giovedì 24 aprile 2025

Fatevi i gatti vostri n. 2096 "Niente appropriazione? Allora sei n coglione"


Dopo sto lunedì di Pasqua di merda,  indove anche l'ovi puzzan di farso e sembra l'abbiano fatti cor culo tutti que farzi che ora tessan le lodi di Francesco, non trovo ancora la serenità di spirito che si converrebbe al poste infrasettimanale. 

Stamattina, dato che apriva il barre ir mi babbo, so andata a Calafuria ali scogli co Dino.  L'aria ancora un'è bellina carda come in tanti aprili che ho a memoria. S'è fatto colazione al barre omonimo lì e per pura combinazione hanno le tazzine da caffè co la scritta  caffè der doge, che rimanda a Venezia che mi manca molto e al Gato Dogie che mi manca anche di più. Ogni vorta che andavo sù da Dani mi guardava male perché aveva paura che gli fregassi il su posto sur divano. Poi quando vedeva che un avevo ntenzione di spodestallo mi si drusciava sule gambe e avviava del fusa che pareva un rasoio elettrico. 

In questa Pasqua c'è mancata anche la conzueta scorreria di Dante, mi mancano le visite frequenti di Dani e pe Holly devo fa no sforzo pe ricodammi quando è venuta l'urtima volta. 
Nemmeno Costanza se l'è sentita di fa r viaggio. Avrebbe voluto Dino lassù in Ervezzia e ci aveva suggerito di fa r viaggio nzieme, Addirittura ci faceva conzegnà na macchina dela Herze davanti al barre, noleggiandola lei da lassù. Si vede che è una che pole. Ma è sempre stata generosissima co tutti noi e quando i vaini so in mano a gente così, io so contenta. 

Comunque io dovevo sta al barre e Dino, come ar solito un aveva voglia.Sull'aiuto de mi fratelli, nisba,  Il Mosca è, come ar solito, mpaniato tra le osce di Camillina, la sorellina di Samatta che bercia quando canta e spesso anche quando un canta. Ir Tafano, Riccardo, mio gemello, ve lo ricorderete di sicuro, s'è digià messo in caccia di topa.Ll'altro giorno ha portato na francese che mi ricordava la sarciccia. No pe l'aspetto fisico eh. Su quello r mi fratello ha sempre avuto occhio e culo nel trovalle splendidamente vistose. Dicevo dela srsiccia perché era n'espressione tipica di Don Luigi quando voleva di quarcosa di sferzante su una parecchio scollacciata guasi sul volgarotto. "Eh cari miei - attaccavava cola su bella voce da sermone- ci fu uno che si interrogò sula natura dela sarciccia e arivò al concrusione che era maiale di dentro e budello di fori". 
Comunque se tra r Tafano e e la Franzé è n'accordo pe stiacciassi i pidocchi da peli der cul,o faccian loro basta che un  s'accasino.
Così al Barre siamno restatati io e Ampelio, r mi babbo, la mi mamma di là a frigge er Ciampi a dormì cola testa nascosta dal Tirreno. 
Stamattima mentre si faceva colazione e mi godevo il fatto che a fa r cappuccino fosse n'altra, gli ho detto: "Oh Dino ma com'è che un soni più?". 
"Che devo sonà affà?" mi ha risposto "oramai le so tutte a memoria". 
"Ma tanto pe esercitassi no?" Ho nzistito io e lui: 
"si e mi dovrei esercità sule marce funebri ma di sonalle all' amici un ci voglio nemmeno penza e la mia un me la posso sonà da solo perché  lo sai meglio di me 'chi spara al sole, spara a vento'." 
detto tipico di noi livornesi che rende l' 
idea di quanto sia inutile fare qualcosa di impossibile o che non avrà effetto. Poi la colazione è fenita e mentre s'era suli scogli a piglià vento Dino s'è fatto penzieroso. "O a che penzi Dino?"  gli ho chiesto. Lui è stato zitto un altro po, poi m'ha risposto "Un penzo a niente".
 "E ti ci vole tutta sta concentrazione e sto silenzio pe un penzà a na sega?" "Boiadé domandelo a monaci zenne. Pe fa r vòto mentale e ci mettan dell' anni lorolì..."
 E un me la son sentita di domandagli altro così ho guidato fino al barre, lui s'è messo a rilegge un giornale vecchio e io ho ripreso posto dietro ar banco.


Il libro recenzito oggi io non l'ho letto, mi ha scritto Bobby di avello mandato a Dani pela biblioteca ed ha aggiunto che è interessante. Speriamo, queste sono copertina e sinossi. Prima che lo legga io ci vorrà tempo ma ci proverò, è na mezza promessa.

Un abbraccio a tutti

Zanza









L’appropriazione culturale – ovvero l’uso e la rielaborazione dei saperi e patrimoni tradizionali stranieri
 per esprimere la pro¬pria identità – è da tempo un argomento rovente nel dibattito occidentale, anche perché è molto difficile stabilire dei confini netti rispetto all’appartenenza a una determinata cultura. Per i progressisti rifiutare l’appropriazione culturale vuol dire mettere in discussione la legittimità di una produzione intellettuale che si serve da padrona dei tesori altrui, quasi sempre delle minoranze. Per le destre, d’altronde, è auspicabile una logica rigorosa dell’identità culturale, complementare e necessaria alla costruzione di una identità nazionale forte. Secondo Jens Balzer ogni cultura si basa però inevitabilmente sull’appropriazione, benché ne esistano una buona e una cattiva: tutto sta nello scegliere il modo più corretto. Muovendo da Édouard Glissant e dal Black Atlantic di Paul Gilroy, passando poi dalla teoria queer di Judith Butler e tramite Gilles Deleuze e Félix Guattari, l’autore delinea con verve e spiccata abilità di-vulgativa un’etica dell’appropriazione che diventa anche il fondamento di un rapporto illuminato con la propria identità.

3 commenti:

  1. siccome mi leva sempre il commento di servizo oggi ho provato a postallo a nome mio tanto pe sapé se funziona. zzzz

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  2. Questa della salsiccia la sapevo ma non la ricordavo più. Grazie di averla citata, la rivenderò presto. Bello fare colazione sugli scogli del Tirreno. Peccato che sono a circa quattro ore se guido veloce.
    Buon 25 aprile
    Luci

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