martedì 27 aprile 2021

fatevi igatti vostri n 1822 "discalculia cronologica"

Ora magari quarcheduno che si interessa di studi sule sindromi che affliggano chi un riesce a fa i conti leggerà i primi du righi e mi manderà affanculo dicendo fra sé "boiadé quanta merda si trova in rete! Io cercavo roba scentifica e trovo le seghe mentali di questo bischero che un sa nemmeno scrive n italiano".

Il mi problema sull' errato calcolo der tempo m'è tornato prepotentemente ala mente in questi giorni ma ve lo ntroduco andando a ritroso ner tempo cor una sorta di raccontino, una maniera d'intrattenimento che mi sembra sia gradita a bona parte di quelli di voi che hanno la benevolenza di stammi a legge.

Il mi babbo pigliò  una  decente gratifica per quer Natale del 61 e portò a casa un giradischi Lesa verde e avorio fatto a valigia che conservo ancora (funzionante ovviamente!)




co du dischi a quarantacinque giri da ascortà che glieli avevano dati in omaggio nzieme a quer grammofano.  In uno c'era ner blu dipinto di blu di Modugno. In quell' altro na ragaza cola testa ramata cantava flamenko rock.

Dino viveva già con noi e quando sentì questo secondo vinile, pur essendo piccino come me sporverò la su più arta talentuosità musicale ed esclamò:

"Boia dé che caata sta roba! Però leilì sa cantà".



Era Milva che, da li in poi noi. noialtri si considerò sempre antica come si consideravano antichi Claudio Villa, Modugno, Rascel, Dorelli. Ad esse sinceri quando si prencipiò ad avé una dozzina d'anni a noi ci sembravano antichi anche Gianni Morandi, Bobby Solo Little toni e Celentano, I complessi italiano tipo L' Equippe, I dikke dikke  e poi anche i Pooh s'ascortavano e si prencipiava a rifà quarche canzone di lorolì ma un c'incantavano troppo. Dino sostenevava che facevan tutti la stessa roba e se vocarmente potevano èsse nteressanti, musicalmente mettavan ttutti le stesse 4 note n croce e aspettavano che n croce ci morissero quelle 4 note. Ci garbavano parecchio i Beatles e i Rollin Ston e poi più ancora Dilanne e Nilliianghe. 

Milva la risentii tanti anni dopo a Firenze mi pare all' 'Andrea del Sarto ma mi potrei sbaglià co la Flogghe ar Poggetto. Era doventata na cantante dall' impegno politico notevole e quell' impegno mi piacque, le musiche meno ma quello che contava per me, a quell' epoca, erano l' idee. 

Comunque se devo esse sincero la sentivo grande, tanto più grande di me e non parlo musicalmente. A esse più grande di me n musica  ci vole meno di  niente, la sentivo più grande d'età. 

Quarche anno fa ni dettero il premio ala carriera a Sanremo e io dissi ar Ciampi "Boia hanno fatto bene era da quando s' aveva sei anni che cantava" e lui pe une sforzassi troppo rispose "Eh già!" . 

L'altro giorno la televisione ha dato l' annuncio che era morta ma quando hanno detto che aveva 81 anni mi so fermato a penzà. 14 anni soli in più di me. O come aveva fatto a sembrammi così lontana da me per tutta la vita. 

14 anni cosa sono?  

Un abbaio di cane! No sputo che appena ti sorte di bocca è digià ricascato in terra.

La vita der povero Esserino che mi sembrava fosse ancora un cucciolo quando ci ha lasciati.  

Quindi fra un po' ci siamo anche io e Dino. Pe la prima volta mi so sentito vicino, vicinissimo a Milva e mi dispiace che io abbia dovuto aspettà che andasse di là per capillo.


Quando mi vengano sti pensieri mi resulta difficile penzà ai filmi e allora voglio mette quello che ha preso l' oscare l' altra notte: Nomadland cola speranza che garbi a quarcheduno

Bon Martedì

Dante

Qui di seguito trovate tutti i sigilli de premi che sto firme ha conquistato, se tanto mi da tanto dovrebbe èsse un pezzo da collezione e poi c'è di mezzo un furgone camper e la cosa mi move l' animo, ora che ir mio ha passato la revisione voglio prencipià a riportallo in giro e non ad adoprallo solo come mio uffico rifugio.




















UN CINEMA SENZA PAURA 
CHE RACCONTA UNA 
NAZIONE NEL RITRATTO 
DI UN'ANIMA IN PERPETUO
MOVIMENTO.
Recensione di Paola Casella
sabato 12 settembre 2020

Empire, stato del Nevada. Nel 1988 la fabbrica presso cui Fern e suo marito Bo hanno lavorato tutta la vita ha chiuso i battenti, lasciando i dipendenti letteralmente per strada. Anche Bo se ne è andato, dopo una lunga malattia, e ora il mondo di Fern si divide fra un garage in cui sono rinchiuse tutte le cose del marito e un van che la donna ha riempito di tutto ciò che ha ancora per lei un significato materico. Vive di lavoretti saltuari poiché non ha diritto ai sussidi statali e non ha l'età per riciclarsi in un Paese in crisi, e si sposta di posteggio in posteggio, cercando di tenere insieme il puzzle scomposto della propria vita.

Chloé Zhao, cinese di nascita, racconta ancora una volta l'America che ama: quella dei grandi spazi, di cui filma i limiti tanto quanto l'assenza di confini, e della solidarietà fra coloro che si ritrovano ai margini, in questo caso a causa di un welfare e di un sistema sanitario inesistenti.

Fern non è nomade per scelta, ma entra a far parte di quella Nomadland del titolo che sono diventati gli Stati Uniti a cominciare dalla fine degli anni Ottanta, generando un vagabondaggio speculare e contrario allo spirito di frontiera degli inizi, ma che in qualche modo ne contiene ancora il respiro.

Nomadland, basato sull'omonimo racconto di inchiesta di Jessica Bruder, è il ritratto circolare e olistico di una nazione ma anche di un'identità femminile che si è definitivamente sganciata da tutto ciò che fa parte del vivere comune (occidentale): come un domicilio fisso, o una famiglia pronta a sedersi intorno al tavolo nel Giorno del Ringraziamento. Fern lavora sempre, si prende cura delle cose e delle persone che incontra, ma non può più trattenersi in un luogo o in una situazione affettiva. Conosce bene la differenza fra una dimora e una casa del cuore, e non si presta al ricatto della stanzialità, allontanando da sé ogni coinvolgimento permanente.

Zhao entra nel suo sguardo e allarga il mondo intorno a lei, un mondo che è pieno di buchi: nella roccia, nel corpo, nello stesso passato della sua protagonista, nella dignità degli esseri umani, nella coerenza di una società che va incontro al declino perché perde i suoi pezzi lungo una di quelle strade che sembrano non finire mai. E si riconferma regista, sceneggiatrice e montatrice di film che sono suoi visceralmente, e che come il van di Fern (ri)compongono tutti i pezzi della sua anima straniera.

Zhao non ha paura di affrontare di petto il tema centrale del lavoro, o meglio, la sua assenza come vortice che ingoia le esistenze di tanti, e permette a pochi di prosperare sulle sfortune altrui. Non abbassa lo sguardo, non teme la tenerezza, lo strazio, lo smarrimento esistenziale, e li restituisce intatti nella loro forza emozionale primaria. E ciò che può sembrare retorica è in realtà reiterazione poetica, ritracciamento, ripetuta conferma.

Il suo cinema è fatto per gonfiarsi dentro a chi sceglie di aprirle l'anima e lo sguardo, i suoi personaggi sopravvivono alle loro ferite senza negarne lo strazio. Zhao ne condivide i percorsi di guarigione, che non comportano necessariamente una cura, ma forniscono un balsamo da portare con noi a schermo spento, sostenuta dalla fotografia alternativamente intima e dilatata di Joshua James Richards e dall'afflato lirico di Ludovico Einaudi. E racconta quando restare e quando mettersi in cammino, quando trattenere i ricordi e quando finalmente lasciarli andare.

5 commenti:

  1. A R E A __ C O M U N I C A Z I O N E__ R E D A T T O R I __B L O G
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    MICIOSI SALUTI
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  2. Mi ha colpito molto questo post perché quello che hai scritto su Milva, a parte le considerazioni sul tempo e sulla sua percezione, diverse per me che ho passato da poco i 50, è quasi a ricalco quello che ho provato. La presenza di Milva nel mondo della canzone l' ho sempre percepita, anzi l' ho data quasi per scontata ma non credo di ricordare una sua sola canzone sebbene la mia mamma la adorasse. Hai scritto cose belle su di lei che testimoniano affetto e appartenenza a chi ha lasciato una impronta in questo paese, poco importa se le sue espressioni artistiche siano state tra le nostre favorite o meno.
    Il film dalle premesse dovrebbe essere qualcosa di buono.
    grazie
    Giacomo

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  3. Grazie per questo ricordo di Maria Ilva Biolcati ferrarese (come me) ma nata sul mare a Goro dove l' Emilia Romagna è divisa dal Veneto dal Po ma dove ancora si respira l' aria del Polesine.
    Sono troppo giovane per aver assistito agli anni d'oro di Milva, me li raccontava la mamma. Comunque Milva è a tutt'oggi l artista italiana con il maggior numero di album realizzati in assoluto: ben 173 tra album in studio, album live e raccolte, di cui 39 per il solo mercato italiano e 126 singoli. Notevolissima la sua carriera in teatro e la fede politica rossa, come lei.
    Eliana

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  4. Quoto il Ciampi. Per me le sue canzoni erano inascoltabili ma la voce bellissima e fu così, per me, dai miei 11 fin ben oltre i 20 anni. Poi di Milva mi arrivarono le voci dei successi, dell' impegno in teatro e ne seguii una piccola parte della carriera con attenzione ma senza fervore. Ha avuto moltissimi riconoscimenti, non solo in Italia ma forse non ha riscosso tutto il consenso che avrebbe meritato. La fede politica sbandierata per tutta la vita dimezzava i suoi sostenitori. L' impegno nel teatro con Brecht e tutta la seconda fase artistica della sua vita la rendevano "difficile" per troppi altri. Per molti superficiali, invece, rimase quella del Tango Italiano. Superficiali appunto ma in gran numero. Il richiamo ai fattori temporali, colto da Dante con la consueta acutezza, lascia anche me perplesso tanto più che da Milva mi separavano solo 9 anni.
    Nutrivo molte aspettative per questo Normadland in buona percentuale sono state soddisfatte.
    Grazie
    Giovanni Martinelli

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  5. Milva ha fatto e lasciato molto per beneficiare dell' immortalità artistica. Molto o carino il tuo ricordo sempre in forma di raccontino con foto e pezzo musicale d'epoca a corredo. Leggendo la recensione del film, che ha ricevuto un numero di premi impressionante davvero, pensavo proprio al tuo camper e alle tante cure che gli presti. Deve essere bello avere una casa viaggiante. Anche se la tieni lì da sempre l' idea di poter partire e sopravviverci dentro. Per lo meno la mia fantasia sarebbe quella.
    Baci
    Patty

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