrapiana. S'era dunque dei signori, io poi avevo
anche il vantaggio dato dal fatto che Dino stava al massimo 3 giorni
alla settimana. Così se anche qualche volta che lui rimediava da portarsi a
letto qualche ragazzotta io mi arrangiavo a dormire in salotto e a
pisciare in un orinale di smalto bianco colla riga azzurra intorno al
bordo,
nota: a Livorno questo vaso da notte lo si chiamava càntero lat. canthărus, gr. κάνϑαρος e i bimbi solevan intonare la canzoncina "ecco tumà ecco tumà cor cantero se ni si stacca r manico tutta la piscia n giro"
avevo il vantaggio dei fine settimana colla casa tutta per me. Il
venerdì e il sabato, oltre al lavoro dal rigattiere, facevo il portiere
di notte all' hotel Nord Ovest in via Valfonda che si dipartiva da Piazza Adua, davanti alla stazione, vicino al Palazzo de' Congressi e non sempre ma abbastanza spesso tornavo a casa con quarche
straniera che avevo conosciuto durante il lavoro. Spesso arrivavano di
notte dala stazione e mi chiedevano una camera. Gliela rimediavo ma
sapendo che per loro il prezzo era salatuccio aggiungevo: " se volete,
domattina, quando smonto, vi faccio vedere una stanza che noi studenti si
affitta a giornata costa poco poco". Se erano in diverse gli davo la
camera mia e di Dino, pigliavo i pochi soldi pattuiti, li mettevo nella cassa comune e
bonanotte al secchio. Quando me ne capitava una sola, però, avevo modo di
sciorinare tutto il repertorio della seduzione imparato in tante estati
da bagnino. Passeggiata sui lungarni, aperitivo, e poi a casa pastasciutta piccante
cucinata da me, vino rosso bono. Brutto brutto un ero, fisicamente sembravo
pronto pell' olimpiadi, qualche no l' ho beccato e me lo ricordo ancora
ma dei sì non me ne ricordo da quanti erano, anzi li confondo e questo è un segno bono.
Cosi
scorrevano i meglio giorni della mia giovinezza in una Firenze magica e
ruffiana che stimolava ogni voglia, tranne quella di studiare.
Qui sotto metto la versione audio, dura circa dieci menuti
Bona giornata
Dante
Molto Bello Dante! Ci hai fatto rivivere un momento fantastico della tua vita con dovizia di particolari e un prosa leggera bella a leggersi ma ancor più ad ascoltarla.La doccia è un capolavoro, il pitale lo ricordiamo anche noi ma solo a casa dei nonni e quello in plastica con Paperino. Oggi a pranzo invece della disputa Salvini Di Maio abbiamo ascoltato le tue "Florentine Memories", chissà se questi buzzurri arroganti hanno qualcosa che si avvicini anche lontanamente a queste emozioni che hai vissuto e che ci trasmetti con tanto amore.
RispondiEliminaGiacomo e Anna
Concordo con il "parmigiamino"(notevole questo nick). Una delizia per le orecchie e per la vista questo odierno post a firma Dante. Bella l'idea di ricercare i posti del passato con le nuove tecniche offerte dalla rete.
RispondiEliminaConosco Dante quale fine narratore ma non lo ricordavo negli audio. Legge bene, in modo sobrio, con accento toscano ma senza indulgere a toscanismi esasperati che riescono a far sembrare antipatica una parlata che invece è gaia e immediata. L' unico attimo in cui la sua voce indulge al compiacimento mi pare quando ricorda che "i gatti....". Certamente è sincero in questo suo ricordo, altrimenti le corde del cuore non farebbero uscire tale sonorità.
Spero di trovare il tempo di leggere tutti gli arretrati.
Con cordialissimo affetto
Giovanni Martinelli
(spero di sfuggire presto all' anonimato ma non ho desiderio di aprire un blog)
Sai che mi vengono i brividi a pensarti mentre riguardi quella porta e quelle finestre. Il geniaccio lo avevi fin da allora, guarda tu che doccia avevi costruito e Valerio sostiene che probabilmente non c'era acqua in giro con quella pompa aspirante. Altro che Jacuzzi. Bella giovinezza movimentata ma senza droghe e cellulari!
RispondiEliminaUn abbraccio
Patty e Vale
Colgo l'occasione per salutare il Prof. Martinelli che tanto ci deliziò coi suoi scritti e i suoi interventi. Bentornato un abbraccio anche a Lei!
Patty e Vale
@Prencetrence
RispondiEliminaGiovinezza senza cellulari senz'altro, un sacco di gente ancora non aveva nemmeno il telefono; ma garantisco che a quei tempi a Firenze, quanto a droga, non ci facevamo mancare proprio nulla - e di di solito non erano pasticche ma eroina. Altrettanto garantisco che l'abitudine dei proprietari di spennare lo studente fuorisede chiedendo infinite garanzi e fino alla terza generazione di ascendenti per fornire camere piuttosto malmesse era già piuttosto in voga. E naturalmente, allora come ora, la vita dello studente universitario, in sede o fuorisede che fosse era molto, molto incentrata sull'aspetto socio-affettivo... 😇