Ho iniziato alle 6. Poche consegne e ho voluto farle da sola. Nei primi tempi, in cui affiancavo la zia, il lavorare in barca da sola mi terrorizzava, non tanto per la complessità delle manovre sempre presente ma più lieve al crescere dell' esperienza, quanto per il dover abbandonare la barca durante la consegna. Non esiste il rischio che te la rubino, quello no. E' improbabile ma possibile che ti vengano sottratti dei colli quello sì. Il vero rischio, però, son le multe che ti piovono tra capo e collo ogniqualvolta ti affidi a un ormeggio abusivo o incustodito. A Venezia le rive sono piene di barche ormeggiate perché, ovviamente, una discreta parte dei residenti ha la barca e da qualche parte deve pur tenerla. Ne consegue che se io debbo consegnare alla farmacia tal dei tali raramente troverò un ormeggio a pochi metri dal punto di recapito ma dovrò confrontarmi col tipico problema che ha un automobilista romano quando, raggiunta l' agognata destinazione, non sa dove mettere la sua auto. Per di più sebbene Venezia sia collegata da una fittissima rete di vie d acqua, costituite da rii e canali, non tutti gli esercizi commerciali affacciano su di essi ed accade spesso che dall' ormeggio all' entrata del negozio ci sian da percorrere varie centinaia di passi. Esistono, è vero, le rive pubbliche ove si può sostare per carico scarico ma non bastano e le trovi sempre occupate. Così se sei in coppia ti accosti un attimo, anche in divieto e uno dei due raggiunge il destinatario della consegna. Se si prevede di farne più di una, in una zona abbastanza circoscritta, si usa il carretto. Se sei da sola però e lasci la barca malmessa ti arrivano multe salate per le quali non basta il provento giornaliero a far pari. In più esiste l' aggravante dell' ormeggio incustodito che, in caso di lavoro da single, diventa una condizione obbligata visto che ancora non hai il dono dell' ubiquità. Per l'ormeggio tento di bypassare legandomi spesso a una barca da lavoro già ferma a lato di una riva. Situazione possibile se il canale consente, con tale artificio, di non creare problemi alla viabilità acquea. Poi però serve molta agilità per raggiungere la riva saltando dalla tua barca all altra e da questa a terra sostenendo i pacchi con due mani, superfluo osservare che in questa variante il carretto è da dimenticare a meno che tu non lo butti a terra prima di legarti in doppia fila e tu faccia lo stesso, al termine, per recuperarlo. Come alternativa hai la porcata ossia ormeggiarsi a un lampione, a una ringhiera, al corrimano di una scala che finisce in acqua o addirittura ricorrere alla porcata massima che è stata ideata da zio Dante: consiste nell' usare un paletto in ferro acuminato piantandolo tra due lastroni della pavimentazione e usandolo poi come punto per legare la cima d ormeggio. Un po' come fa un un'alpinista coi chiodi da roccia . Funziona bene ma se ti beccano possono aggiungere il danneggiamento di struttura pubblica e son guai.
Anche adesso che sono a fine giro, mentre sorseggio, al mio bacaro preferito, il lungo caffè della moka da 12 tazze (non usano macchine da bar) irrobustito con uno spruzzo di grappa stravecchia, la barca è in divieto ma l'ho proprio a 5 metri da me e quindi sotto estremo controllo.
Post dunque scritto in diretta dal bàcaro, col telefonino.
Non oso immaginare le disgrafie causate dalla mia frettolosità e dal correttore auto.
Ecco, di seguito, il commento di my movies al film presentato oggi
Buona giornata a Tutti
Dani
Londra, 1984. Joe partecipa tra mille timidezze e ritrosie al Gay Pride e si unisce alla frangia più politicizzata del corteo, già proiettata sulla successiva battaglia in difesa dei minatori in sciopero contro i tagli della Thatcher. Guidati dal giovane Mark, i LGSM (Lesbians and Gays Support The Miners) cominciano il loro difficile percorso di protesta, che li conduce in Galles, nella remota comunità di Dulais. Superata l'iniziale ritrosia, tra attivisti gay e minatori nascerà una sincera amicizia e un'incrollabile solidarietà umana.
Uno spunto narrativo dal potenziale micidiale che ha sorprendentemente atteso trent'anni prima di essere trasposto su grande schermo. Matthew Warchus - il sottovalutato Simpatico e un notevole curriculum teatrale alle spalle - raccoglie la sfida, forzando la verità storica (la solidarietà era molto più articolata e diversificata, non coinvolgeva solo una comunità gallese e un gruppo di attivsti londinese) quel tanto che basta per rendere Pride un possibile campione d'incassi. Di quelli destinati in egual misura a essere amati e detestati, per la capacità di concentrare cliché e situazioni già viste in anni di cinema popolare britannico, con in mente solo il grande pubblico privo di pretese intellettuali.
Chi ha adorato i balletti di Full Monty, il sogno di Billy Elliot e le tragicomiche vicende di Trainspotting si ritroverà tra mura amiche, dove il cinico e smaliziato cinefilo difficilmente arriverà ai titoli di coda di Pride. Warchus rinuncia da subito allo stupore, sceglie l'alveo confortevole del genere codificato e lo sfrutta al massimo, puntando su un cast adeguatamente variegato (il Dominic West di The Wire a fianco di un sorprendente Paddy Considine) e giocando la propria vis comica, così come i climax drammatici, sull'accettazione della "diversità", sia essa abitudine sessuale, estrazione proletaria o semplice provenienza gallese.
Una sceneggiatura accorta, che inserisce quasi subito il pilota automatico e pigia i tasti emozionalmente giusti, senza concedersi sorprese: i traumi, i punti di svolta del plot, sono quelli ampiamente previsti. La diffidenza iniziale degli operai si tramuta in accoglienza gioiosa, specie quando i gay rivelano la loro naturale attitudine al ballo (cliché quasi imperdonabile, di cui Warchus si nutre abbondantemente), e i percorsi individuali dei protagonisti seguono il loro iter naturale, con l'immancabile figlio che trova il coraggio di fare coming out con i propri genitori e pagarne le conseguenze. Minimo lo spazio dedicato alla contestualizzazione storica nell'era Thatcher - l'inizio della fine per il Secondario e per la classe operaia - benché lo spettro dell'Aids incomba come un inquietante monito contro la libertà dei costumi sessuali.
Astutamente tenuta in secondo piano la disfatta dei minatori, in favore di una marcia comune in occasione del gay pride che sa di utopia rivoluzionaria consolatoria almeno quanto l'epilogo recente de I miserabili.
Inghilterra 1984, durante lo sciopero a oltranza (durò 1 anno) dei minatori contro i 20mila licenziamenti decretati dal governo Thatcher. A Londra, un pugno di gay dà vita a un'associazione di sostegno ai minatori di un paesino del Galles e inizia la raccolta di fondi. Poiché i dirigenti sindacali non ne vogliono sapere, si recano da loro. La maggioranza dei minatori è omofobica e l'intesa sembra impossibile, poi gradualmente molti superano i pregiudizi, mentre i membri dell'associazione devono fare i conti con i loro problemi personali e l'ombra dell'AIDS si allunga su di loro. Il senso di solidarietà alla fine prevale sulla diversità. Al suo 2° film, Warchus, affermato regista teatrale inglese, aggiusta il tiro, si mette nella scia di We Want Sex (2010) e fa centro con un soggetto da scalpore e un'efficace sceneggiatura (Stephen Beresford), che frulla abilmente umorismo gay e british, dramma politico-sociale, tragedie esistenziali, epica sindacale, e suggella il tutto con un finale trascinante. La magistrale direzione, la bravura e l'affiatamento degli attori fanno il resto.
A R E A __ C O M U N I C A Z I O N E__ R E D A T T O R I __B L O G
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Attenta a te che con la lettera q ho ben 4 desiderata.
RispondiEliminaGrazie per queste belle presentazioni
Love Patty
Grazie!!!!
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