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giovedì 11 ottobre 2018
fatevi i gatti vostri n. 1113 "un conributo del. prof. Martinelli" by Bobby
Grazie Prof.
Un caro saluto a tutti
Bobby
Ne so poco di gialli e quindi, più che dall' intreccio e dalla via tintrapresa verso risoluzione dei casi, sono stato colpito dai due diversi ma efficaci dello stile. Ovviamente non ho ancora terminato i due romanzi ma li sto leggendo in parallelo. Quando sento la mente più sgombra e pronta a recepire pensieri altrui leggo Ricciardi. Alla sera, quando mi sento un po' più stanco e ho voglia che le immagini mentali si formino senza sforzo leggo Crapanzano.
Di entrambi ho annotato qualcosa in merito alla pagina iniziale.
Per rilevare la qualità dello scrivere presente nel giallo di Ricciardi basta osservare la puntigliosa attenzione con la quale il narratore, onniscente, ci introduce al mondo degli oggetti della vittima conducendoci attraverso essi, alla riflessione sulla condizione dell' esistenza umana:
L’uomo guardò le sue parole divenute corpo, un corpo 12 in Baskerville Old Face, un font che indubbiamente le nobilitava. Ma ora che erano separate dall’emozione che le aveva prodotte e restavano mute, sospese nella luce del monitor, ferme, giustificate, ripulite dal correttore automatico, messe in perfetto ordine, non più balbettanti e alate come quando uscivano dai meandri dell’anima – dal recinto dei denti, avrebbe detto Omero – le trovò brutte, banali, trite, piene di luoghi comuni, prevedibili e sconce nella loro falsità. Eppure non cedette all’istinto di cancellarle. Aprì la finestra a tendina del menu “file” del suo Mac e fu indeciso se scegliere semplicemente mela+S, salva, o maiusc+mela+S, salva con nome. Che strana espressione, pensò. Senza nome, non ci si può salvare. Comunque sia, “salva” doveva essere una traduzione iperletterale dell’inglese save; e save nel pratico linguaggio degli anglofoni ha piuttosto a che fare col gergo di conservatori di cose antiche, salvaguardatori, custodi, topi d’archivio. O di quegli uomini che non buttano via nulla e finiscono per morire lasciando agli eredi il compito di svuotare case zeppe di ammennicoli che hanno avuto senso in un dato momento, e solo per questo sono stati salvati, in realtà temporaneamente sottratti alla distruzione e accumulati in cassetti, mensole, scansie che nel tempo hanno accolto tutto, senza distinzione, per null’altra ragione se non quella di esorcizzare la morte per via d’accumulo. Fino a che tutto non sia disperso per sempre. Salva con nome. Ma non scrisse il suo nome in calce alla lettera. E non spedì quel testo a nessuno. Era ancora lì quando lo trovai e mi posi a spiare quelle parole finali, le ultime di una vita bruciata in una fiamma rapidissima.
Scrive davvero Bene Ricciardi ed oltre allo scriver bene inserisce nelle sue pagine riflessioni così interessanti e profonde da costrinegere talvolata alla rilettura del passaggio. La cultura umanistica traspare, forse fin troppo, ma non guasta anzi ci sincera sul fatto di essere caduti in buone mani. Cosa non facile nello stragrande universo dei sedicenti scrittori.
Discorso assai diverso avanzerei per Dario Crapanzano.
I suoi trascorsi accademici e la laurea in giurisprudenza non influenzano la sua prosa. Né la influenza l'età dello scrittore medesimo che si sta avvicinando all' ottantina.
Prosa fresca, guizzante con immagini di carattere quasi fotografico. Emerge l' anima del grande comunicatore che è persino disposto a rinunciare ai barocchismi della prosa pur di non perdere l' impatto, l'immediatezza del verbo che si fa immagine.
ecco un esempio anche in questo caso
Il 2 marzo 1950, giovedì, alle ore 19.50 circa, tutto era tranquillo, nella vecchia casa milanese di ringhiera di via Tadino 17/a, a Porta Venezia. Una debole luce filtrava dai vetri delle seconde porte e dalle finestre dei molti appartamenti che si affacciavano sul cortile, distribuiti sui quattro piani dello stabile. Quasi nessuno aveva ancora chiuso la porta principale, quella in legno massiccio, che rimaneva aperta fino all’ora del sonno. La gente stava consumando il pasto della sera o, nella maggior parte dei casi, lo aveva già terminato. Lì si mangiava presto, sia per una tradizione dura a morire che veniva dalle origini contadine dei più, sia perché la mattina tutti andavano a lavorare di buon’ora. Operai, artigiani o negozianti, finito il pasto, si coricavano subito dopo un po’ di radio o una lettura più approfondita della “Gazzetta dello Sport”. La mattina, fra le sei e le sei e mezzo, suonavano le sveglie. E dopo un caffè o un caffellatte, via verso il lavoro in tram, in bicicletta o in moto, per quei pochi che la possedevano, portando con sé l’immancabile “schiscèta”, il classico contenitore in alluminio con dentro già pronto il pasto di mezzogiorno, solitamente una frittata, un po’ di minestra, o semplicemente pane, salame o formaggio. A casa rimanevano solo le donne che, dopo aver preparato i figli per la scuola, si dedicavano alle faccende domestiche. Poche, infatti, avevano un lavoro fisso che le impegnava per tutta la giornata. Il cortile era buio, sfiorato solo indirettamente e debolmente dalle luci delle abitazioni. Unica eccezione, il fiotto luminoso che usciva dalla porta del retro del caffè-tabaccheria. Una pioggia insistente e fredda batteva sull’acciottolato, formando piccole pozzanghere e rigagnoli. Due moto erano parcheggiate sotto il ballatoio del primo piano, al riparo dalla pioggia. Fuori, non c’era nessuno, anche la portinaia era barricata nella sua ampia guardiola con vetrata a piano terra. All’improvviso, la sonnacchiosa quiete della sera fu violentemente scossa da un grido, un disperato urlo di donna, un agghiacciante e prolungato “noooo!”, subito seguito dal fragore di un tremendo tonfo. Il tabaccaio, sentiti sia il grido sia il tonfo, uscì dalla porta del suo retro e si trovò di fronte all’orribile spettacolo di un corpo di donna, immobile e scomposto in modo innaturale, disteso sui ciottoli tondi bagnati dalla pioggia che costituivano la pavimentazione del cortile.
Par di essere lì, siamo arrivati in fondo alla pagina e difficilmente qualcuno avrà dimenticato che ci troviamo nel 50 a Milano Porta Venezia, casa di ringhiera, portone in legno massiccio. E' come entrare in quelle vite fatte di colazione, bici, lavoro,gamelle, ancora lavoro, cena, letto e via: pronti per un altro giorno.
Crapanzano non scrive "pioveva insistentemente" la sua pioggia letteraria deve quasi bagnare anche noi e quindi: "Una pioggia insistente e fredda batteva sull’acciottolato, formando piccole pozzanghere e rigagnoli."
Chiedo scusa per questo commento da non addetto ai lavori. Questo mio scritto non osa avere l' ardire di un commento sia pur minimamente tecnico, solo un invito alla lettura.
Giovanni Martinelli
4 commenti:
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Bobby Londra ora locale 09:09
saluti a tutta la redazione italiana, aspetto di vedere il tesoro!
Mi ero procurata i libri per puro desiderio di accumulo e con promessa a me stessa di leggerli in treno o in aereo ma sono ancora là. Questo simpatico intervento del prof., che ricordo con tanto affetto, mi motiva però a resuscitare il mio proposito.
RispondiEliminaDopo la dotta introduzione di cui sopra mi vergogno un po' ad offrire anche io un modestissimo contributo per il quale prego il maestro Ciampi di essere impietoso
sottopongo al gruppo musica "una mia interpretazione di c'era un ragazzo che come me" la base che ho trovato non mi pare eccelsa, il mio ampli è di fascia media e l'accento romano si sente troppo.
Baci
Patty
Lo sto ascoltando in questo momento Patty, poi avverto Zanza o Dani
RispondiEliminaa me pare ben fatto, la base però è un midi orrido che mortifica la tua voce carina, fattene mandare una buona da Zanza e ricanta su quella
Comunque aspettiamo il Ciampi
Un abbraccio
Bobby
Canti bene, l'accento non disturba la base fa cacare, anche secondo Dino te ne ho mandata un altra, ricantaci sopra. Potrei pulire il tuo brano e metterci la base con audacity ma mi ci vorrebbe mezza giornata.
EliminaUn abbraccio e grazie per il momento
Zanza