Il coronavirus e la lezione di Olmi e del suo "Albero degli zoccoli"
domenica 19 aprile 2020
La zona più colpita dal contagio è la Bergamasca. È la zona-martire del coronavirus. Non c’è chiesa e obitorio che non siano stati riempiti di bare. Per i morti che ne avevano fatto richiesta si è proceduto alla riduzione in ceneri. Le bare si bruciavano dalla mattina alla sera, ma non si riusciva a smaltirne le giacenze, file di camion dell’Esercito hanno portato le bare in eccesso verso altri crematori, attraversando pezzi d’Italia sotto l’occhio della tv. Parevano scene di guerra, quando tra una battaglia e l’altra la Croce Rossa organizza il recupero e il trasferimento dei caduti, e i camion militari fanno la spola tra il fronte e le retrovie. La popolazione della Bergamasca ha sopportato in silenzio più di ogni altra comunità.
Di colpo, senza preavviso, la tv nazionale, Rai 3, ha mandato in onda in prima serata, quando le famiglie, finita la cena, si raccolgono davanti al televisore, L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi. È un film ambientato proprio nella campagna bergamasca, sulla civiltà contadina della Lombardia, la vita di più famiglie insediate in una vasta fattoria, con vecchi, bambini, ragazzi, adulti, la vita dei campi, di stalla, di chiesa, i riti cattolici, le preghiere, i rosari. Una comunità orante et laborante. Le famiglie non sono in affitto, ma in mezzadria. La mezzadria funzionava così: il padrone era padrone del fondo e gli spettava la metà, in qualche caso persino i due terzi, di tutto quello che veniva prodotto.
Una scena del film 'L'albero degli Zoccoli'
Una scena del film "L'albero degli Zoccoli" - Ansa
Mio padre era un piccolo coltivatore diretto, padrone dei campi che coltivava, ma accanto a noi c’era una famiglia in mezzadria, che viveva nel terrore: se arrivava in corte il contepadrone in auto, i contadini mezzadri accorrevano dai campi, scamiciati, togliendosi il berretto. Il conte girava lo sguardo grifagno e chiedeva: «È un cappone quello?», e tutti frenetici: «Il cappone! Il cappone! Prendete il cappone per il signor conte!». «E quella è una faraona?». «La faraona! La faraona! Portate la faraona al signor conte!». Il padrone della campagna in mezzadria era un sovrano assoluto, se voleva togliere la campagna ai mezzadri e darla ad altri mezzadri, niente poteva fermarlo. La famiglia esautorata doveva cercarsi un altro fondo o vivere “alla carità”, andando in giro a chiedere da mangiare.
È quel che succede nel film di Olmi. Una famiglia viene cacciata. Perché s’era rotta la suola di legno dello zoccolo di un ragazzo e suo padre gli aveva costruito un’altra suola utilizzando il tronco di un albero, che naturalmente era proprietà del padrone. Schiacciata tra una miseria che sanguina e la pratica di una religione che insegna il rifiuto della violenza, la comunità contadina di Olmi si rifugia nella continua invocazione di Dio e dei santi, che è da intendersi come l’alleanza con un potere più potente di ogni padrone, l’unico potere che può fare giustizia, la vera giustizia: un potere tale che è meglio perdere con lui che vincere contro di lui, un potere che chi sta con lui e perde ha pietà di chi gli sta contro e vince.
Noi abbiamo avuto in Italia una sinistra che sapeva tutto degli operai ma non sapeva niente dei contadini. Quando uscì L’albero degli zoccoli la nostra cultura di sinistra era impreparata a capirlo, a intenderne la grandezza mistica, e lo stroncò con ottusa, volgare, compiaciuta violenza. Il film è rimasto in parte sepolto sotto questa denigrazione. E, col film, la civiltà cattolica delle campagne che esso rievoca. A quasi mezzo secolo di distanza, la pandemia che lo tira fuori dai cassetti e lo rilancia sotto gli occhi di tutti, ha fatto un utile, nobile atto di giustizia.