martedì 8 dicembre 2020

fatevi i gatti vostri 1686 "Mysto Porke"

Oggi non gli ho potuto dì di no. Hanno diverse4 conzegne e un li posso aiutà. Piove a dirotto e io, tanto pe cambià ho la bronchite ma quella mia tradizionale che se lo vai a dì ora che hai la bronchite senza covidde è eguale ad anda ar Bilionerre da Briatore cola panda a metano. "Na bronchite m' ha detto il dottore "mpo di febbre. Cosa voi che sia ? Però stai in casa perché se vieni a contatto con  quarcuno che ha il virus, quello serio ntendo, lo chiappi anche te. Sa se trova i tessuti nfiammati il covidde ci si rotola come un maiale nela pozza", questo me l' ha detto il mi dottore di Livorno perché quello di Venezia, quando gli ho telefonato la segretaria m' ha messo un disco co discorsi di Zaia e le lotte cor congiuntivo. Ala fine diceva "perché noi veneti quando ci rimbocchiamo le maniche siamo unici, siamo fatti per la lotta e ne usciamo vincitori, io per esempio avevo dele difficoltà e tanti dubitavano che avrei potuto riuscire in breve a dominare questa avversione ai modi dei verbi. Invece è quasi cosa sicura che ce la facci perché noi della Nazione veneta siamo speciali pensate che abbiamo lottato per stare in zona gialla e non abbiamo avuto neppure un ristoro, pensate che oggi abbiamo il maggior numero di appestati eppure siamo ancora gialli come un torlo d' ovo". Un giornalista si permetteva di chiedergli se non era che fossero per caso i coglioni d'Italia e che al governo avessero detto "cosa gli si danno a fare i soldi a quei presuntuosi lì? Dopo non potrebbero più dire che fanno tutto da soli". La risposta si pole immaginare: "Se lei la pensa da italiano, io le conziglio vivamente di rinunciare alla benevola accoglienza che gli abbiamo dato anzi sarei propenso a un suo rimpatrio in Italia con la macchina dell' assessore alla sanità che si mette volentieri a disposizione".

Dopo un ora di discorsi finalmente mi hanno passato il dottore che mi ha cortesemente avvertito:

"Guardi che per ragioni di emergenza sanitaria posso prendere in considerazione solo i casi covid"

"E io come faccio a sapello? Mica sono un medico" gli ho risposto.

"Ma scusi lei non ascolta la televisione? Lo dicono ad ogni ora quali sono i sintomi sa?"

"Varcheduno  ce l' ho e altri un ce l' ho".

"Eh purtroppo l' indecisione non ci aiuta caro lei! Cerchi di fare chiarezza, si informi, studi, sento che lei è straniero ma qui siamo in un modello moderno e avanzatissimo di sanità che non prevede queste titubanze da parte di pazienti non informati, non aggiornati, fondamentalmente, mi scusi se glielo dico, ignoranti.

"Guardi una certezza ce l'ho" gli ho detto

"Eh allora me la dica, cosa sta qui al telefono a farmi perdere tempo?".

" Sono certo anzi stracerto che lei è una enorme testa di cazzo e mi pole anche scancellà da su assistiti".

Poi ho telefonato a Livorno

"Oh Dante o che cazzo hai? m' ha chiesto il Dottore

"Un so se ho preso il covidde."

"Boiadé fatti r tampone e c' hai  Zaia che qui lo chiamano Tampasse, te sei sotto a lui ora"

"No un mi piglià pel culo ho digià mandato a caa r medi'o di famiglia"

"Ascorta te la bronchite e l' asma l' avevi anche da ragazzetto, poi te costì sei n' imbecille  che a quasi settantanni vai a sudà in bicicletta, giri in barca al freddo. Nove su dieci è na bronchite classica"

"O come fo a sapello pe certo?"

"O la tu moglie un portava i medicinali ale farmacie?" Questo dottore si chiama Ghigo (sarebbe Enrico all' anagrafe) oramai è n penzione da un pezzetto credo sia del 48 ma è uno dei clienti affezzionati der Bar Nado e pe n conziglio è sempre disponibile inoltre ci conosce bene tutti perché faceva parte dela generazione prima dela mia e di Dino.

"Sì la mi moglie trasporta vella roba lì"

"Digli di portati a fa' un teste rapido n farmacia ma sempre a tampone no i pungidito ner tu caso un servano. Poi mi ritelefoni."

"Ho fatto così  anche ala fine pe trovà una farmacia che me lo facesse so dovutò andà col mi campere fino a treviso, 22 euri e un quarto d' ora pe la risposta. 

Poi  l' ho richiamato:

"Un l' ho il virusse".

"Bene  allora è na bronchite m' ha detto il dottore "mpo di febbre. Cosa voi che 

sia ?"

E s'era partiti di lì infatti.

Così sto n casa e cerco di fa le cose che m'ha messo in lista Dani:

ricercare pezzi musicali bar Nado, 

andare avanti col giallo, 

mettetre in cineteca mystic river, 

mettere i commenti al film nel blog

rifare la lettura della puntata n. 5 del fucile da caccia.

Boia dé mi par d'essa al lavoro!

Prencipamo: qui vi metto un vecchio pezzo musicale, uno fra i meglio riusciti a me e Dino. Siamo più precisi, a Dino gli riesce tutto ma qui mi dava un tempo eccezzionale e ho fatto benino anche io.

 Del resto a me le porke mi garbano anzi più porke so e più mi garbano



 e ci metto passione a eseguille. In questo brano musicale  ci sono delle porche miste da cui il titolo. Il pezzo fu fatto al bar Nado diversi anni fa e meno male che Zanza e la mi nipote asserbano tutto o guasi, sennò se fosse per me e Dino ....

Non mi possa definire un ballerino provetto, il mi babbo ballava meglio e la mi povera mamma era sopra le righe, ma mi difendevo benino speciarmente perché  ai valzeri e ai tanghi preferivo le porche assai più  semplici e, secondo me, ballabili  davvero da tutti.

Qui vi metto una guida semprice semprice che  vi aiuterà moltissimo a move i primi passi  

teoria dela polca primi passi


Poi magari nei prossimi giorni ci si ritorna sopra perché almeno due stili di polca bisogna distigueli: quella cosidetta "camminata" e la "saltellata".

Mystic river provo a mettelo in cineteca ma un so se mi riesce non lo cercate prima del dopopranzo che almeno gli da un occhio Dani.

La lettura ci provo, un ho gran voce, più che altro spero di ritrovà il libro perché a memoria un me lo ricordo.

Ar  giallo  vedo di lavoracci di pomeriggio.

I progetti so boni i pare

Statemi bene tutti

Dante

Ora le recenzioni: la mi nipote me l' ha lasciate in una cartella, mi sembrano troppe ma pe une sbaglià le metto tutte 

come disse Balena Melius abundare quam deficere

che per chi un sà r latino (tipo Zaia) vole dì: è meglio esse grassi che deficenti.

UN THRILLER AD ALTA DENSITÀ PSICOLOGICA.
Recensione di Giancarlo Zappoli

Stati Uniti negli anni Sessanta. Un bambino viene prelevato da un uomo molto autoritario e portato via con un'auto. Verra' violentato e poi riuscira' a fuggire. Due suoi compagni scampano alla stessa sorte. Oggi. L'uomo ha un figlio che ama. I suoi due amici sono divenuti uno un poliziotto e l'altro un commerciante. Un giorno la figlia diciannovenne di quest'ultimo viene trovata massacrata e i sospetti piano piano ricadono proprio sull'ex bambino violentato. Clint Eastwood ci regala ancora una volta un thriller che cerca il proprio equilibrio sugli Stati d'animo interiori lasciando totalmente da parte i colpi di scena classici. Trova in Sean Penn e in Tim Robbins due interpreti ideali. In particolare il primo che riesce a conferire al personaggio del padre dilaniato dal lutto una profondita' e una complessita' di accenti ormai rare anche nel cinema americano. 


Recensione di Davide Morena
venerdì 31 ottobre 2003

Ci siamo abituati davvero male al cinema hollywoodiano.
Se un tempo parlare di "cinema europeo", di "cinema orientale" o di "cinema americano" significava semplicemente individuare una marca stilistica piuttosto che un'altra, poco più che piantare dei segnali per muoverci all'interno di un flusso in realtà ben poco distinto e frammentato, oggi i contorni si sono fatti molto più netti. Come continenti alla deriva i luoghi di produzione cinematografica si sono allontanati tra loro, si sono isolati, hanno percorso storie ed evoluzioni diverse. Basti pensare al fenomeno dei remake che tanto Hollywood quanto Bollywood fanno l'uno dei film dell'altro: i produttori avvertono l'esigenza di dare al "proprio" pubblico un prodotto ad esso più congeniale, un prodotto "normalizzato". I film - a parere dei produttori - non basta più tradurli dal punto di vista linguistico, vanno tradotti nella forma, nel contesto, nell'ambientazione, nei valori che ispirano i personaggi e nell'ottica di chi li andrà vedere. Vanno rifatti. È per questo motivo che il protagonista latino benestante di Abre los ojos non è credibile agli occhi dello spettatore medio occidentale, e perciò bisogna farlo diventare uno W.A.S.P. con tanto di complesso edipico e faccia da Tom Cruise in Vanilla sky - sempre a parere di produttori che danno per scontata l'esistenza dello "spettatore medio". Perciò il cinema americano ha assunto nella nostra concezione una connotazione ben specifica, e ci aspettiamo da esso quanto esso ci ha sempre offerto. Il primo commento che ho sentito alla fine di Mystic River è stato "non mi è piaciuto, è un'americanata". Come se un film americano potesse in qualche modo non essere americano.
Siamo abituati male al cinema di Hollywood perché siamo sicuri che ogni film lì prodotto abbia bisogno di effetti speciali, di risvolti imprevedibili della sceneggiatura, di happy ending, per tenerci a bocca aperta davanti allo schermo per due ore e venti.
E allo stesso modo siamo abituati male perché gridiamo al miracolo ogni qualvolta un filmaker americano usa un linguaggio filmico che va in controtendenza rispetto al canone.
Siamo abituati male perché vedendo un film dobbiamo rintracciarvi un'affiliazione: è un film che segue il canovaccio delle produzioni hollywoodiane o lo contesta e se ne distacca?
Guardando Mystic River viene il sospetto che esista un cinema americano, fatto tanto da giovani appassionati quanto da leggende viventi di nome Clint Eastwood, che sinceramente se ne infischia di fare o non fare un certo tipo di film; che non se lo chiede se vuol lanciare un messaggio che sia pro o contro lo status quo. Che nemmeno ci pensa a lanciare un messaggio.
Viene il sospetto che certe storie, semplici ma che ci rapiscono e non ci lasciano più andare, possano essere nate davvero dalle esperienze e dalla fantasia di chi ce le racconta e non all'interno del fiume autoreferenziale della narrativa - di ogni tipo - contemporanea.
Viene il sospetto che l'America, aldilà del fatto che sia un posto bello o brutto, innocente o criminale, buono o cattivo, sia anche un posto dove gente vera vive vite vere, fa cose tutto sommato non grandiose e poi muore. E in mezzo a questa gente c'è qualcuno che ha il talento di raccontare storie, di raccontare il proprio mondo, né bello né brutto: il proprio mondo e basta.
Viene il sospetto che negli Stati Uniti ci sia spazio e fermento per qualcosa che, non senza un brivido, potremmo un giorno chiamare "neorealismo americano". Mystic River è un film sincero e spregiudicato, che racconta senza isterismi una storia allucinante, come fanno al bar gli amici dopo il lavoro. Immune dall'ossessione da documentario tanto in voga in questi giorni, Eastwood non ha l'intento di raccontare una storia vera attraverso i volti di esordienti, perciò si affida senza timore ad un cast di attori di fama e spessore indiscussi per realizzare questo capolavoro: il bravo Kevin Bacon, il magnifico Tim Robbins e uno Sean Penn che se già era grande, con Mystic River è divenuto un gigante.
La storia ha un retrogusto italiano e, non a caso forse, richiama il pluripremiato La stanza del figlio di Moretti, nella prima parte, e l'Abel Ferrara - che di cinema italiano se ne intende - più ossessionato nella seconda. Una trama che parte come mille altre ma che lentamente si insinua sotto la nostra pelle, lasciandoci capire tutto quello che succederà, mettendoci però addosso la smania di sentirlo raccontare fino in fondo. Le cose non vanno complicandosi in sottotrame sempre più fitte e intricate, come ci aspetteremmo, ma vanno chiarendosi in un modo che le rende ancor più agghiaccianti: quando dovremmo scoprire chi sono i buoni e chi sono i cattivi, scopriamo che sono, banalmente, tutti buoni e tutti cattivi (soprattutto cattivi). Drammaticamente normali.
Mystic River, ventiquattresimo film di Clint Eastwood, lascia in bocca l'amaro che già avevamo provato col meraviglioso Un mondo perfetto, misto allo stupore che si prova quando si assiste ad uno spettacolo monumentale: un gusto particolare che capita di provare tanto raramente e forse per questo è impossibile da dimenticare.

Recensione di Stefano Lo Verme

Jimmy Markum, Sean Devine e Dave Boyle sono tre uomini cresciuti insieme in un quartiere operaio di Boston; la loro infanzia era stata segnata dal rapimento di Dave, vittima delle violenze di due pedofili. Venticinque anni dopo, i loro destini si intrecciano nuovamente quando la figlia adolescente di Jimmy, Katie, viene trovata uccisa; Sean, diventato un poliziotto, si occupa delle indagini, mentre Dave è fra i sospettati dell'omicidio... Il veterano Clint Eastwood porta sul grande schermo il romanzo La morte non dimentica di Dennis Lehane, realizzando uno dei suoi film più cupi e disperati, un autentico capolavoro firmato dal regista de Gli spietati. Sceneggiato da Brian Helgeland (L.A. Confidential) ed interpretato da un cast d'eccezione, Mystic River prosegue quel viaggio negli abissi più profondi dell'animo umano già intrapreso da Eastwood nei suoi titoli precedenti, permettendogli di tracciare un affresco impietoso della condizione dell'individuo nel deserto della morale tipico della società contemporanea, in cui i limiti fra Bene e Male si fanno sempre più labili e incerti, e non esiste più alcuna differenza fra giustizia e vendetta. Una vera e propria tragedia moderna nella quale non c'è un Dio in grado di offrire una possibilità di redenzione, né tantomeno un fato capace di dare un senso all'orrore e alla sofferenza. Gli eventi narrati dal film hanno luogo a East Buckingham, un sobborgo proletario della città di Boston, nel Massachussets, bagnato dalle acque del fiume menzionato nel titolo. Nel breve prologo iniziale ci viene raccontato l'antefatto delle vicende: un episodio drammatico che scaverà un solco nelle esistenze dei tre protagonisti, sancendo il termine dell'infanzia e la fine dell'età dell'innocenza. Il tempo passa, e venticinque anni dopo ritroviamo gli stessi personaggi alle prese con le proprie vite da adulti, ma ancora gravati dall'ombra di un passato dal quale sembra impossibile liberarsi; un passato che torna prepotentemente a galla la notte in cui la figlia diciannovenne di uno di loro, Katie Markum (Emmy Rossum), viene barbaramente uccisa, gettando nel dolore suo padre Jimmy (Sean Penn). Da questo momento in poi, Mystic River diventa un giallo serrato nel quale alla ricerca dell'assassino, condotta dal detective Sean Devine (Kevin Bacon), si affiancano una catena di dubbi e sospetti che hanno per oggetto il terzo membro dell'ex-gruppo di amici, Dave Boyle (Tim Robbins).
In parte film poliziesco, in parte thriller psicologico, Mystic River trascina lo spettatore in una spirale di odio e di violenza che si concluderà con il più sanguinoso ed amaro degli epiloghi, in un finale straziante e privo di catarsi in cui, mentre la città è impegnata a festeggiare la parata del Columbus Day, i vari personaggi dovranno fare i conti con se stessi e con il peso delle proprie azioni. La regia lucida e controllata di Eastwood, autore anche della colonna sonora, dà un taglio decisamente realistico alla pellicola (caratterizzata dai toni notturni della fotografia di Tom Stern) e fa un ampio uso dei primi piani per mettere in risalto le prove degli interpreti; primi fra tutti un superlativo Sean Penn, vincitore del premio Oscar e del Golden Globe come miglior attore, e un altrettanto bravo Tim Robbins, premiato con l'Oscar come miglior attore supporter per il suo tormentato ritratto di Dave. Completano il cast Laurence Fishburne e, nei ruoli delle rispettive mogli dei due protagonisti, Laura Linney e l'eccellente Marcia Gay Harden.

Su MYmovies il Dizionario completo dei film di Laura, Luisa e Morando Morandini

Scritto da Brian Helgeland dal romanzo La morte non dimentica del bostoniano Dennis Lehane. Eastwood continua il suo discorso sul lato oscuro della società USA con quella che definisce una "tragedia americana", ambientata in un quartiere operaio di Boston. 25 anni dopo la violenza sessuale inflitta da due pedofili a un ragazzino, avviene un'altra, più sanguinosa violenza che, in modo diverso, coinvolge due dei suoi coetanei di allora, scopre le conseguenze innescate dalla prima e si conclude con un terzo e ancor più tragico evento. Sangue chiama sangue in un intreccio di elisabettiana crudeltà con un finale in sospeso che rifiuta ogni catarsi, come indica, ai limiti dell'irrisione, la parata conclusiva del Columbus Day. Cupo in tutti i sensi, anche nella fotografia di Tom Stern. I suoi temi - perdita dell'innocenza, supremazia maschile con coazione alla violenza, impossibilità di liberarsi del passato - non comprendono il dominio del fato e della necessità, come nella tragedia greca, ma l'indecidibilità della presenza di un dio. È, insomma, un film laico: più che la disperazione, sottolinea un dolore che diventa strumento di conoscenza dell'umana fragilità. Pur con l'apporto dell'amico Lennie Niehaus, Eastwood, esperto musicofilo e pianista, è l'autore delle musiche. Oscar per Penn, attore protagonista, e Robbins, non protagonista. Non protagonista?


4 commenti:

  1. A R E A __ C O M U N I C A Z I O N E__ R E D A T T O R I __B L O G
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    Le risposte a questo primo commento sono riservate allo staff. I nostri lettori possono commentare seguendo le consuete modalità.
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    Redazione: Dante Venezia on line guasi mai

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  2. Vedo che sebbene tu abbia ridotto moltissimo i tuoi interventi quando ti fai sentire lo fai con la stessa verve di sempre. Il duo armonica e piano è perfetto. Io purtroppo ho smesso di provare.
    Troppi pensieri, troppe decisioni, troppe amarezze. Spero che facciate una cartella audio con tutti i vostri migliori brani e, affidandomi al ricordo, saranno almeno un centinaio se non di più.
    Un abbraccio da Giacomo e Anna

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  3. Insomma con questo dichiararsi sempre più bravi non riscuotono grandi simpatie ma hanno il pregio di avere tra loro persone come Holly, Dani e Bobby e di annoverare tra le loro ricchezze alcune città tra le più belle del mondo. Per congiuntivi e condizionali mi pare di essermi già espresso sul punto dolente. Probabilmente la consuetudine ad esprimersi in dialetto e attraverso paratattiche depaupera anche la conoscenza scolastica che sicuramente a Zaia non dovrebbe difettare. Mi sorge tuttavia un dubbio avendo avuto una zia acquisita, nativa di Jesolo e residente a Portogruaro, anche nel dialetto esiste il gavaria (avrei) e gavessi (avessi) dalla zia storpiato in un geniale gavaressi ed etichettabile come conduttivo o congiunzionale alla veneta.
    bellissimo il pezzo del mitico duo. In merito all' archivio mi associo alla richiesta di Giacomo.
    Buona Serata
    Giovanni Martinelli

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  4. Porka miseria, questo sì che è un bel post! 😃😆

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