A Dantino è capitato spesso d'esser soggetto a innamoramenti platonici nei confronti di donne delo spettacolo. Scrisse parecchio tempo indietro della cotta che pigliò per Dietelinde Gruber meglio nota come Lilli. Allora stava a Roma e gli garbava come strapazzava i fogli e girava la testa di scatto, al barre al terzo bicchiere di rosso ci strizzava l' occhio e diceva che sognava di strappagli le mutande colo stesso impeto. Poi gli passò. Come gli passan tutte le passioni, sostituite da una nova. Ar momento sta facendo na bicicletta cor manubrio d' una moto Suzuki ma ha poco tempo pe scrive e mandacci le foto. Ecco allora che vi racconto come una torbida passione senile stia sconvorgendo la vita der Ciampino.
So tanti mesi che un si sentano co Costanza e in cuor mio spero che si sia decisa a mandallo n culo. Comunque ora che la vecchiaia fa capolino e luilì come anche Dante er mi babbo un si vogliano arrende all' aiuti celesti dela bayerre ni tocca gestissi quer gocciolino d' erosse che n'è rimasto. Dante deve fa conti co Holly che lo tiene a catena e se s'allarga troppo ni monda li stinchi a pedate. Ma r Ciampino è sempre solo qui al barre e pole convoglià que rimasugli di testosterone indove gli pare. Come saprete, perché detto e ridetto, unnè un tipo facile e, sebbene le donne un gli sian mai dispiaciute, pe trovanne una che che un lo smonti, una che un lo stomachi, una soprattuttto che lo regga è n casino ma quando c'è leilì in televisione mi confessa che gli piglia un rimescolio che gl' infoca l' anima e la pelle e allora noi ci si piscia a ddosso dale risate a vedello mente brucia d' una passione ncontenibile
Leilì a lui gli pare la manifestazione terrena d' un diavolo rosso del quale lei è solo l' involucro cor quale Satana si mostra al mondo. Poco importa che, stando a quanto scrive Andrea Scanzi, che non la sopporta, la bella Claudia sia passata dal carro dell' Unità a quello di D'alema a quello di Renzi. Sempre carri rosso foco erano...o guasi. Ammirate la su veemenza oratoria! Non ci sono dati che tengano per lei, non ci sono evidenze che i compartecipanti ai dibattiti cui viene invitata gli ostentino come prova provata. E io penzo d'avello capito perché: Lei dov'essa na donna che ha vissuto du vorte
come Claudia, ora e come moglie di Carlo Marxe, un tempo. Solo così si spiega la fede inossidabile e il fatto che lei veda quello che nessuno vede e possa crede in ciò che la ragione vieta di crede. Davanti a lei e ar su collo tirato, cole vene di fori, davanti al viso arrossato che alterna le vampe del climaterio a quelle del fervore politico, mentre bèrcia contapponendosi a Belpietro, Dino viene colto da un raptusse peggio di quello che piglia a Balena quando vede l tonno col sorcio. "La sogno che che mi si spoglia coll' internazionale di sottofondo sonata da me ar pianoforte, tutta gnuda co na falce tatuata sula topa e un martello sul culo. Che spettacolo quando mi si draia sula coda der piano!" mi dice mentre manda giù r ponce che ormai s'addice al clima raffrescato di fine settembre.
Lo si perdoni, è solo il sogno o meglio il delirio senile d' un innamorato platonico. E se per un raro caso a leilì gli capitasse di leggemi un se la pigli ammale signora, nele parole di quest' omo solo e arcolizzato niente vole essere offensivo soprattutto ne su confronti. In questo mondo ormai privo d' omini veri che ancora ni garbi la topa, magari anche pelosa, la su voce è testimonianza d'una passione che luilì trova la forza di dichiarare solo al barre davanti a diversi ponci perché da sempre ( e tutti quelli che lo conoscano ne possan dare atto) una cosa lo sostiene ne su sogni impossibili
quello d' esse timido ma d avé na faccia come r culo
Zanza
Il filme ce l'ha chiesto Eliana.
Quanta roba su questo film, roba peraltro ben fatta, ben scritta e illuminante. La incolliamo così com'è rimandandovi al bel sito che l' ha pubblicata
“La donna che visse due volte” e la critica
Non possiamo abbandonare il ricordo di La donna che visse due volte - presentato in queste settimane in tutta Italia per il progetto Cinema Ritrovato al cinema - senza aver (ri)letto un po' dell'accoglienza critica del film, notoriamente uno dei più discussi di Hitchcock. Ecco una ricca antologia.
Pare che l'esoterismo di Vertigo abbia scoraggiato l'America. In compenso la critica francese sembra fargli un'accoglienza delle più calorose. Ecco Hitchcock messo dai nostri colleghi nel posto in cui noi l'avevamo da sempre collocato. Ed eccoci, nello stesso tempo, privati del delizioso compito di provvedere alla sua difesa. [...]
Vertigo mi appare come il terzo elemento di un trittico i cui primi due erano costituiti da Finestra sul cortile e L'uomo che sapeva troppo. Questi tre film sono dei film di architettura. Prima di tutto per l'abbondanza che incontriamo, in tutti e tre, di motivi architettonici, nel senso proprio del termine. In Vertigo tutta la prima mezz'ora è anzi una sorta di documentario sull'arredo urbano di San Francisco. Il motivo di fondo ci è dato da un certo numero di abitazioni stile '900 sulle quali l'obiettivo della macchina da presa ama indugiare, così come in passato aveva indugiato, in Caccia al ladro, sui luoghi della Costa Azzurra. La loro ragion d'essere immediata, pratica, è che creano un senso di smarrimento nel tempo. Simbolizzano quel passato verso il quale si rivolgono tanto gli sguardi del detective quanto quelli della folle presunta.
Ritroveremo, nel corso del film, un'altra architettura, più antica, quella di un monastero spagnolo del XVIII secolo, legato, questa volta, molto direttamente, attraverso la torre che lo sormonta, al tema principale della storia, la vertigine. Ed eccoci condotti un gradino più su nell'analogia con i due film citati. In ciascuno di essi i protagonisti sono vittime di una paralisi relativa allo spostamento di un determinato elemento. In Finestra sul cortile, si tratta, per il reporter, della forzata immobilità; l'elemento è dunque lo spazio. Ne L'uomo che sapeva troppo, il medico e sua moglie, conformemente al titolo, conoscono troppo l'avvenire, ma nello stesso tempo, troppo poco: la loro paralisi è l'ignoranza, il suo campo d'esercizio non è più lo spazio, ma il tempo. Nel film qui in questione, il detective, ancora interpretato da James Stewart (che, portando il busto, lancia una strizzata d'occhio al fotografo di Finestra sul cortile) è vittima, anche lui, di una paralisi, e cioè le vertigini. L'elemento, questa volta, è costituito dal tempo, ma non più quello del presentimento, orientato verso l'avvenire. Diretto al contrario verso il passato: il tempo della reminiscenza. [...]
Naturalmente ci sono altri accostamenti da fare oltre a quello che ho suggerito con i due film interpretati da James Stewart. Mi si conceda di proporne ancora uno, questa volta con Strangers on a Train. Sappiamo quanto quel film dovesse, non solo in rigore, ma in lirismo alla presenza ossessiva di un doppio motivo geometrico, quello della retta e quello del cerchio. Qui la figura - i titoli di testa di Saul Bass ce la disegnano - è quella della spirale o, più esattamente, dell'elicoide. Retta e cerchio si congiungono attraverso l'intervento di una terza dimensione: la profondità. A dire la verità, non troveremo che due spirali materialmente rappresentate in tutto il film, quella della ciocca di capelli che scende sulla nuca di Madeleine, copia di quella di Carlotta Valdès, e non dimentichiamo che è questa che suscita il desiderio nel detective, e poi quella della scala che sale alla torre. Per il resto, l'elica sarà ideale [...]. Idee e forme seguono lo stesso percorso, ed è perché la forma è pura, bella, rigorosa, straordinariamente ricca e libera, che si può dire che i film di Hitchcock, e Vertigo in testa, hanno come oggetti - oltre a quelli con i quali riescono ad avvincere i nostri sensi - le Idee, nel senso nobile, platonico, del termine.
(Eric Rohmer, "Cahiers du cinéma", n. 93, 1959, in Il gusto della bellezza, a cura di Cristina Bragaglia, Pratiche editrice, 1991)
Questo singolare record di regia non si spiega solamente con un fenomeno di abilità meccanica. La suggestione opera e vi prende perché Hitchcock è riuscito a immergere tutto il suo racconto in un'atmosfera di vago e inespresso, a tenere i casi e i personaggi su un margine oscillante tra il possibile e l'assurdo. È un film sapiente e complesso, articolato su piani diversi, psicopatia, intrigo, sentimento, spiritismo, passione, delitto, superbamente inquadrato nel paesaggio di San Francisco, che con i suoi boschi millenari e solenni come cattedrali, con i suoi panorami d'azzurro e d'oro, con lo stesso saliscendi delle sue strade, fatte a montagne russe, diventa la cornice ideale per una vicenda piena di meandri, di esaltazione e di mistero.
(Filippo Sacchi, "Epoca", 25 gennaio 1959)
Hitchcock è ritornato a un tema assai più congeniale alla sua comprovatissima vocazione per l'assurdo ingegnoso, per il brivido artificiale sapientemente organizzato e centellinato con il dispiego compiaciuto di una funambolesca bravura tecnica. Si può anzi dire che La donna che visse due volte ha tutti i caratteri di una 'mostra personale', di un riepilogo condensato dei temi, dei trucchi, delle manie, dei virtuosismi e dei vizi del regista inglese. [...] I dubbi con cui Hitchcock solletica lo spettatore (può una donna morire e rinascere due volte, la seconda a pochi mesi di distanza dal suo spettacolare suicidio? e si tratta poi della stessa persona?) sono essenziali ai fini del suspense [...]. Quel che importa ad Hitchcock non sono i fatti, né i sentimenti, né i problemi reali: egli mira soltanto allo spettacolo, non naturalmente nell'accezione demilliana del termine, bensì - secondo il suo stile - intendendolo come creazione di un'atmosfera intensamente suggestiva in cui l'impossibile assuma sembianza di realtà e dove si addensi l'ombra incombente del dubbio e del sospetto, dell'angoscia, della follia e della morte, quasi ad altalenare lo spettatore sull'orlo di un abisso (e Vertigine in questo senso è un titolo programmatico), salvo poi a ritrarlo con la puntuale tempestività dei risvolti umoristici o della beffarda e banale spiegazione che annuncia la fine dello scherzo.
Su questo piano - dai limiti ben precisi - Hitchcock è imbattibile. Tutto gli serve come ingrediente, a cominciare dalla psicanalisi di cui anche questo film è largamente intriso. Si veda poi l'impiego del paesaggio arioso e solare in funzione contrappuntistica alla cupa vicenda (che il bianco e nero avrebbe reso insieme più tetra e più realistica; e meno divertente); e si noti appunto lo stupendo uso del colore che concorre sempre a determinare un'atmosfera, a fissare emozioni e stati d'animo (per tacere della sequenza del sogno, basti ricordare lo straordinario risalto dell'abito verde di Kim Novak sullo sfondo rosso sangue del night-club che invade tutto l'ambiente in misura ossessiva). Ma quante altre cose sarebbero da citare: il cimitero, il museo, il fascino degli elementi architettonici che rammentano continuamente le lontane origini spagnolesche di San Francisco in un'intenzionale allusione allo scambio fra passato e presente, al dissolversi di ogni dato reale in un angoscioso relativismo.
(Giulio Cattivelli, "Cinema Nuovo", n. 137, gennaio-febbraio 1959)
I due protagonisti del film sono posseduti da complessi ossessivi: l'uomo è malato di acrofobia, cioè teme le altezze e non può nemmeno salire su una sedia, e la donna è dominata, sino a tramutarsi in automa, dal criminale che fu suo primo amante. La psicanalisi, come sempre in Hitchcock, si fa la parte del leone, in questa pellicola, che ha due o tre elementi cattivanti: l'interpretazione ottima di James Stewart e di Kim Novak, dagli accentuati lineamenti slavi; la sapiente dosatura degli effetti di ansia cupa e tormentosa; e la bellezza dei paesaggi nella baia californiana dominata dalle vecchie architetture iberiche. Non c'è nulla di credibile, in tutto ciò che accade; l'angoscia artificiosa, ma pur sempre angoscia, è il frutto di un astuto e quasi divertito gioco di inganni; Hitchcock imbroglia, ma quale accorto prestigiatore e quanti piccioni nel suo cappello a cilindro.
(Arturo Lanocita, "Corriere della Sera", 25 dicembre 1958)
Madeleine dice a Scottie: "Non si dovrebbe vivere soli... è sbagliato". Ma Judy vive da sola. Più tardi Madeleine sul mare comunica al poliziotto i frammenti della sua memoria smarrita: "Una stanza... siedo là da sola... sempre sola". È la stanza del McKittrick Hotel o la stanza dell'Empire?
C'è un momento in cui scorgiamo Madeleine senza che Scottie possa vederla. Lei lo guarda dall'interno della sua auto, mentre lui va a chiudere la porta del suo appartamento, prima che si dirigano alla foresta delle sequoie. La donna l'osserva teneramente, tristemente come attratta dalla sua persona. Sta davvero recitando?
Quando Ferguson tra gli alberi cerca di farsi dire da lei perché si è gettata nella baia, essa sembra presa dalla paura e ripete "Per favore non chiedermi, per favore non fare domande". Di nuovo, è Judy che sta fingendo di essere una donna sull'orlo di una crisi di nervi? Oppure è Judy innamorata e terrorizzata dalla situazione in cui si trova?
E che dire della paura della morte? Quando Madeleine afferma: "Non voglio morire - c'è qualcuno in me che vuole che io muoia", ella potrebbe parlare non solo per Judy, ma per tutti noi. Ella non è soltanto Judy che simula di essere Madeleine posseduta da Carlotta. Quando pensiamo all'ultimo terzo del film, Judy non è una ragazza capace di essere esplicita e forse consapevole di tali paure: non ne ha l'intelligenza, la consapevolezza critica o (malgrado la sua capacità di soffrire) la profondità. Judy può liberarsi delle sue paure solo se è Madeleine.
In un certo senso è Madeleine a essere più reale delle due donne; dal momento che in lei trovano espressione tutti quei tipi di potenzialità che in Judy sono completamente nascosti. Tutto doveva far pensare che fosse Carlotta a possedere Madeleine, ma in realtà Madeleine ha preso possesso di Judy.
(Robin Wood, Hitchcock's Films, Zimmer-Barnes, 1965)
Come Poe, Hitchcock assume un approccio semiscientifico alla sua opera; come Poe, la sua specialità è l'orrore e l'irrazionale; come Poe, è un esteta che si rivolge a un pubblico popolare di massa. In effetti, tutte le qualità hitchcockiane fin qui elencate possono spiegarsi nei termini della posizione mediana del regista fra Ottocento e Novecento, una posizione che rivela determinati collegamenti fra Europa e America, Poe e Hollywood, estetismo e modernismo. Si potrebbe esprimere quanto appena detto anche così: l'opera di Hitchcock tende a indicarci le sue radici nel surrealismo dei primi romantici e nei primi film di Griffith, anche quando ci rivela il versante oscuro dell'arte novecentesca. In conclusione, perciò, si potrebbe affermare che Hitchcock è centrale alla storia complessiva del noir, o a quella che in epoca vittoriana si chiamava 'letteratura di sensazione'. Da un punto di vista strettamente generico egli appare invece in qualche modo tangenziale se lo consideri in rapporto agli esempi hollywoodiani del film noir dei decenni 1940 e 1950.
(James Naremore, Hitchcock at Margins of Noir, in Alfred Hitchcock. Centenary Essays, a cura di Richard Allen e Sam Ishii-Gonzales, British Film Institute, 1999)
Molte definizioni sono riduttive e vaghe: quella di Hitchcock quale 'mago del brivido' suona indecente. Basterebbe La donna che visse due volte a spiazzarci... Intanto ha un ritmo solenne, come mai è accaduto in un thriller. La scansione delle inquadrature, i tempi del montaggio obbediscono non alle azioni ma ai segreti dei personaggi; la cosiddetta suspense si sviluppa negando l'effetto- sorpresa. E il film, mentre svela a tre quarti dalla fine la chiave della vicenda, ci dice che a Hitchcock interessa qualcos'altro. Dopo averci catturati con una trama inverosimile, il maestro si rifiuta di portarla fino in fondo secondo i canoni, e ci costringe a seguirlo nel labirinto di un'ossessione personale. [...] Allora sappiamo che Vertigo non è solo un film di morti. È anche - o soltanto - un film di vivi che non possono amare. E ci fa venire davvero i sudori freddi (sueurs froids, come da titolo francese). Ma non perché c'è una porta che scricchiola o una mano che agita un coltello. Perché ci insinua un sospetto: forse il solo amore eterno di cui siamo capaci è quello per chi non ci appartiene più. L'amore che non muore è l'amore per un fantasma.
(Gianni Amelio, Il vizio del cinema, Einaudi, 2004)
A R E A __ C O M U N I C A Z I O N E__ R E D A T T O R I __B L O G
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Redazione: Zanza Livorno on line dalle ore 19:00 alle 01:00
Esilarante questo pezzo della giovane Zanzara. Dubito che il Ciampi abbia rvelato tali inquietudini ma immaginiamo per un attimo che la novella sia realtà.
RispondiEliminaPurtroppo Claudia non leggerà, è troppo impegnata ma ci piace sognare e immaginiamo allora che lo venga a sapere a parer mio potrebbe sentirsi assai lusingata e se lo sentisse suonare il piano potrebbe anche lei esser preda di un raptus. Solo di una cosa vi prego se il sogno divenisse realtà e per una follia del destino si incontrassero e si amassero, Vi scongiuro risparmiateci i commenti di lei nel blog, non ce la farei!
Auguri al Ciampi
Giovanni Martinelli
Ah Ah Ah. Apro il post e quasi mi prende un colpo. La Fusani!!! Ma lo sapete che io la conosco piuttosto bene? Non voglio dire che prendiamo il caffè insieme ma abbiamo frequentazioni comuni. L' unica che riferisco qui è quella del tennis perché se dicessi che andiamo dallo stesso parrucchiere e lei lo venisse a sapere farei perdere al mio ottimo coiffeur una cliente preziosa. Comunque mi capita di incrociarla abbastanza spesso e le faccio sempre un cenno di saluto che lei cortesemente ricambia perché è donna socievole e di buone maniere. Ma non credo sia questo che interessa a chi è preso da erotica passione e allora diamoci dentro a farlo rosolare il buon Dino. Claudia, che si avvicina alla sessantina, dal vivo è molto più attraente che in tv e Vale sostiene che io da vecchia le assomiglierò molto, credetemi lo prendo come un gran complimento. Sono più alta e ho gambe più lunge ma lei ha cosce sode e un sedere sodo come una ventenne. Merito probabilmente del tennis che pratica con assiduità e grande spirito agonistico. Ha un volto piacente e begli occhi, forse il seno non è da maggiorata ma su quel fisico sta bene il suo. Insomma per un latin lover 66enne??? (mi pare sia coetaneo di Dante) Claudia è t..mbabilissima, tra l' altro al momento mi risulta single.
RispondiEliminaHo mandato un po' a farsi benedire la privacy ma son certa che Dino le piacerebbe, a patto di esser abili a farle credere che lo ha scoperto lei, lo ha scelto lei, lo seduce lei.
Auguroni
Patty
Ohioina rientro in casa ora e bada che ti leggo! Mi pare buffo che Dino confessi di vesti turbamenti in ogni caso bongusto l' ha sempre avuto e se gli piacesse la Fusani un ci troverei niente di male è na discreta topa. Io un la sopporterei ma lui che è abituato a coiti cor guanciale sur viso e l' auricolare nell' orecchi ce la potrebbe anche fa. Poi in fondo è toscana, è comunista (co beneficio d' inventario ma dirrei di sì) er Ciampino prencipia ad avé bisogno d' una badante. Patty metteci na patola bona e ci si leva da coglioni anche Dino.
RispondiEliminaBona notte a tutti io vo a letto co gatti
Dante
Ad essere sincero non è il mio tipo e mi indispone un po'. Potete reperire la rapina perfetta? magari mi viene un' ispirazione per risolvere i miei guai
RispondiEliminaSaluti
Giacomo
Scusate metto una doverosa aggiunta: i miei complimenti a Zanza per questo post degno del miglior Vernacoliere
RispondiEliminaGiacomo