lunedì 14 settembre 2020

fatevi i gatti vostri 1604 "il ritorno del Corsaro Rosso"

Accadde, qualche settimana fa che un film che avevamo nel listone non fosse acquisibile. Varie e complicate farraggini ne impedivano il trasferimento alla cineteca e lanciammo un SOS. Rispose cortesemente e celermente un lettore del quale non conoscevamo l' esistenza, ci fornì ilf ilm dalla sua videoteca personale e si commiatò firmandosi il Corsaro Rosso.



La storia si è ripetuta ieri quasi con identica dinamica, avevamo dichiarato, piuttosto accorati, che la "storia della principessa splendente", sebbene listata e presente nei titoli a nostra disposizione, non ne voleva sapere di funzionare. 

Ieri sera ci è arrivata una nuova mail esplicativa del Corsaro Rosso ed oggi siamo in grado di contentare Murasaki e quanti aspettassero il pregevole cartone animato.

Ringraziamo il Corsaro e lo invitiamo, se dovesse fargli piacere, a prender parte attiva al nostro blog, commentando qualcosa o avanzando richieste di materiale che gli possa interessare.

Buona Giornata al Corsaro e ai nostri lettori

Dani


ecco varie recensioni presentate da my movies. Il film sarà disponibile per la visione a partire dalle ore 15:00 di oggi

UN'ANTICA FIABA DEL FOLKLORE GIAPPONESE NELL'INCANTEVOLE E STRUGGENTE TRASPOSIZIONE DEL MAESTRO TAKAHATA.

Recensione di Emanuele Sacchi
sabato 24 maggio 2014

Un giorno Okina, un tagliatore di bambù, si trova di fronte a un evento inspiegabile: in un germoglio di bambù trova una minuscola creatura luminosa che ha le sembianze di una principessa. Decide di portarla a casa e questa si trasforma in una neonata, che l'uomo e la moglie decidono di crescere come una figlia. Dopo qualche tempo l'uomo torna nella foresta e trova un'altra sorpresa: da un bambù esce dell'oro e Okina lo interpreta come un segno divino, una richiesta di fare della bambina una principessa.
Dopo oltre dieci anni di silenzio, un budget sempre più cospicuo e una lavorazione complessa, Takahata Isao abbandona il taglio neorealista che lo ha reso celebre per portare a termine la sua interpretazione di una delle più antiche fiabe giapponesi, "Taketori monogatari", risalente al X secolo. Riprendendo a quasi ottant'anni una sua intuizione, che non si tradusse in film per la Toei 55 anni prima, Takahata sceglie la via più personale nella rielaborazione della storia della principessa splendente, dimentico dei precedenti (come la versione di Ichikawa Kon del 1987). Omettendo il prologo e concentrandosi sull'epilogo, Takahata compie la scelta più audace: non è importante sapere perché Kaguya è stata esiliata sulla Terra, è importante comprenderla attraverso il rapporto di amore e odio che si instaura tra lei e il mondo degli uomini. Nel corpo luminoso e dalla crescita rapida e stupefacente di Kaguya vive l'anima di una ragazzina che sembra concentrare su di sé lo spirito delle migliori produzioni Ghibli. Spensierata e amante della natura e delle cose semplici, nonostante la sua indubbia capacità di indossare vesti nobiliari, Kaguya è un personaggio dalle mille sfaccettature, capace di aderire a un codice comportamentale pur di non deludere il padre - ambizioso ma non avido, personaggio in parte negativo ma che mai viene giudicato, in perfetto stile Ghibli - ma desiderosa di rivivere, anche solo per un attimo, quell'infanzia così effimera. In Kaguya rivivono il trauma della crescita, il trauma del trasloco (come ne La città incantata di Miyazaki), l'ingresso nella comunità degli uomini pur proveniendo da un altro mondo (Ponyo sulla scogliera): potenzialmente il manifesto definitivo del Ghibli-pensiero, benché lontanissimo in termini realizzativi.
Nella tecnica di animazione sta infatti il maggiore segno di discontinuità dell'opera rispetto alla tradizione Ghibli. I contorni paiono tratteggiati con un carboncino, i colori servendosi di acquerelli, portando a un risultato in apparenza primitivo, ma capace di trasmettere con forza maggiore di qualunque ricorso alla computer graphics la sensazione di atemporalità della storia di Kaguya. E di aderire totalmente all'incontrollabile turbinio dei suoi pensieri, come nella sequenza principe in cui Kaguya sogna di tornare a casa e la sua figura si trasforma quasi in una macchia indistinta, in puro dinamismo alla Boccioni, che rifugge ogni rappresentazione di verosimiglianza per esprimere l'impeto del sentimento. E mai si sono visti neonati ritratti con altrettanta grazia e cura amorevole per ogni loro singolo movimento o smorfia. Le musiche dell'ineffabile Hisaishi Joe intensificano la componente melò di un'opera tanto complessa sul lato interpretativo quanto è lineare su quello contenutistico e stilistico. Uno scrigno di emozioni e di riflessioni etiche che, se dovesse rappresentare il capitolo finale delle produzioni Ghibli, sarebbe epilogo degno di un'epopea immortale.
Totalmente non condivisibile la scelta del doppiaggio di rimuovere il nome della principessa, Kaguya (in giapponese "notte splendente" e quindi essenziale per la comprensione della trama), compiuta al solo scopo di evitare qualche risolino di adolescente. 

TAKAHATA ELEVA LA FAVOLA AD ARTE CON UN TRATTO MINIMALISTA E UNA CONCEZIONE PITTORICA DEI MOVIMENTI.
Recensione di Gabriele Niola

Da un bambù nasce Kaguya, un piccolo essere che si presenta come già adulta ma in scala ridotta, tale da entrare nelle mani del contadino che la trova, già tutta vestita in abiti principeschi. Dopo averla mostrata alla moglie la principessa muta forma e si trasforma in un neonato, da quel punto come un bambù comincerà a crescere molto in fretta fino a raggiungere la maggiore età, momento nel quale la sua bellezza la farà notare a palazzo e si dovrà spostare in città. Ricevute le visite di diversi spasimanti che le promettono millantate fortune di cui lei chiede conto, li rifiuterà tutti andando incontro ad un triste futuro.
L'ultimo film di Isaho Takahata è una favola tradizionale nipponica e in questo senso ha una narrazione non sempre semplice da seguire per un pubblico occidentale, poco abituato a questo tipo di racconti, di svolte e di morali. Tuttavia, nonostante l'obiettiva lontananza del testo, l'animazione di questo cartone lavora ad un livello leggerissimo, su standard d'altri tempi (tutto disegnato a mano per sembrare disegnato a mano, con pochissimi tratti, senza cercare la precisione ma l'istinto in contrapposizione alla storia stilica del Ghibli) ispirandosi più ai dipinti giapponesi che al disegno moderno. C'è in ogni tratto di questa storia una forza cinetica mostruosa, si può aver delle difficoltà con ampie porzioni del film ma la maniera nella quale la principessa nasce, cresce e si evolve o il sottile umorismo che Takahata estrae da un disegno ridotto ai minimi termini sono coriacei. A ciò si unisce la tradizionale capacità dello Studio Ghibli (inteso come casa di produzione) di realizzare prodotti ad uno standard artistico superiore a qualsiasi media.
In quest'ultimo lavoro dell'autore quasi 80enne il rapporto tra stasi e movimento giunge ad una nuova sintesi. Se Miyazaki è sempre stato il re della velocità, questa volta Takahata percorrendo la strada del tratto sporco ed essenziale trova una maniera pittorica e stilizzata di rendere il movimento (ma solo in alcune sequenze determinanti) che flirta con l'arte concettuale e solleva la materia apparentemente bassa (la favola) nel reame del cinema migliore.
Tutta l'animazione giapponese (specie quella seriale per la televisione) si regge sul contrasto tra immobilismo e velocità, tanto nel disegno quanto nel raccontare ("rimando" e "attesa" sono fondamentali in quello storytelling), stavolta i concetti diventano pratica dal cui contrasto si genera un fascino unico. Scegliere la soluzione visiva di un disegno d'altri tempi può sembrare (e forse anche è) una scelta commerciale intrigante, farne un ventaglio di possibilità artistiche come ha fatto Takahata è un passo avanti da maestro.
Quel che purtroppo però manca al film è la totale fusione con una storia che inizia al meglio ma poi arranca molto nel suo proseguio. Le peripezie della principessa sono raccontate con un andamento poco costante nella tensione e nella fluidità, facilmente se ne perde filo e nella (clamorosa) chiusa si ha l'impressione che con una narrazione un filo più canonica (per gli standard occidentali) l'impatto sarebbe stato maggiore.

Su MYmovies il Dizionario completo dei film di Laura, Luisa e Morando Morandini

Il tagliatore di bambù Okina trova in un germoglio una minuscola creatura luminosa. La porta a casa e questa si trasforma in una neonata, che l'uomo e la moglie decidono di crescere come una figlia. La piccola cresce molto in fretta e si adatta bene alla vita in campagna, ma quando Okina trova l'oro in altri germogli, comprende le origini soprannaturali della bimba e il suo destino di principessa. Cresciuta e portata a palazzo per regnare, la principessa non è felice, rifiuta pretendenti d'ogni rango, scopre di essere arrivata dalla Luna e che là dovrà tornare. Con un budget piuttosto alto, Takahata porta sullo schermo una delle più antiche fiabe giapponesi, Taketori monogatari , che risale al X secolo: una delicatezza commovente, un misto di tocchi al carboncino e acquerello di immenso fascino, animazione di grande semplicità e insieme estrema raffinatezza e sguardo acuto. Le musiche di Hisaishi Joe danno un importante contributo all'atmosfera. Lucky Red distribuisce.





3 commenti:

  1. A R E A __ C O M U N I C A Z I O N E__ R E D A T T O R I __B L O G
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    Redazione: Dani Livorno on line dalle ore 19:00 alle 20:00

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  2. E allora onore e gloria al Conte Rolando di Ventimiglia o di Roccabruna e Valpenta? Mi sa che la memoria incominci a tradirmi.
    Chiederei un altro titolo dalla ricca lista proposta: La seconda moglie che so ambientato nella maremma livornese.
    Grazie

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  3. È sempre un vero piacere essere soccorsa da un eroe di Salgari! Ringrazio di tutto cuore il ptode corsaro e gli serberò eterna riconoscenza ❤️🗡⛵️⚓️ (purtroppo il galeone tra le emoticon non c'è 😢)

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