TRAMA
Nel 1948 Ernest Hemingway arriva in Italia con la quarta moglie, Mary Welsh. Il piroscafo che doveva condurre la coppia e l'inseparabile Buick - legata alla prua - in Provenza, non riesce ad approdare a Cannes a causa del maltempo e deve per forza navigare fino a Genova. Per Hemingway è uno shock: mancava dall'Italia da trent'anni, da quando diciottenne aveva combattuto sul fronte italiano. È uno scrittore in cerca di ispirazione: non pubblica un romanzo da dieci anni, è un momento difficile, e quando scende sul molo osannato e assediato dai giornalisti, viene sommerso dai ricordi e decide che quello che era destinato a essere un breve interludio fra Cuba e la Provenza diventerà un viaggio di parecchi mesi nei luoghi che aveva frequentato da giovane. Da Genova a Milano, da Stresa a Cortina, incontra e fa accordi con i suoi editori italiani, il «comunista» Giulio Einaudi e il nonideologico Arnoldo Mondadori. Conosce la sua voce italiana, Fernanda Pivano con il compagno Ettore Sottsass, Italo Calvino, Natalia Ginzburg. Fra un drink e una battuta di caccia si spinge fino a Venezia e a Torcello, dove incontra una giovane aristocratica veneziana, Adriana Ivancich, di cui si innamora, ricambiato. Sarà la sua «ultima musa»: la relazione è complessa e destinata a non durare, lo sanno entrambi. E tuttavia grazie a lei Hemingway ricomincerà a scrivere: Adriana è la Renata di «Di là dal fiume e tra gli alberi», romanzo che Hemingway considera un capolavoro e che verrà inizialmente stroncato dalla critica. Ma dopo questo, con al suo fianco Adriana che per b reve tempo si trasferisce (con la madre) a Cuba, Hemingway scriverà anche «Il vecchio e il mare», che gli vale il Premio Pulitzer e, l'anno successivo, il Premio Nobel.
Grazie Holly,
RispondiEliminaDa Parma a Mestre è un po' lunga per me ma il tuo post ha comunque richiamato la mia attenzione su un tema che stimola la mia curiosità. Da quanto ho evinto dai post passati dovremmo essere coetanee (primi anni 70 tanto per non dichiararsi troppo esplicitamente) e anche io alle medie avevo come lettura estiva Hemingway. Devo però dire che La mia prof. era stagionatella. Gli insegnanti più giovani alla metà degli anni '80 già snobbavano Ernst.
Un abbraccio da
Anna
Intorno ai miei vent'anni non andavo matto per Hemingway e, pur non lasciandomi influenzare troppo dalla controcultura sessantottina, avevo tra le mie letture alcuni giganti al cui cospetto Hemingway mi pareva un Buffalo Bill che veniva a perdere le sfide coi cowboy nostrani, i butteri sicuramente cari a Dante. Mettevo sul piatto della bilancia Verga, Pirandello e perché no anche Vasco Pratolini che dalla lezione di Verga aveva appreso molto e la riproponeva con nuova forza e con interventi letterari di uno spessore che non tutti hanno saputo vedere. Mi pareva, pertanto, che stile e costruzione letteraria fossero tutte da questa parte.
RispondiEliminaNel 1937, sul New Republic, Max Eastman scriveva: «Lo stile di Hemingway è l'equivalente di appiccicarsi peli finti sul petto». Il libro era "Morte nel pomeriggio" e questo, più una serie di altri appunti approfonditi e piuttosto aggressivi verso la tendenza (indubbia) di Hemingway a prendersi qualche licenza lirica, gli avevano procurato un sonoro ceffone a mano aperta in piena faccia. Celebre è anche la stroncatura ad opera del critico letterario e sociologo Dwight Macdonald, che lo elevò a classico esempio di pessima letteratura, di quella categoria del kitsch da lui battezzata Midcult, prototipo di quei prodotti che, presentandosi come "Alta cultura" (Highbrow) sono in realtà accozzaglie di banalità e coacervi di piattezze intese per solleticare i gusti pop culture di un pubblico di massa, scarsamente o mediamente acculturato. Eppure nel 1968, chi fosse il più grande scrittore americano del XX secolo non era per niente scontato. Si parlava di una triade, Hemingway-Faulkner- Fitzgerald e, nella sfida Hemingway non era mal messo.
Quando qualche anno dopo mi trovai inserito nella scuola, come docente di lettere, ancora fresco di università, i colleghi più anziani esaltavano Hemingway, i miei coetanei lo liquidavano con commenti che richiamavano le critiche, surriportate.
Non mi volli schierare e mi accostai alle opere di Hemingway con differente occhio, distaccato dalle mode letterarie e dalle colorazioni ideologiche. In Hemingway non vedevo il fine letterato né l' acuto indagatore delle passioni umane ma ne percepivo la forza intensa di un innovatore. Voglio usare, per descriverlo, le parole di Anthony Burgess. Ricordate chi è? L'autore di Arancia Meccanica. Scrive a proposito di Hemingway: un grande sforzo per scrivere una «semplice, vera frase dichiarativa». Il fine artistico di Hemingway era originale come quello di qualunque altro intellettuale di avanguardia che dissertava nei caffè sui boulevard. Scrivere senza fronzoli, senza imporre il proprio modo di pensare, far sì che parola e struttura esprimano pensiero, sentimento e anche fisicità, sembra facile oggi, soprattutto perché Hemingway ci ha mostrato come farlo, ma non era facile quando «letteratura» significava ancora stile calligrafico in senso vittoriano, con abbellimenti neogotici, allusioni pedanti, una struttura intricata di frasi subordinate, la personalità dell’autore frapposta, timidamente o brutalmente, fra il lettore e l’opera scritta.
Ecco, sia pure con alcune concessioni a un lirismo che fa un p' sorridere, Heminway, a mio modesto avviso, è stato tutto ciò e merità un posto di tutto rispetto nella storia della letteratura americana e mondiale.
Giovanni Martinelli
Addenda:
RispondiEliminaIn merito all' opera che viene presentata a Mestre mi corre l'obbligo di ricordare che la vicenda della "musa veneziana" aveva già trovato spazio nell' opera
La Musa di Hemingway - Memorie e tormenti di Adriana Ivancich
di Nicola Morgantini
Editrice Effequ, 2015
Ciò, ovviamente senza voler togliere alcunche ai meriti del nuovo romanzo di De Robilant che ancora non ho avuto il piacere di leggere
Giovanni Martinelli
Grazie Prof. la saluto con gioia, l'abbiamo attesa tanto e non ci speravamo più. Sempre ricchi e dettagliati i suoi interventi,. NOn ha perso l'antico smalto. Complimenti
EliminaUn abbraccio
Holly
Hemingway è (era?) decisamente troppo maschile per le mie capacità di sopportazione, quando ero ragazza. Una volta però a scuola mi obbligarono a leggere la breve vita felice di Francis Macomber, per giunta in versione ridotta e censurata - col risultato che il protagonista sembrava molto più idiota di quel che era - in inglese. Non fu facile, e la storia di per sé mi rivoltava le budella (simpatizzavo con tutte le mie forze col Leone) ma dovetti ammettere che quell'uomo sapeva DAVVERO scrivere, e che riusciva ad infilare una quantità di cose sorprendenti in una frase, tra dette e non dette e accennate. Una decina di anni fa lo ripresi in mano in cerca di un brano su Caporetto da far leggere ai ragazzi, e lo trovai molto più digeribile - diciamo che mi ero ammorbidita io, e con gli anni avevo sviluppato un certo interesse scientifico ai punti di vista diversi dal mio. Credo che cercherò il libro di Robilant in biblioteca, tra un po', potrebbe essere interessante.
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