martedì 11 marzo 2014

Fatevi i gatti vostri n. 542 " Il primo giallo italiano"

Ancora per una puntata (stavolta nel giusto giorno di edizione) mi permetto di annoiarvi con una lunga disquisizione sui canoni del giallo classico in calce a questo post, che mutuo, come il precedente post dal pregevole intevento del Cinese su un forum inerente il giallo del quale purtroppo non trovo più traccia grazie alla mia sbadataggine e al vizio di copiare in file testo le cose che mi interessano senza allegare il link della pagina in cui le ho lette.

Comunque prima di lasciarvi ai canoni del giallo, voglio premiare la vostra preziosa attenzione con un giallo d'archivio, addirittura con  quello che è considerato il primo giallo italiano e che per data anticipa perfino le stupende opere di Poe. Si tratta manco a farlo a posta di un romanzo ambientato a Napoli e scritto da un napoletano verace Francesco Mastriani  (Napoli 1819- 1891)  che fu autore di romanzi d'appendice di grande successo nonché drammaturgo e giornalista. 

Tutti i gialli che recensirò saranno a disposizione dei nostri lettori come ebook ma dato che non voglio crear problemi di copyright metterò il link per scaricarli solo in quelli ormai liberi dai diritti d'autore. Per ogni altro testo che desideriate sarà sufficiente che mi scriviate privatamente a esserinoebalena@email.it io vi indicherò come reperirlo. 
Un abbraccio a Tutti e se avete amici che amano il giallo fate passare la voce, che almeno non vada vana la fatica ahahha
Bobby
il primo giallo italiano lo trovate qui sotto



la trama: 
Protagonisti de “Il mio cadavere” sono quattro persone che vivono nella Napoli 1826: Daniel Fritzheim, alias Daniel De Rimini, è maestro di musica trovatello sottratto alla fame e alla morte da uno stradiere,Giacomo Fritzheim, che lo crescerà amandolo come uno dei suoi figli. Assetato di ricchezza Daniele De Rimini, però si rivelerà un mostro di irriconoscenza, mosso soprattutto  dall'ambizione; la povera Lucia che, dopo la morte dei genitori, deve sbarcare il lunario per dar da mangiare ai suoi quattro fratelli; l’avvenente e ricchissima Emma  figlia del Duca di Gonzalvo, nobile spagnolo in esilio a Napoli.Emma  è abituata a vedere gli uomini strisciare ai suoi piedi e infine  il baronetto dissoluto Edmondo. La morte di quest’ultimo porterà all’apertura di una vera e propria indagine da parte del dottor Weiss che analizzando il cadavere del povero Edmondo dimostrerà conoscenze di anatomia degne della moderna Kay Scarpetta e un fiuto da segugio infallibile. E dalla storia emergono poi questioni enigmatiche di cui verrà data soluzione durante lo svolgimento della storia: chi sono in realtà i cavalieri del firmamento? Chi è in realtà il misterioso Maurizio Barkley che sembra essere il vero artefice del complotto narrato nel denso feuilleton di Mastriani? 

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I CANONI DEL GIALLO  (a cura del CINESE)

Nel 1928 durante la cosiddetta "epoca d'oro" del romanzo giallo si sentì la necessità di stabilire un codice che fissasse le regole per creare un buon poliziesco. Fu il critico d'arte Willard Huntington Wright, meglio conosciuto come S. S. Van Dine, nel suo articolo "Venti regole per scrivere romanzi polizieschi" a dettare questi standard che generalmente sono stati seguiti sino ad oggi.

1. Il lettore deve avere le stesse possibilità del poliziotto di risolvere il mistero. Tutti gli indizi e le tracce debbono essere chiaramente elencati e descritti.
2. Non devono essere esercitati sul lettore altri sotterfugi e inganni oltre quelli che legittimamente il criminale mette in opera contro lo stesso investigatore.
3. Non ci deve essere una storia d'amore troppo interessante. Lo scopo è di condurre un criminale davanti alla Giustizia, non due innamorati all'altare.
4. Né l'investigatore né alcun altro dei poliziotti ufficiali deve mai risultare colpevole. Questo non è un buon gioco: è come offrire a qualcuno un soldone lucido per un marengo; è una falsa testimonianza.
5. Il colpevole deve essere scoperto attraverso logiche deduzioni: non per caso, o coincidenza, o non motivata confessione. Risolvere un problema criminale a codesto modo è come spedire determinatamente il lettore sopra una falsa traccia per dirgli poi che tenevate nascosto voi in una manica l'oggetto delle ricerche. Un autore che si comporti così è un semplice burlone di cattivo gusto.
6. In un romanzo poliziesco ci deve essere un poliziotto, e un poliziotto non è tale se non indaga e deduce. Il suo compito è quello di riunire gli indizi che possono condurre alla cattura di chi è colpevole del misfatto commesso nel capitolo I. Se il poliziotto non raggiunge il suo scopo attraverso un simile lavorio non ha risolto veramente il problema, come non lo ha risolto lo scolaro che va a copiare nel testo di matematica il risultato finale del problema.
7. Ci deve essere almeno un morto in un romanzo poliziesco e più il morto è morto, meglio è. Nessun delitto minore dell'assassinio è sufficiente. Trecento pagine sono troppe per una colpa minore. Il dispendio di energie del lettore dev'essere remunerato!
8. Il problema del delitto deve essere risolto con metodi strettamente naturalistici. Apprendere la verità per mezzo di scritture medianiche, sedute spiritiche, la lettura del pensiero, suggestione e magie, è assolutamente proibito. Un lettore può gareggiare con un poliziotto che ricorre a metodi razionali: se deve competere anche con il mondo degli spiriti e con la metafisica, è battuto "ab initio".
9. Ci deve essere nel romanzo un poliziotto, un solo "deduttore", un solo "deus ex machina. Mettere in scena tre, quattro, o addirittura una banda di segugi per risolvere il problema significa non soltanto disperdere l'interesse, spezzare il filo della logica, ma anche attribuirsi un antipatico vantaggio sul lettore. Se c'è più di un poliziotto, il lettore non sa più con chi sta gareggiando: sarebbe come farlo partecipare da solo a una corsa contro una staffetta.
10. Il colpevole deve essere una persona che ha avuto una parte più o meno importante nella storia, una persona cioè, che sia divenuta familiare al lettore, e lo abbia interessato.
11. I servitori non devono essere, in genere, scelti come colpevoli: si prestano a soluzioni troppo facili. Il colpevole deve essere decisamente una persona di fiducia, uno di cui non si dovrebbe mai sospettare.
12. Nel romanzo deve esserci un solo colpevole, al di là del numero degli assassinii. Ovviamente che il colpevole può essersi servito di complici, ma la colpa e l'indignazione del lettore devono ricadere su un solo cattivo.
13. Società segrete, associazioni a delinquere "et similia" non trovano posto in un vero romanzo poliziesco. Un delitto interessante è irrimediabilmente sciupato da una colpa collegiale. Certo anche al colpevole deve essere concessa una "chance": ma accordargli addirittura una società segreta è troppo. Nessun delinquente di classe accetterebbe.
14. I metodi del delinquente e i sistemi di indagine devono essere razionali e scientifici. Vanno cioè senz'altro escluse la pseudo-scienza e le astuzie puramente fantastiche, alla maniera di Jules Verne. Quando un autore ricorre a simili metodi può considerarsi evaso, dai limiti del romanzo poliziesco, negli incontrollati domini del romanzo d'avventura.
15. La soluzione del problema deve essere sempre evidente, ammesso che vi sia un lettore sufficientemente astuto per vederla subito. Se il lettore, dopo aver raggiunto il capitolo finale e la spiegazione, ripercorre il libro a ritroso, deve constatare che in un certo senso la soluzione stava davanti ai suoi occhi fin dall'inizio, che tutti gli indizi designavano il colpevole e che, se fosse stato acuto come il poliziotto, avrebbe potuto risolvere il mistero da sé, senza leggere il libro sino alla fine. Il che - inutile dirlo - capita spesso al lettore ricco d'istruzione.
16. Un romanzo poliziesco non deve contenere descrizioni troppo diffuse, pezzi di bravura letteraria, analisi psicologiche troppo insistenti, presentazioni di "atmosfera": tutte cose che non hanno vitale importanza in un romanzo di indagine poliziesca. Esse rallentano l'azione, distraggono dallo scopo principale che è: porre un problema, analizzarlo, condurlo a una conclusione positiva. Si capisce che ci deve essere quel tanto di descrizione e di studio di carattere che è necessario per dare verosimiglianza alla narrazione.
17. Un delinquente di professione non deve mai essere preso come colpevole in un romanzo poliziesco. I delitti dei banditi riguardano la polizia, non gli scrittori e i brillanti investigatori dilettanti. Un delitto veramente affascinante non può essere commesso che da un personaggio molto pio, o da una zitellona nota per le sue opere di beneficenza.
18. Il delitto, in un romanzo poliziesco, non deve mai essere avvenuto per accidente: né deve scoprirsi che si tratta di suicidio. Terminare una odissea di indagini con una soluzione così irrisoria significa truffare bellamente il fiducioso e gentile lettore.
19. I delitti nei romanzi polizieschi devono essere provocati da motivi puramente personali. Congiure internazionali ecc. appartengono a un altro genere narrativo. Una storia poliziesca deve riflettere le esperienze quotidiane del lettore, costituisce una valvola di sicurezza delle sue stesse emozioni.
20. Ed ecco infine, per concludere degnamente questo "credo", una serie di espedienti che nessuno scrittore poliziesco che si rispetti vorrà più impiegare; perché già troppo usati e ormai familiari a ogni amatore di libri polizieschi. Valersene ancora è come confessare inettitudine e mancanza di originalità:
a) scoprire il colpevole grazie al confronto di un mozzicone di sigaretta lasciata sul luogo del delitto con le sigarette fumate da uno dei sospettati;
b) il trucco della seduta spiritica contraffatta che atterrisca il colpevole e lo induca a tradirsi;
c) impronte digitali falsificate;
d) alibi creato grazie a un fantoccio;
e) cane che non abbaia e quindi rivela il fatto che il colpevole è uno della famiglia;
f) il colpevole è un gemello, oppure un parente sosia di una persona sospetta, ma innocente;
g) siringhe ipodermiche e bevande soporifere;
h) delitto commesso in una stanza chiusa, dopo che la polizia vi ha già fatto il suo ingresso;
i) associazioni di parole che rivelano la colpa;
j) alfabeti convenzionali che il poliziotto decifra.

Naturalmente seguire pedissequamente queste regole avrebbe tolto al giallo l'emozione e gli avrebbe tolto quel realismo a cui molti giallisti tendevano. Infatti Raymond Chandler nel suo famoso saggio "La semplice arte del delitto" scritto nel 1944 polemizza duramente con il romanzo poliziesco classico "riservato alle vecchie signore", perchè "il romanzo poliziesco deve essere realistico per quanto riguarda personaggi, ambiente e atmosfera. Deve trattare di persone vere in un mondo vero". Nel suo saggio Chandler loda Dashiell Hammett per per aver strappato il delitto al giardino di rose del vicario, dove lo tenevano ostaggio Agatha Christie e Dorothy Sayers, e averlo restituito ai vicoli, in "un mondo in cui i gangster possono dominare le nazioni e poco manca che governino le città".






2 commenti:

  1. Dante grazie! Questo post (e il racconto) sono utili in questi giorni con mr. Virus :-)

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