Edwige Fenech si inserisce nel gruppo con la sua fondamentale trilogia che si ricorda e va al di là del decamerotico puro e semplice soprattutto per l’invenzione dei titoli. Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda [1972] di Mariano Laurenti deve la sua fortuna a un titolo volgarissimo che promette molto più di quanto in realtà mantiene. Lo stesso film con un titolo normale non avrebbe prodotto lo scalpore che fece a quel tempo. Il film inaugura tutta una serie di pellicole dai titoli lunghissimi e provocanti e la bella franco-algerina ne interpreta un discreto numero, non solo di Genere decamerotico.
Quel gran pezzo dell’Ubalda… è scritto e sceneggiato da Tito Carpi, Luciano Martino e Carlo Veo, le musiche di Bruno Nicolai. Produce Luciano Martino, il compagno della Fenech, per Lea Film. Ottimo il cast composto da Edwige Fenech nei panni della mitica Ubalda, Pippo Franco [Olimpo], Karin Schubert [Fiamma], Umberto D’Orsi [Oderisi], Gabriella Giorgelli, Carla Mancini e Pino Ferrara.
Il film è inserito tra i decamerotici ma lo schema narrativo è insolito perché non c’è una voce narrante e non c’è una suddivisione in novelle o episodi. Si tratta di una normalissima storia di corna con protagonista un giovane Pippo Franco, al massimo della forma nei panni dello scalcagnato soldato Olimpo.
La trama del film è caratterizzata da un susseguirsi di trovate comiche che hanno come protagonista un ottimo Pippo Franco, ben coadiuvato da Umberto D’Orsi nei panni del mugnaio Oderisi. Olimpio torna dalla guerra assetato e con una voglia tremenda di far l’amore con una donna, la sua armatura è così mal ridotta che cade a pezzi e quando si getta sotto una fontana pare un soldato di latta che zampilla dai fori che si ritrova addosso. Passa di là un frate [l’ottimo Pino Ferrara che sarà una costante del film], Olimpo tenta di rapinarlo ma rimedia solo un randellata e subito dopo i due diventano amici e mangiano insieme una gallina rubata. Siccome siamo in un decamerotico è buona regola che il frate non sia insensibile ai piaceri della carne e quindi lo vediamo di nuovo randellare Pippo Franco per farsela al posto suo con una stupenda Gabriella Giorgelli, nuda e disponibile in un pagliaio. Olimpo deve restare con la voglia anche a casa sua, visto che la moglie Fiamma ha promesso due settimane di castità a San Fruttuoso per ringraziarlo di aver protetto il marito. Intanto però se la spassa con diversi amanti nascosti dentro bauli, tini, armadi e perfino sotto il letto di casa. Olimpo le aveva messo la cintura di castità [leit motiv della pellicola] ma non serve a niente perché Fiamma ha fatto più copie delle chiavi che ha consegnato a tutti i suoi amanti.
Tra l’altro il ritorno di Olimpo è accolto nell’indifferenza generale, persino il cane si limita a pisciargli addosso, la moglie si fa il bagno e la governante lo disprezza. Karin Schubert è doppiata ma è brava nel recitare una parte comico-erotica molto maliziosa da moglie infedele, la sua bellezza in seguito la farà diventare diva del porno. A proposito di battute comiche questa prima parte ne è piena e sono tutte di Pippo Franco in romanesco, che prima rivolto al frate dice: “Vie’ un po’ qua che te mando a trova’ lo principale tuo che sta’ in Paradiso!”, poi alla moglie che si nega: “Manco uno peccatuccio svertino?” e infine al santo: “Fruttuoso, vie’ qua che te devo di’ una cosa: ma vaffanculo… va’!”. A questo punto ha inizio la sfida tra lui e il mugnaio Oderisi che si è sposato da poco tempo con la bella Ubalda, definita dalla moglie di Olimpo “una santa donna”. Edwige Fenech entra in scena alla grande per smentire subito le parole di Fiamma e la vediamo in una bella sequenza erotica mentre incorna il marito con un amante truccato da pettinatrice. Il mugnaio Oderisi parla un livornese di provincia molto buffo ed è gelosissimo della moglie, ma Ubalda se la fa lo stesso con tutti quelli che le capitano a tiro. Ci prova pure il medico, nonostante il marito le studi proprio di tutte per non lasciarli soli, vorrebbe addirittura ascoltare lui il cuore e dopo riferire al medico perché teme che possa toccarle il seno. Fortuna che il dottore è vecchio e non ce la fa. “Con lei non basterebbe un mese” conclude Ubalda scoraggiata. Olimpio vede Ubalda e si invaghisce di lei, non ce la fa a staccarle gli occhi di dosso, ma il mugnaio se ne rende conto e tra i due finisce in rissa. Nella scena ci sono diversi primi piani sul seno della Fenech e subito dopo viene inquadrato pure il suo sedere oggetto del desiderio. Qui si innesta la famosa sequenza onirica con Pippo Franco che sogna Edwige Fenech mentre corre libera in un prato con il seno al vento, vestita di un velo bianco e con le mutandine chiuse dalla cintura di castità. C’è una musica suadente e sono belli i primi piani dei due attori [soprattutto della Fenech] con Olimpo che sogna di fare l’amore.
Nel frattempo la moglie mette trappole per topi nel letto per non essere insidiata e Pippo Franco si lascia andare: “Una trappola pe’ li sorci? Ma almeno me potevi fa’ arriva’ ar formaggio!”. Olimpo prova a travestirsi da pittore e si finge omosessuale per convincere Oderisi a farlo salire in camera con Ubalda e dipingerla nuda. Qui abbiamo altre sequenze piccanti con la Fenech che si mostra senza veli. I garzoni del mugnaio spiano la scena da una scala e lo spettatore vede le nudità della Fenech tramite gli occhi di chi si arrampica e spia e si immedesima in una scena ricca di voyeurismo. La cintura di castità di Ubalda complica le cose, Oderisi si insospettisce e fa irruzione nella stanza dopo che ha visto il finto pittore senza la barba. Il marito tradito smaschera Olimpo che cade dalla finestra insieme ai garzoni e durante la fuga si imbatte di nuovo nel frate che lo riempie ancora di legnate. Mitica la battuta di Olimpo: “A fratacchio’, sei sempre su’ ’a strada mia, nun ce passi mai pe’ vaffanculo?”, che [come tutte le altre] regge solo perché a dirla è Pippo Franco. Siccome il frate “quando non mena magna” [per dirla con Pippo Franco], i due finiscono a mangiare insieme e il frate ha pure un’avventura con una servetta alla quale deve spiegare il senso del peccato perché possa sfuggirlo meglio. Oderisi intanto finisce alla gogna, perché ha confuso il vero pittore mandato dal duca a dipingere Ubalda con Olimpo e lo ha preso a botte. Pippo Franco ci prova ancora e indossa l’armatura cavalcando un asino per conquistare la Fenech che intanto se la spassa con un giovane amante. Pure in questa scena l’attrice si mostra con generosità, pur senza nudità integrale. La battuta del comico è legata ai tempi di un Carosello che per mezzo di un pugno corazzato pubblicizzava “Petrus, l’amarissimo che fa benissimo”. Pippo Franco si definisce: “il durissimo che fa benissimo”, mentre bussa con la sua armatura alla camera di Ubalda. Al grido di “Non è lo marito mio!”, esce l’amante dal nascondiglio, lo colpisce con una mazza ferrata e si libera del corpo gettandolo in un pozzo nero. Stessa sorte capita a Oderisi che, tornato a casa e venuto a sapere della storia di Olimpo, decide di vendicarsi e di andare anche lui a letto con sua moglie. Oderisi si veste con l’armatura di Olimpo, ma Fiamma lo scopre e chiama il suo amante che lo stende con un colpo di randello e getta il suo corpo nel pozzo nero.
Tra lo sterco e i rifiuti i due nemici si ritrovano [“Stamo tutt’e due nella merda” dice Pippo Franco] e stringono un patto di alleanza per scambiarsi le mogli, ma neppure questa cosa va a buon fine e a godere delle grazie delle due belle spose è il solito fratacchione di passaggio. Alla fine Olimpo acquista una nuova cintura di castità dal fabbro Mastro Deodato che gli mostra gli ultimi ritrovati [“Perché li avevate persi?” chiede Pippo Franco]. Questa cintura è una specie di ghigliottina per piselli, sembra che lasci via libera ma quando l’arnese è entrato lo affetta senza pietà. Si dà il caso che Odorisi acquista la stessa cintura per Ubalda e pure lui la fa indossare alla moglie. Quando il patto per scambiarsi le consorti va a buon fine nella notte si ode un doppio grido di dolore: i due nemici si sono tirati a vicenda uno scherzo mancino. Finiscono a cantare in chiesa nel coro delle voci bianche capitanato dal fratacchione impenitente. Le mogli sorridono e attendono solo di concedersi ancora ai giovani amanti in attesa.
Il film è importante perché anticipa molti elementi tipici della futura commedia sexy, come quella con i ragazzi che si arrampicano su di una scala per spiare la Fenech che si spoglia, e le mescola con altre tipiche del decamerotico [frati che seducono ragazze e simili]. Molte le scene sexy con la Fenech svestita e su tutte va citata una sensuale corsa nuda per i prati, ma pure le belle comprimarie non sono da meno.
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Il 1973, invece, è l’anno fondamentale per Edwige Fenech che viene lanciata a pieno titolo nel mondo della commedia sexy che cominciava a farsi spazio tra i gusti degli italiani stanchi del decamerotico. Una commedia sexy fondamentale che fa da apripista per il genere e da modello per futuri film è Giovannona Coscialunga disonorata con onore [1973] di Sergio Martino. Il film è il film manifesto della commedia scollacciata all’italiana. Se è diventato un cult movie parte del merito va anche a Paolo Villaggio che ne Il secondo tragico Fantozzi [1976] lo cita come film preferito e lo paragona alla Corazzata Potëmkin [1926] [definita “una cagata pazzesca”].
Giovannona Coscialunga disonorata con onore è scritto e sceneggiato da Francesco Milizia, Carlo Veo, Tito Carpi e Franco Mercuri. Produce [al solito] Luciano Martino. Interpreti: Edwige Fenech, Pippo Franco, Gigi Ballista, Vittorio Caprioli, Danika La Loggia, Francesca Romana Coluzzi, Riccardo Garrone, Adriana Facchetti e Vincenzo Crocitti.
Pippo Franco è il segretario del commendator La Neve [Ballista] ed è sua l’idea di far passare la prostituta Cocò [Fenech] per la moglie dell’industriale. Lo stratagemma dovrebbe servire a intenerire l’onorevole Pedicò [Caprioli], sensibile alle bellezze femminili, e a evitare dure sanzioni per l’inquinamento prodotto dalla industria di formaggi.
Da qui si dipana la farsa con Edwige Fenech prorompente prostituta volgare e sguaiata che si ingegna per concupire l’onorevole. Il problema è quando parla… Certo che non siamo davanti a un capolavoro del cinema, però stiamo parlando di Giovannona Coscialunga, una dignitosa commedia sexy, forse una delle migliori di questo periodo. Si ride molto e lo si fa ancora oggi, a distanza di oltre trent’anni dalla sua realizzazione. Non ci pare poco.
Un nuovo pretore arriva al piccolo paese siciliano di Roccapizzo, un fantasioso comune alle pendici dell’Etna, ed è lui che mette nei guai l’industria del formaggio Straccolone. Nell’ufficio dell’azienda si respira un’aria pesante e il commendator La Noce, coinvolto nello scandalo del fiume inquinato, medita l’espatrio. Pippo Franco è un irresistibile segretario balbuziente, che si esprime al meglio della sua comicità romanesca ed è attratto dalle belle donne.
Le prime inquadrature lo vedono intento a scrutare le cosce all’impiegata della ditta che indossa conturbanti minigonne. Sin da subito la pubblicità indiretta si spreca, come costume del periodo sono frequenti le inquadrature di pacchetti di sigarette Astor, acqua Pejo e Uliveto, J&B [immancabile] e Fernet Branca, veri e propri sponsor del film. Pippo Franco ha l’idea di chiedere aiuto all’onorevole Pedicò [Caprioli], classico democristiano tutto casa e chiesa che ha per moglie la statuaria Francesca Romana Coluzzi. Il segretario scopre, con l’aiuto di un prete in odore di omosessualità, che l’onorevole ha una passione segreta: le belle mogli degli altri. Pippo Franco cerca una ragazza disponibile a recitare la parte della signora La Noce, visto che la vera moglie del commendatore è brutta e timorata di Dio. Dopo una ricerca tramite agenzia che lo porta a contattare un transessuale, decide di fare da solo e con la sua Fiat Cinquecento scassata rimorchia la Fenech nella zona dove battono le mignotte. La prima cosa che lo attrae è il sedere della ragazza che lo fa inchiodare di colpo per tentare un approccio. Stupendo il dialogo. Pippo Franco: “Co… co… come te chiami?” [è balbuziente]. Fenech: “Ma che fai sfotti? Me chiamo Cocò!”. Pippo Franco la istruisce, la veste come finta moglie del commendatore e quando le prende le misure si accorge che sono: 98 – 98 – 110, mentre la camera inquadra il seno della Fenech dall’alto lui esclama: “Quasi quasi mando affanculo tutto!”. Quando l’accompagna al treno per la Sicilia si accorge che la ragazza parla un pesante dialetto ciociaro e si esprime come una burina. “Ma questa parla sempre così?” fa il commendatore. “No, pure peggio” risponde il segretario. Nella cabina Cocò completa l’opera e scambia un orinale per una tazza da caffè. Ma ormai il piano è partito e sul treno c’è pure l’onorevole con la sua bruttissima segretaria zitella che ha un debole per il commendatore. Durante la cena Cocò non parla perché dice che ha fatto un fioretto a San Rocco e dovrebbe sedurre l’onorevole, ma fa piedino alla segretaria che pensa a un’insidia da parte di La Noce. Da qui parte la commedia degli equivoci. Sul treno c’è una piccola parte da conduttore per il caratterista Vincenzo Crocitti, che diventa matto per via dei continui cambi di cuccette che sono la molla della comicità. Pippo Franco e la Fenech fingono di fare l’amore per sconvolgere l’onorevole e alla fine si convincono così bene che finiscono a letto insieme. La Fenech si presenta in tutto il suo splendore e lui esclama: “Ammazzate che pompelmi e che belle cosce!”. E lei in ciociaro: “Nun è pe’ fa a superba, ma a lu paese me chiamano Giovannona Coscialunga!”.
Alla stazione di Battipaglia sale anche un omosessuale e l’onorevole Pedicò entra nella sua cabina invece che in quella di Cocò. Il gay arpiona la gamba dell’onorevole e non se lo vuole far scappare. In tempi di politically correct scene come questa si beccherebbero la qualifica di omofobe e non potrebbero essere girate. Il commendator La Noce finisce nella cuccetta della segretaria zitella dell’onorevole, mentre Pippo Franco e la Fenech se la spassano perché in fondo Cocò è innamorata di lui. La situazione di caos è alla base dell’umorismo e ricorda molto le comiche del cinema muto.
La farsa raggiunge il suo apice quando entrano in campo anche il protettore di Cocò e la vera moglie del commendatore. Il pappa estorce a Pippo Franco la confessione a suon di ceffoni e quindi si allea con la moglie di La Noce e parte alla ricerca della sua donna.
Robertuzzo è un Riccardo Garrone molto bravo, che ricordiamo attore di molti film con Tinto Brass e che per l’occasione veste la maschera di un bullo di periferia che parla ciociaro sbagliando tutti i congiuntivi. Intanto Cocò impara a dire l’essenziale con frasi numerate che il commendatore le fa memorizzare. La finta coppia è pronta per l’invito a pranzo alla villa dell’onorevole. La parte conclusiva si consuma proprio a casa Pedicò, dove tra piscina e camere assistiamo a un nuovo tourbillon di scambi di letti e situazioni paradossali. Il commendatore se la dice con la moglie dell’onorevole, ci gioca a tennis, le accarezza una gamba dopo che si è infortunata e quando è notte cerca di entrare in camera sua. L’onorevole tenta di drogare La Noce con il caffè, ma addormenta Cocò e non riesce ad approfittare di lei. La segretaria zitella intanto muore dalla rabbia ed è gelosa del commendatore.
Una commedia degli equivoci tra uomini e donne che passano da una stanza all’altra ma nessuno combina niente. Intanto c’è Pippo Franco che ha avuto un guasto alla sua Fiat 500 scassata e deve fare l’autostop per raggiungere Roccapizzo. Prima incontra un pazzo uscito dal manicomio, che è quasi del tutto cieco e guida come un folle mentre ride isterico. Quando il pazzo lo scarica ottiene un passaggio da un carro funebre e si sdraia in mezzo ai fiori al posto del morto. Quando Pippo Franco arriva alla villa comincia la comica finale con lui che cade in acqua ma non sa nuotare e tutti gli altri che lo seguono tra sganassoni e spinte. Robertuzzo e la vera moglie del commendatore sono arrivati sul luogo del misfatto e la frittata è completa. Mogli e amanti si prendono a botte in un finale da torte in faccia che il regista gira a velocità innaturale per rendere l’idea della comica. Finiscono tutti all’ospedale e Robertuzzo ricatta il commendator La Noce e l’onorevole Pedicò. Alla fine il protettore di Cocò diventa manager dell’industria di formaggio, l’onorevole risolve tutti i problemi legati all’inquinamento e il commendator La Noce è contento perché ha trovato un vero segretario. Pippo Franco corona il suo sogno d’amore con Edwige Fenech e si mette a fare il pappa della ragazza per sbarcare il lunario. Solo che non ha proprio il fisico da protettore e quando porta Cocò in una zona che non è la sua viene massacrato di botte da un gigantesco Franceschino [Nello Pazzafini].
“’A Franceschi’, nun me mena’…”, implora. Ma il ceffone arriva lo stesso e lo stende. “Ma almeno glielo hai preso il numero di targa?” chiede a Cocò. Il film termina qui e a tratti pare un Pretty Woman [1990] all’incontrario, pure in questa pellicola la ragazza di strada si innamora, ma finisce per tornare a fare la mignotta ed è proprio il suo ragazzo che ce la porta.
Il film non è per niente volgare, si tratta di una farsa divertente e piacevole, una commedia degli equivoci secondo lo schema classico della commedia all’italiana, condita da un po’ di sesso. Gli attori sono molto bravi. Pippo Franco è in gran forma e Vittorio Caprioli è un professionista di grande livello. La Fenech è molto sensuale e non si limita alla sola presenza scenica. Bene anche Gigi Ballista, sempre molto credibile. Il titolo del film doveva essere Un grosso affare per un piccolo industriale, ma siccome andavano di moda i titoli lunghi [tipo Mimì metallurgico, ferito nell’onore] si pensò a questa sorta di titolo-parodia. In realtà è proprio il titolo volgare che ha prodotto tanti giudizi negativi da parte dei critici dal palato fine, ma al tempo stesso è sempre merito del titolo particolare se lo ricordiamo come un film simbolo di un’epoca. La pellicola si avvale di un Pippo Franco al massimo delle sue capacità e come era già capitato per Quel gran pezzo dell’Ubalda… è soprattutto su di lui che si appunta la responsabilità di far ridere. Ricordiamo alcune battute simbolo. Commendatore: “Ma non dire cose arcane!”. Pippo Franco: “Ar cane? E chi gli ha detto niente ar cane?”.
Due mogli all’aeroporto. Prima moglie: “Ma tu quando fai l’amore ci parli con tuo marito?”. Seconda moglie: “Se mi telefona…”. Pippo Franco a Cocò: “La cosa rimanga tra noi, come dicono i francesi entreneuse…”. Pippo Franco che si becca una scarica di multe: “Vigile Mastofi, vigile Mastofi… ma sto’ fijo de ’na mignotta c’ha le penne all’arrabbiata!”. Protettore: “Dove sta’ Cocò?”. Pippo Franco: “Se dice dove sta’ Zazà!”.
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A R E A __ C O M U N I C A Z I O N E__ R E D A T T O R I __B L O G
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AI LETTORI TUTTI
EliminaSALUTI MICIOSI
mmmh anche il vello....ma lei ha avuto vello e cervello!
RispondiEliminaBaci Patty
Era una bella ragazza
RispondiEliminaBuona Notte
Giovanni Martinelli