giovedì 15 aprile 2021

fatevi i gatti vostri 1810 " Una via che si chiama Laura " racconto di Dante Davini Diversi

Lo zio Dante c'è rimasto un po' male nel leggere un mio scritto nel quale dicevo che bisognava pregarlo troppo per avere qualche suo contributo per il blog e mi ha detto: " Vedi Dani, non è che non abbia voglia di raccontare, è che le cose che mi vengano con immediatezza, senza eccessiva perdita di tempo, mi sembrano  troppo autobiografiche, un vorrei che resultassero noiose". 

Ho replicato che nessuno dei lettori aveva mai messo in evidenza qualcosa di simile e che poi le sue non erano le mere descrizioni della sue vicende vissute ma dei veri e propri racconti.  Poco importa, secondo me, che siano in prima persona dato che le cose narrate non ricalcano la stomachevole monotonia di fatti, oggetti e situazioni messi in mostra dai resoconti dei tanti comunicatori dei fatti propri o degli influencers omniresenti in rete. I suoi erano in fondo racconti di vita nei quali tutti si possono più o meno rivedere, dai quali si possono ricavare valori ormai dimenticati dai più e poi così ben arricchiti delle descrizioni di personaggi da favola. Alla fine si è fatto convincere a leggere un raccontino che io avevo trascritto tempo fa dalla sua viva voce, mentre me lo raccontava in maniera estemporanea. E' riuscito anche ad inserirlo adeguatamente nel tema odierno del post ovvero nella presentazione di un film che riprende un po' il filone di alcuni tra quelli di Woody Allen. Ne ho fatto un audio breve, poco più  di 15 minuti.   

Così potrete ascoltarlo o leggerlo, a seconda delle vostre preferenze.. Buon ascolto e buon Giovedì

Dani

Una Via che si chiama Laura (Firenze 1974)

Woody ci aveva deliziato a tempi der cineforum, dei cinema d'essay e dell' Universale, parlo di quello in via Pisana, a Firenze, dove mi ero trasferito a studiare . Oggi unè che mi garbi un granché ma allora un ne perdevo uno de su filmi! Anche perché  mi facevano ride e all' esame di Storia der Cinema m' aveva fatto piglià un ber voto con Pio Baldelli che allora teneva la cattedra di quella disciplina presso la facoltà di Scenze Politiche, in via Laura (esiste davvero potete controllà nelo stradario) una strada che m'è rimasta nel cuore pe tre motivi che potrei abbinare a tre forti molle  emotive dela mi vita: 

La  prima è la mi passione pe le arti. Ir cinema per me è arte a pienissimo diritto e credo che un ci sia bisogno di dilungammmi in prove relative a questa affermazione.

Numero Due: La disperazione e la resistenza

Era il 74. M' ero ammalato a causa d'una infezione virale ar sangue, indove l' avesi presa un ho idea. Al centro medico universitario, in via Giusti, dove per fortuna un si pagava se s'era studenti, incappai ner Prof. Citi che mi visitò mi fece fa l' analisi adeguate e poi mi disse: "hai culo bambino che hai un fisico fori der normale senno erì digià a Trespiano". 

A Trespiano magari anche  no, col cazzo che mi c' avrebbero seppellito quelli del Bar Nado ma sparso in mare da Calafuria o dal Romito dopo na bella abbrustolita al forno di Livorno quello temo sarebbe stato il mi destino senza quel po' di culo che a volte nela vita ci vole. Mi fece fare dele punture ndovenose nell' immediato e poi ne dovetti fare un par di scatole intramuscolari e siccome un avevo un centesimo per fammele fa da n' infermiera a pago e un avevo forza nele gambe pe andà a fammele a fa gratisse ala mutua, imparai a bucammi r culo da solo e difatti anche adesso quando mi toccano le punture intorno ale mi mele ci gira solo la mi mano. Siccome un ce la facevo nemmeno  ad andare alla mensa universitaria, per la quale avevo i boni già pagati 'n anticipo, andetti fino all' alimentari più vicini. Erano a metà di via dell' Agnolo e coi pochi spiccioli che avevo comprai 5 chili di farina 2 chili di pasta e un po' di pelati in iscatola e diversi bussolotti di fagioli credo na ventina. L' olio e il vino l' avevo portati da Livorno e avevo ancora 5 litri d'olio e una damigiana da 25 litri di vino. Impastavo la farina e in una padella sul gasse mi cuocevo delle specie di piadine che condivo con olio e sale. Ogni tanto mettevo al foco la pasta e i pomodori e mi facevo na pastasciutta. I fagioli li mangiavo come proteine, mezza scatola o poco più  al giorno. Piano piano ma mi ripigliavo e guardandomi nelo specchio vedevo che un po di colore nel viso m'era tornato. Nel frattempo, però, era passato un mese e c'era l' affitto da pagà. Il proprietario, il sor Corrado che faceva il barbiere a San Lorenzo m' aveva preso a benvolere e finché c'erano stai i tre mesi d'anticipo, versati all' ingresso in casa, non mi aveva sollecitato, poi aveva pazientato sull' ulteriore  mese restato scoperto durante la malattia ma ora un potevo più abbusare dela su pazienza e i soldi un l' avevo. Cor un dolore, che ancora me lo ricordo, messi in una borsa tutti i mi libri di scacchi e li portai in via Laura indove compravano e vendevano libri scolastici e non solo.


Per fortuna in quell' anni a Firenze c'era dimolta gente che giocava a scacchi e me li presero pagandomeli a un terzo del prezzo di copertina. Via via che li contavano a me girava la testa e quando ritirai i soldi prencipiai a sentimmi male. Barellai fino a via dela Colonna per usufruire per due sole fermate del bus n. 6 che almeno m' avrebbe avvicinato a casa. Invece ero così stordito che presi quello dal lato sbagliato dela strada, era semivoto e mi addormentai. Mi svegliai a Legnaia il capolinea. Ero a parecchi chilometri di distanza. Ruzzolai dentro ala casa del Popolo di Legania e bevvi un caffé corretto, poi per puro culo vidi il Peretti con in mano du scatole di bordolesi vote. Il Peretti che di nome faceva Aldo più noto come i' bottigliaio. aveva una bottega di  rigattiere in via de Macci. Raccoglieva le bottiglie usate ritirandole da barre e alberghi in giro per tutta Firenze. Poi quelle bone da vino le lavava e le sterilizzava a vapore per rivendele alle cantine vinicole, quelle non bone le spaccava in una grande fossa al centro del magazzino e periodicamente mandava quei rottami ale vetrerie di Empoli che glieli pagavano quarcosa, un tanto ar quintale.  Io avevo fatto diverse giornate di lavoro da lui specie quando c'era da caricare quei frammenti maledetti che alla sera quando ti gnudavi vedevi che t'avevan fatto decine di taglietti sanguinanti sulla groppa e sule braccia. "Oh Aldo" gli feci. 

"O Livorno, molti mi chiamavan così in grazia della mi origine, Ocché ci giri quaggiue n culo ar mondo?" mi chiese lui di rimando. 

"Mi so addormentato sul busse sbagliato Aldo E Me lo daresti un passaggio fino a bottega tua?, So stato malato a letto nfino a ieri e mi sento poco bene."

"Troppa passera rovina nche la meglio querce" chiosò Lui e mi indicò lo sportello della su ape. "Monta in carrozza si va n Santa Croce"

In viaggio coll' ape  ci si messe un bel po', a ogni buca il motocarro rimbalzava come na palla di gomma e  le bottiglie sul cassone tintinnavano, a me mi ritornava insù r caffe co na voglia di rigettà che un vi dico. Ala fine s'arrivò e per fortuna cor una dormita quella giornata dela disperazione fu archiviata, come succede quando s' hanno vent'anni.

La terza cosa che mi tiene legato al ricordo di via Laura è .... un lo so nemmeno io come definilla èquella sensazione paticolare  che ti piglia davanti a una donna, ma no a tutte eh. So casi particolarissimi quando senti che nell' aria c'è come na corrente e niente è perfettamente definito ma sai che quarcosa sta pe succede. 

Lavoravo a giornata da Peppino e Giulio, due rigattieri napoletani  che, col succitato Aldo dominavano, in via de Macci, tutto il mercato dell' usato. Ad uno avevano ritirato la patente, l' altro non l' aveva mai conseguita. Nella guida dell' ape grossa e targata colla quale si movevano io ero piuttosto destro dato che il mi zio ( diì ir vero zio dela mi mamma) arrotino a Livorno quando aveva dismesso la bicletta pel su lavoro ambulante comprò un ape simile e montata la mola sur cassone seguitò a fa r su mestiere in giro pe paesi. Ormai vecchio ci vedeva poco e allora mi portava con se perchè guidassi. La patente l'avevo pigliata a 18 anni e l' accompagnai per un annetto, poi mi trasferii a Firenze a studiare. Certo non avevo  da insegnar  nulla ai due napoletabni, abilissimi a legare montagne di mobili, spericolati nelle manovre spesso a rischio di ribaltamento temevano però di essere fermati dalla polizia e così negli orari in cui  per loro era troppo  pericoloso muoversi, affidavano a me il pittoresco mezzo di trasporto. Un giorno mi capitò di portare  un armadio colo specchio, bello, guasi antico, in via Laura. A ricevermi c'erano una coppia di sposini freschi freschi di nozze così bellini che parevano sortiti dala foto di un fotografo da cerimonia. Ho scritto bellini ma di lei avrei potuto scrive bellona.  Anzi 'na topa che un vi dico! Pe rendevi l' idea vi faccio presente solo che a Livorno una così un l' avevo mai incontrata. Bisogna faccia un chiarimento Ho scritto bella ma un lo so se in realtà fosse davvero bella bellona o bellissima, un mi ricordo presempio, cosa stranissima per me, di che colore avesse l' occhi, se fosse alta o piccina, atletica o minuta mi ricordo solo che pensai che n corpo e più segnatamente ner mezzo ci dovesse avé un trasmettitore d' onde elettromagnetiche che mi stavano investendo . Montai l' armadio riscossi e andai via augurando loro tanta felicità e bimbi belli e sani. "na fiatàta di pe ride" direbbero i fiorentini che usan questo commento quando quarcheduno ti dice quarcosa che ti porta male ma d' un male ncredibile.

Passarono forse sei o sette mesi e una mattina ner magazzino dei napoletani sonò r telefono, Peppino che stava facendo il cicisbeo co na tipa co du mele che un passavano nemeno dall' uscio mi chiese di rispondere e lo feci. 

Mi riconobbe all' accento ben diverso da quello fiorentino e con una voce leggermente rauca ma delicata mi chiese:  "Ocché l' è ' lei i' giovanotto che ci ha portato l' armadio in via Laura  un po' di mesi fa?"

"Io 'n perzona signora, come la posso aiutare?

"Guardi mi s'è rotto lo specchio e vorrei cambiarlo.

"Ci vole il vetraio" 

"Sì ma il mio non può venire a casa  e mi sta rimandando da una settimana".

"Non cè problema signora se mi passa il su marito gli dico come si smonta poi lui porta i pezzi o una sagoma di carta a bottega d un  vetraio che so io e dopo lo rimonta e torna come novo".

"Senta il mi marito, anzi il mi ex marito, non lo contiamo, mi devo arrangiare, pagandole il disturbo lo potrebbe fare lei quel lavoro di smontaggio e rimontaggio? Se fosse possibile mi comoderebbe anche oggi"

"Va bene allora vengo verso ora di pranzo. Così ale 2 e mezzo lo fo tagliare dal Gandi in Borgo la Croce. E' un vetraio bravo che  conosco e me lo fa subito e stasera quando stacco glielo riporto.

Quando andai a levare lo specchio rotto, su pelle scale mi batteva il cuore, un mi succedeva spesso ma la prima volta che l' avevo vista era successo qualcosa di strano al mi equilibrio nervoso. Mi aprì, aveva un vestitino semplice semplice ma nela testa mi girava l' idea che sotto fosse gnuda eppoi  sentivo un odore bono come d un corpo appena sortito dala doccia  e allargavo le narici peggio d' un cane da caccia o di Balena quando sente che s'apre il bussolotto il tonno.  Mentre smontavo lo specchio rotto chiesi come fosse successo e mi raccontò che, in un accesso di rabbia, aveva tirato una bottiglia di profumo nel muso al marito dopo essersi accorta che la tradiva con una comune amica e per di più da anni. Non lo aveva preso e s'era spaccato lo specchio ma lo aveva mandato via e aveva digià chiesto la separazione. Meno male che un era rimasta incinta  n que sei mesi, aggiunse, sennò l' avrebbe ammazzato.

Dissi solo: "Si vede che aveva diritto a qualcosa di meglio, signora, c'è sempre un motivo in quello che succede nela vita solo che purtroppo  le cose avvengano senza avecci la spiegazione scritta disotto come ne giornalini a fumetti". 

Rise buttando la testa indietro e io risentii quella scarica di corrente che correva su pe la schiena dall' osso sacro infino ala nuca.

Pe le scale mi dissi: "mbecille se un ci provi in questa situazione quando ci provi?" Ma qualcosa mi aveva bloccato e io sicuro che non mi mancasse la faccia tosta  quando ci voleva, sapevo anche che ero abituato ad ascoltare le sensazioni e niente mi aveva segnalato di provarci.

La sera colo specchio in ispalla avvolto in una coperta mi avviai verso via Laura. Era spesso e pesante e quando arrivai al portone lei venne giù ad aprirmi. "Portiamolo in due su per le scale, mi disse mi pare d' un peso esagerato"

"No in due si pole rompere, se uno tira e dioneguardi ci si sfila di mano è n casino. Però lei mi camini davanti tirandosi dietro questa coperta, avevo appunto portato un copriletto per salvare eventuali urti, lo strascichi pelle scale  davanti a me che se mi scivolasse in avanti trova la coperta e un si scheggia". 

Ovviamente la cosa valeva solo per uno scivolamento trattenuto perché andando giù di colpo sarebbe finito in mille pezzi egualmente ma avevo già fatto di quei trasporti e mi sentivo tranquillo. Pelo specchio mi sentivo tranquillo perché pel resto un ero tranquillo per niente.

Mentre lei andava su  tirando il copriletto a me saliva, infatti, una agitazione che un vi dico. Ora sì sentivo che una volta in casa sarebbe successo qualcosa e a distanza di guasi cinquant' anni ancora mi ricordo quel ballettìo alo stomaco che non mi mollava. S'arrivò in casa e mi diressi in camera per montare lo specchio nela cornice dell' armadio. Ancora un sapevo come avrei attaccato e per un attimo mi prese la paura di non riuscire a dirle nulla o di sembrarle uno sciacallo che cercava di approfittare di una situazione delicata o peggio ancora uno dei tanti cretini che probabilmente incontrava tutti i giorni e che si proponevano per riempirle il letto. "Dopo avello sistemato- pensai - gli chiedo da beve un goccio d'acqua mi metto a sedé e poi si vede come si sviluppa la cosa" .

Invece  mentre presentavo lo specchio ar vòto lasciato da quello rotto sentii un voce delicata e leggermente rauca ale mi spalle vicino ar collo: 

Appoggialo in terra  lo montiamo domani.


Fine

commento dell' autore

E così siamo partiti da Woody Allen pe arrivà a 'na topa di tant'anni fa e come si legano le du cose? Se leggete la presentazione capirete come il filme o meglio il su regista ricordi Woody, cosa c'entra nel contesto la topa di via Laura? C'entra c'entra "la topa è fatta apposta perché c'entri qualcosa", lo diceva Don Luigi e se lo diceva un servitore d' Iddio ci potete crede.

Dante


DA MY MOVIES

TRA RICORDO PERSONALE E 
RIFLESSIONE GENERAZIONALE, 
BAUMBACH COSTRUISCE 
UN DRAMMA FAMILIARE CHE 
DÀ IL SUO MEGLIO NEI 
PREGEVOLI DETTAGLI.
Recensione di Emanuele Sacchi
martedì 23 maggio 2017

Danny e Matthew sono figli dello stesso padre, Harold, ma di madri diverse. Le loro vite hanno seguito direzioni divergenti. Danny è un loser che ha abbandonato una carriera da musicista, è terrorizzato dal mondo ed è privo di fiducia in se stesso; Matthew è un manager di successo che ha lasciato la via indicata dal genitore, scultore il cui talento non è mai stato riconosciuto.

Con un ritmo produttivo mirabile, Noah Baumbach procede nella sua dissezione del mondo intellettuale newyorchese di matrice ebraica, con un occhio di riguardo per gli artisti o per coloro che sono convinti di esserlo.

Forse il candidato più idoneo a ereditare l'ideale scettro di Woody Allen, anche in The Meyerowitz Stories Baumbach rievoca il cinema dell'autore di Io e Annie, anche se il vero termine di paragone è il Wes Anderson de I Tenenbaum. Al centro della vicenda, infatti, c'è un padre dalla personalità forte, interpretato da un'icona della New Hollywood - là Gene Hackman, qui Dustin Hoffman - alle prese con figli problematici - tra i quali, in entrambe le pellicole, Ben Stiller. Eppure, è proprio quando Baumbach si discosta da questo modello più recente, che The Meyerowitz Stories acquisisce maggior efficacia come racconto corale su una famiglia sui generis.

La narrazione esplora differenti modalità di rapportarsi all'arte e al successo in questo ambito. Nonno Harold, ad esempio, crede ancora all'importanza dell'esibire e dell'esibirsi come artista sulla scena pubblica, mostrandosi ad eventi e vernissage. Ma il riconoscimento collettivo, per lui, è inconsistente, dal momento che l'attuale scena artistica della Grande Mela fatica a ricordare il suo ruolo di primo piano negli anni Settanta. Al contrario, la nipote Eliza, artista in erba, produce bizzarri cortometraggi sul proprio laptop, senza aspettarsi di avere un pubblico. Forse è proprio lei la "talentuosa", in una famiglia dilaniata dalla contrapposizione tra libertà creativa e riscontro socio-economico. Per un Matthew che ha vinto la partita della vita, infatti, giocandola in difesa e rifiutando il percorso caldeggiato dal genitore, c'è un Danny che è rimasto prigioniero delle aspettative del padre e delle sue illusioni, forse frutto di una scarsa capacità autocritica.

Lo scontro generazionale al centro di Giovani si diventa, in cui gli stili di vita di X-ers e millennials si contrapponevano frontalmente, viene declinato sul piano privato e familiare e sfumato in un'esperienza che è prima di tutto legata al rapporto padre-figlio, tema inconfondibilmente baumbachiano (si veda Il calamaro e la balena). Rispetto a Frances Ha o Mistress America, l'accento è posto sull'intensità dei confronti emozionali, anziché sui passaggi brillanti di sceneggiatura: il personaggio di Jean, ad esempio, sorella di Danny dal disagio solondziano, resta abbozzato, macchiettistico, mai del tutto convincente. Così come lo Stiller che dà vita a Matthew, innestando il pilota semi-automatico, non regge il confronto con la straordinaria caratterizzazione di Adam Sandler, che dopo Ubriaco d'amore interpreta di nuovo un individuo in crisi, a disagio con se stesso e con il mondo.

Servendosi di espedienti audaci, che forzano i limiti dell'inquadratura e del sonoro - la crisi dell'epilogo tra Danny e il padre, sottolineata da zoomate ed effetti uditivi - Baumbach conferma la volontà di colpire innanzitutto sul piano emozionale, spingendo lo spettatore verso un transfert commovente con la vicenda dei Meyerowitz. Che è ricordo personale (forse) e riflessione generazionale (certamente), sulle illusioni, spesso autoindotte, di chi ha vissuto i Sessanta e ha proiettato il proprio fallimento sui figli. Un'opera dalle molteplici chiavi di lettura, in cui è il pregio del dettaglio a farsi preferire, sulla coesione dell'insieme

8 commenti:

  1. A R E A __ C O M U N I C A Z I O N E__ R E D A T T O R I __B L O G
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  2. Il raccontino lo ho ascoltato con estrema attenzione e l' ho anche riletto. Non posso dire se sia il migliore che ho ascoltato dalla viva voce di Dante ma di sicuro nella mia personale classifica va ai primissimi posti. Mi piace dal primo rigo sino alla conclusione stupenda. Mi soffermo però su quello che mi colpisce maggiormente ed è una restituzione dell' emozione che io come donna trovo molto rispondente. Dante dice che gli è successo rare volte, a me molto spesso e con quella gradazione ascendente di correnti elettriche che si sentono nel corpo. Ho sempre pensato che gli uomini nell' approcciarsi a un incontro fisico fantasticassero su posizioni, prestazioni ed eventualmente trasgressioni. Invece Dante mi ha messo davanti un resoconto di una incredibile delicatezza, una attenzione alle sensazioni percettive che va oltre a ciò che vedono gli occhi o a ciò che elabora la mente, in effetti non ricorda o dice di non ricordare quasi nulla di lei a livello fisico. Ieri parlavano degli sceneggiatori delle Iene, a una storiella così avrebbero aggiunto foto eloquenti e commentato una verosimile scopata che non avrebbero aggiunto nulla a quanto ognuno già à per proprio conto.
    Niente di tutto questo. Una vera prova di stile. Che sia realtà o racconto non mi interessa Trovo la conclusione elegantissima, perché mentre lui sta ancora pensando a cosa dire lei prende in mano la situazione e lo fa con due parole che non descrivono nulla ma lasciano tutto all' immaginazione e ognuno può finire quella storia a modo suo anche proiettandocisi dentro. Prova di scrittura eccellente.
    Bravo
    Patty ma è piaciuto tanto a nche a Valerio

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  3. La comune amica Patty mi ha segnalato questo bellissimo racconto. Non so come fa lei ad avere l' avviso di quando pubblicate, bisogna fare richiesta a voi?
    Comunque non saprei cosa aggiungere a quello che ha detto lei. A me è piaciuto tantissimo e sì l' ho trovato delicato ed efficace nel far rivivere la vicenda. Spero che dopo i vent' anni Dante abbia conservato la sensibilità di allora.
    Un abbraccio
    Lucy Milàn

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  4. Ho cercato questa via su maps e mi ha colpito molto perché ha due archi interessanti e io sono attratto dalle vie con archi che le attraversano. Non è però dell' indiscutibile fascino di Firenze e delle sue strade che voglio dirvi e neppure delle emozioni o dell' ammirazione per l' eleganza nel trattare il tema di questo racconto a più sfaccettature. Molto e bene ha scritto Patty ravvisando tutto ciò che ha messo in luce nel suo commento e oltre la profondità del quale sarebbe difficile andare. I complimenti provenienti da parte dell' auditorio femminile contano assi più delle note stilistiche che posso produrre io. Ad ogni buon conto lo classifico come esercizio magistrale dello scrivere. Mi ha colpito la descrizione del senso di sbandamento durante la vendita dei libri e reso subito immediato e palpabile dallo sbaglio commesso nel prendere l' autobus per ritrovarsi all' altro capo della città, il ruzzolare dentro a una casa del popolo e l' incontro col Peretti e la sua arguta saccenza di vita. Qui ho sentito l' arte e non si tratta di scriver bene, di aver penna appuntita e stile tagliente Dante sa come portarti con lui a rivivere ciò che racconta e questo va ben oltre il "mestiere". Ogni accennno a una persona o a una cosa è per lui l'occasione per inserire una storia nella storia, l' ape dei napoletani ci riporta al prozio arrotino, alla bici con la mola ai tempi moderni e all'età che lo indussero a passare dalla bici al motocarro che sarà palestra per il giovanissimo Dante per superare quell' esame di destrezza che certo gli avranno fatto i napoletani, spericolati manovrieri sul filo dell' illegale. Non posso infine trascurare l'arte nella costruzione dell' ultimo pezzo, il raccontare come è stato rotto lo specchio e citare una vetreria (mi son preso la briga di controllare ed esiste ancora la storica vetreria Gandi proprio in Borgo La croce). In un epoca in cui siamo in mano a incapaci che non sanno scegliere una mascherina o dare una notizia coerente su un vaccino come non restare ammirati di fronte alla meticolosità di questo maestro del racconto che senza neppure ambizioni di vedere il suo nome su una copertina ci regala questi pezzi di bravura. Speranza ha scritto un libro e non lo ha pubblicato perché nel frattempo era cambiata la situazione ma perché non ha telefonato a Dante questo sprovveduto ministruccio che vuol scrivere libri quando non sa neppure vedere gli orrori del piano salute di Ranieri Guerra. Parliamo d'altro ne ho piene le tasche di megalomani incapaci.
    Quando leggo Zanza capisco che sì la formazione universitaria in giornalismo è stata importante ma la sua verve e il suo graffio hanno un mentore che non è difficile riconoscere.
    Giustamente osserva Patty che sarebbe stato inutile e cafonesco fornire dettagli sull' esito della avventura giovanile. E anche in quelle due parole "lo montiamo domani" si può cogliere quanta raffinatezza stilistica esca da questa penna. Non so se la signora abbia detto proprio quelle esatte parole, non so neppure se sia esistita ma Dante le ha scelte tra mille meno efficaci perché queste, messe così a chiusura del racconto, ti lasciano a pensare a una intera notte di tutto ciò che appunto ogni lettore può immaginare secondo le proprie fantasie e gusti.
    10 e Lode!
    Con affetto
    Giovanni Martinelli

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  5. Caro Dante
    mi sono così emozionata nell' ascoltare la tua voce così bella e spontanea che mi sono commossa non perché io voglia far la tragica, ci mancherebbe altro ma perché per me è sempre stato così, non potendo cogliere il gioco di sguardi essendo impacciata e goffa nei movimenti del corpo, ho affidato tutto quello che mi piace chiamare col termine francese "Allure" alla percezione al sentire le vibrazione a pelle. Fa piacere leggere quelle descrizioni fatte da un uomo. Tutto il resto lo hanno già detto commentatori che ti conoscono meglio e più autorevoli di me. Condivido ogni loro elogio.
    Non stancarti di scrivere queste cose è un dono che hai e un dono che fai a chi ti ascolta
    Eliana

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  6. Ci accodiamo al coro degli entusiasti ed applaudiamo a 4 mani questa bella prova.
    Una preghiera archiviate questi racconti in mediateca
    Anna e Giacomo

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  7. grande narratore dante, non ti smentisci !

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