martedì 6 aprile 2021

fatevi i gatti vostri 1803 " la Tarantinite "

Dicesi tarantinite una sempre più diffusa forma di artrite che colpisce i cinefili adagiati languidamente in poltrona di fronte allo schermo, con birra a portata di mano e pop corn nella ciotola da cani. Pare che le pellicole del Regista Quentin Tarantino ed anche quelle dei suoi emuli (ad esempio quella presentata ieri con "the city of violence") risultino così avvincenti da indurre lo spettatore a trattenere sollevato il boccale di birra, dopo averlo portato alle labbra la prima volta. Il sorreggere in sospensione il boccale fino alla fine del film provoca uno spasmo tensivo nell' articolazione del polso e della mano con conseguente infiammazione delle medesime. La terapia consiste nel mantenere  la mano a riposo e bloccata con appositi tutori. In proposito si veda quanto riportato dalla notissima influenzer pisana Chiara Ferracci che pochi giorni fa ha pubblicato questa info: 

"Tarantinite subdola nemica in tempi di covidde. 

Non bastavano tutti l' altri guai che affliggano noi donne, adesso s'è aggiunta questa nova sindrome.

di Chiara Ferracci da Pisa

Bloccate  in case cor marito che un le caca, figuriamoci se le tromba, i bimbi che piangano a turno, la destra impegnata h. 24 sula tastiera a causa della vitale mportanza del  rolo da comunicatrici e la sinistra con questo cazzo di tarantinite, come potranno mai  fare le influenzers a procurassi una quarche forma di piacere? Io ho provato a sedemmi su na banana ma l' ho stiacciata e ora un mi posso lavà r culo pe problemi suddetti legàti ale mani"


Bona giornata da

Zanza


PIÈCE WESTERN CHE CONCILIA AUTORIALITÀ E BLOCKBUSTER E PROSEGUE IL PROCESSO DI POLITICIZZAZIONE DEL GRANDE CINEMA DI TARANTINO.
Recensione di Marzia Gandolfi
giovedì 28 gennaio 2016

Lungo i sentieri rocciosi del Wyoming, una diligenza corre più forte del vento. Un vento che promette furia e tempesta. Ultima corsa per Red Rock, la diligenza si arresta davanti al Maggiore Marquis Warren, diligence stopper e cacciatore di taglie nero che ha servito la causa dell'Unione. Ospitato con riserva da John Ruth, bounty hunter che crede nella giustizia, meno negli uomini, Warren lo rassicura sulle sue buone intenzioni. Il viaggio riprende ma il caratteraccio di Daisy Domergue, canaglia in gonnella condotta alla forca, lo interrompe di nuovo. La sosta imprevista incontra e carica tra chiacchiere e scetticismo Chris Mannix, un sudista rinnegato promosso sceriffo di Red Rock. Incalzati dal blizzard, trovano rifugio nell'emporio di Minnie dove li attendono un caffè caldo e quattro sconosciuti. Interrogati a turno dal diffidente John Ruth probabilmente nessuno è chi dice di essere.
Secondo western e ottavo film per Quentin Tarantino, The Hateful Eight è ossessionato dalla nozione di identità, reale o supposta dei suoi personaggi e di una nazione perennemente indecisa fra opzione morale e violenza brutale. Ma Tarantino non è Spielberg. Se l'uno riduce in forma di dialogo il potere (Lincoln), l'altro lo esplode con un colpo di fucile e lo schizza sul muro. 'Allungato' sullo schermo, l'autore americano prosegue sul sentiero battuto da Django e sorprende sulla strada per Red Rock una diligenza in fuga dai fantasmi della guerra civile.
Se Come sposare un milionario dimostra che il Cinemascope funziona anche per le gambe di Marilyn Monroe accomodate su una chaise-longue, The Hateful Eight assicura che l'Ultra Panavision 70, glorificazione dello spazio orizzontale, può 'servire' otto bastardi in un interno. Perché Tarantino sceglie di ripristinare un formato abbandonato nel 1966 non tanto e non solo per distendere i paesaggi del Wyoming ma per filmare le interazioni degli attori dentro uno spazio chiuso. Riparati in un rifugio e disposti come pedine su una scacchiera, gli otto hateful di Tarantino agiscono in primo piano e sullo sfondo.
I due livelli di visione permettono allo spettatore di non staccare mai gli occhi dai personaggi e dalla relazione che ciascuno di loro intrattiene con l'altro, in un clima di paranoia che monta. Spinti da un vento polare in un ricovero alla fine del mondo e separati dal mondo, i nostri non smettono di mostrarsi a vicenda documenti, lettere, mandati, ordini di missione, avvisi di ricerca per provare che sono esattamente chi dicono di essere. Ma i dubbi restano e maturano tra una tazza di caffè e un bicchiere di cognac. Sceriffi designati, cacciatori di taglie, cowboy nostalgici, generali in pensione, gangster nomadi, burocrati forbiti, ex soldati incazzati, bianchi, neri, messicani, confederati e unionisti, non manca davvero nessuno nella pièce western di Tarantino, magma incandescente degli Stati Uniti nascenti che scalda i rancori e cova una diffidenza post guerra civile.
La tensione sale lenta dalle piste innevate e si addensa nel rifugio, accomodandosi su poltrone 'macchiate' e avvolgendosi intorno al maggiore di Samuel L. Jackson che alla maniera del dottor Schultz di Christoph Waltz, rivela la sua natura tarantiniana, dominando la parola e le armi. Mediatore tra il film e lo spettatore, Jackson distrae l'occhio mentre l'azione continua e 'avvelena' l'ambiente, caricando di indizi e pallottole le colt. L'intrigo avanza con la meticolosità di un'istruttoria giudiziaria in cui il silenzio è d'oro e la parola parla per ridistribuire i ruoli simbolici dell'avvocato, della vittima, del sospettato. Il film di Tarantino finisce allora per assomigliare a un tribunale che blatera di impiccagioni, omicidi legali, legittima difesa, normalizzazione della violenza, messa a punto della giustizia. Ma di quale giustizia si tratti, al d là del Cristo misericordioso seppellito dalla neve nel piano iniziale, lo comprendiamo presto al cospetto di un branco di iene riunite per 'deliberare' chi meriti la vita. Evidentemente nessuno.
Così la seconda parte di The Hateful Eight, disposta con pazienza e congegnata con un'inusitata forza di concentrazione per l'autore, si abbatte sul film consacrandosi interamente alla messa in scena. Svelamenti di identità, dislocamento dei punti di vista, flashback e voce off frugano nel cuore del già filmato, triturando come d'abitudine e avvicinando gli otto squilibrati alle reservoir dogs. Al diritto e alla verità (di facciata) predicata nei primi capitoli replica nei successivi l'artificio e il godimento di un linguaggio conosciuto, abortendo la catarsi e vomitando letteralmente il 'concentrato' del genere.
Introdotto (nella versione in 70 mm) da un'ouverture, ripartito in cinque capitoli e interrotto da un (vero) intervallo che sgranchisce le gambe e ritarda il piacere, The Hateful Eight ribadisce gli attori di culto (Samuel L. Jackson, Tim Roth, Kurt Russell, James Parks), convoca Jennifer Jason Leigh e Channing Tatum e attesta Walton Goggins e Bruce Dern, che si accordano magnificamente per soddisfare l'intenzione politica di Tarantino. Politica che agiscono nell'arena e sulla partitura originale (e ostinata) di Ennio Morricone, conciliando autorialità e blockbuster.
Parlano allo sfinimento gli hateful eight e quando esauriscono le parole, caricano i colpi e si sparano addosso. Tarantino insiste sul cambio di marcia realizzato con Bastardi senza gloria e sulla politicizzazione del suo cinema, svolta in superficie dalla contaminazione di immaginari e iconografie, innescata al fondo nei dialoghi e portata alle stelle da personaggi che hanno (anche) qualcosa di serio da dire. Dopo aver rinfacciato al western americano classico il suo razzismo e restituito colpo su colpo i torti cinematografici inflitti da D.W. Griffith (Nascita di una nazione), Tarantino guadagna al suo eroe nero un diverso ruolo sociale. Samuel L. Jackson, 'negro di casa' infame in Django Unchained, scende in campo e guadagna sul campo (di battaglia) la sua libertà. Diritto legittimato da una lettera di Lincoln (macguffin millantato e martellante) e speso a uccidere bianchi, incassare ricompense, regolare conti. Cattivo tra cattivissimi non sfugge nemmeno lui alla 'giustizia' tuonante di Ezechiele 25:17 e alla canaglia che non aveva proprio considerato. Nondimeno, più pietoso di un dio vendicativo, Tarantino riconcilia vita e morte sotto la neve. Precipitazione pura e sudario, la neve crepuscolare di Sergio Corbucci (Il grande silenzio) e André de Toth (Notte senza legge) cade su un drappello di miserabili, lascito della Guerra di Secessione nel corpo sociale americano. Tempestosa o inerte copre il nero e il bianco. Non prima di aver (r)accordato dentro l'ultimo quadro la struttura (letteraria) di Lincoln con quella barbara dell'impiccagione, la trattativa con l'azione pura, i principi democratici con le devianze reali. Sipario. 


Su MYmovies il Dizionario completo dei film di Laura, Luisa e Morando Morandini

Tra le nevi del Wyoming, poco dopo la fine della Guerra di Secessione, una carovana corre verso Red Rock e, per l'avvicinarsi di una spaventosa tempesta, si ferma all'emporio di Minnie. Alla spicciolata, come su un palcoscenico, entrano in scena i personaggi di questo 8° film di Tarantino: un paio di cacciatori di taglie, uno è John "The Hangman" Ruth che cattura i ricercati e li consegna vivi per l'esecuzione, l'altro, il Maggiore Warren che invece li ammazza perché così danno meno problemi; Daisy Domergue, una fuggitiva in manette, abbrutita e massacrata di botte; O. B. Jackson, il conducente della diligenza che arranca nella bufera di neve; il sudista Mannix che dice di essere il nuovo sceriffo di Red Rock; Mobray, il boia inglese dai modi forbiti; un vecchio generale del Sud; un cowboy che per Natale vuole tornare a casa dalla mamma; un messicano, dall'incerto ruolo. Dopo una prima ora di presentazione, in cui i personaggi, in perfetto stile Tarantino, parlano a ruota libera, delineando i caratteri - tra provocazioni, sfide, alleanze e rivalità - il conflitto esplode. Mentre lascia in sospeso il fantasma della lettera di Lincoln ricevuta (forse) dal nero Warren, con tutte le sue idealistiche speranze, Tarantino spiega la Storia agli adolescenti di oggi come fosse un costante percorso di vendetta, un apologo incattivito sulla società, nell'impossibile mescolanza di individui che mai potranno convivere pacificamente, mentre le riprese in 70 mm scorrono sui visi degli attori, in primo e secondo piano, come fossero i vasti panorami esterni dell'inizio. Musiche originali di Ennio Morricone che usa alcuni brani rimasti inediti della colonna sonora del film La cosa di Carpenter.

7 commenti:

  1. A R E A __ C O M U N I C A Z I O N E__ R E D A T T O R I __B L O G
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    1. Esserino Gatto
      AI LETTORI TUTTI MICIOSI SALUTI
      www.esserinoebalena.blogspot.it

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  2. Pezzo degno di una locandina del Vernacoliere! Perfetto!
    Buona Giornata
    Giovanni Martinelli

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  3. Meno male che non l' hai ribattezzata Ferrari. Ci sarei rimasta troppo male. Simpaticissimo pezzo umoristico ha ragione il prof.
    Buona giornata
    Anna

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  4. Il tuo post è davvero una simpaticissima satira.
    Quanto mi rimane antipatichina codesta (dite cos' vero voi Livornesi) saputella e credetemi non è invidia per i milioni di followers. A me (con la vista a zero che ho) serve chi mi cammina accanto o al massimo davanti, non dietro.
    Un film per tener buono l' inquieto figlio minore Thirteen, a dire il vero lo vuol vedere insieme alla sua fidanzatina che mi pare più inquieta di lui. Il maggiore è più bonaccione e dopo aver visto il video di Dante vuol farsi crescere la barba certo che la prof di Italiano, quella dei films, lo terrebbe in maggiore considerazione. Ignora che per averla bianca e veneranda dovrebbe aspettare un bel po' a meno di non volerla decolorare.

    Un abbraccio da Eliana

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  5. Ah ma allora sta Ferracci è davvero onniscente o almeno si sente tale. E' la moglie di Federest vero? E' sì le sa proprio tutte lei. Certo che la banana ci voleva quanto meno verde e infilata in piedi sulla classica rosetta di pane alla quale si è tolto il cerchio centrale. Tutto tocca insegnare a ste benedette ragazze.
    Sei troppo forte Zanza a Roma tu e Dante potreste lavorare in teatro sempre che ce ne fossero di aperti.
    Buon Pomeriggio e quando potrai per me la presentazione di due film "the summit" che conosco ma vorrei reperire su qualche canale per registrarlo (sui fatti del g8 di Genova) e "The stronghold" un fantasy slavo sul quale sono curiosa di conoscere qualcosa in più del poco che so.
    Baci
    Patty

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  6. Sei troppo simpatica Zanza. L' alternanza di redattori tutti in grado di attirare l'attenzione è la forza di questo bel blog
    Buona sera
    Lucy Milàn

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