mercoledì 30 aprile 2025

fatevi i gatti vostri 2098 "Boia dé che nvidia ....."

Sì  e mi fa n invidia leilì! Difatti dicano sia la più bella der mondo, attuarmente, 



Ma e mi fa più nvidia st'ometto poco sotto. Lui  co nvidia c'ha fatto dimorti vaini. Eccone la storia, da tené ben presente perché, oggi come oggi, le rivoluzioni so queste altro che quelle cole baricate come le sogna r Ciampi....

Il libro lo ha già passato a Dani ir su fratellone  Bobby, in questo periodo assai attivo tranne che pe scrive. Dani efficacissima come sempre lo ha già collocato ar su posto ma senza leggelo perché dice che a sentì parlà di tanti vaini gli viene il cerchio ala testa a leilì.

Bon Mercoledì 
Zanza

Il racconto definitivo della più grande azienda tecnologica dei nostri tempi. Nel giugno del 2024, trentuno anni dopo la sua fondazione al tavolino di un ristorante Denny’s, Nvidia è diventata la società con il maggior valore di mercato sul pianeta. Nel giro di quei trent’anni la piccola azienda che progettava schede grafiche per videogiochi ha conquistato il monopolio del mercato dell’hardware per l’intelligenza artificiale e, nel farlo, ha reinventato i computer. Ma il successo di Nvidia non sarebbe stato possibile senza il suo visionario CEO Jensen Huang, che più di dieci anni fa ha scommesso la sua intera azienda sul successo dell’AI. Grazie a ore di interviste con Huang, i suoi amici, i suoi investitori e i suoi dipendenti, Witt documenta da vicino l’epica ascesa di Nvidia e del suo inarrestabile leader, diventato una delle figure più influenti della Silicon Valley. “La macchina pensante” è la storia di un imprenditore determinato che ha sfidato Wall Street per portare avanti la sua visione radicale dell’informatica, diventando uno degli uomini più ricchi del mondo. È la storia di una rivoluzione nell’architettura dei computer e del piccolo gruppo di outsider che l’hanno realizzata. Ed è la storia del fantastico e terrificante mondo dell’intelligenza artificiale su cui ci stiamo affacciando. Questa è la storia dell’azienda che sta inventando il futuro.

domenica 27 aprile 2025

fatevi i gatti vostri 2097 "La pigra domenica veneziana"

Zanza ci ha appena raccontato dell' estasi del cappuccino a Calafuria. Me ne ricordo bene e ricordo anche le tazze omaggianti il Doge. Anche a me mancano Lei, Dino, Sama e le Trombanti, Nara, Ampelio e il bar Nado tutto. Ricordo come una parentesi di divertimento il periodo in cui ho fatto l'aiutobarrista. Lo scrivo così perché nella licenza di Ampelio è riportato proprio con due erre italiche, ovvero come uno che sta alla barra. Né più né meno il significato che ha bar in inglese. Certo talvolta la fatica superava quella che sperimento in barca ogni giorno. In barca si sta parte del tempo seduti, al bar mai. Lavorare con Zanza era però uno spasso e quando venivano a darci manforte Samatta o le sorelle Banti le facezie aumentavano esponenzialmente. Qui a Venezia sono calata ormai nella routine, la zia è molto concentrata sul lavoro, sui debiti molti e sui crediti, pochi. Lo zio  ormai vive su una nuvola tutta sua. Non ha perso il carattere scherzoso ma è diventato molto più parsimonioso nel parlare e per me che, fin dalla adolescenza, ero abituata alle sue affabulazioni tutto ciò appare piuttosto strano. Parte al mattino e ritorna la sera. O si ammazza di fatica o entra in periodi bui in cui alterna il mal di schiena ai problemi respiratori.  Oggi è una di quelle domeniche pigre in cui mi pesa persino alzarmi dal letto, quindi scrivo dal cellulare. Proprio pensando alla caratteristica di questa giornata, in cui ozierò con convinzione, mi è venuta in mente una lettura particolare. Non che si tratti esattamente di una novità editoriale; anzi, il libro risale ai miei fantastici, ahimè, lontani vent’anni. Lo lessi con grande divertimento perché Serena sa scrivere e divertire. Oggi lo passerò alla biblioteca di Esserino. Se lo trovate in commercio, nuovo o usato, ve lo consiglio vivamente. In ogni caso, su quel palchetto  rimarrà imperituro, a testimonianza dell’arte di una scrittrice che, anche se non scrive spesso, quando lo fa, lo fa davvero bene.

Buona giornata!

Dani




Di cosa è fatta una vita? Di domeniche pigre in cui non rispondiamo al telefono per rimanere sul divano abbracciando un libro appena iniziato. Di ore spese inutilmente a cercare le sigarette, le chiavi della macchina, gli occhiali da sole, perché si sa che spesso le cose si spostano per farci dispetto. Di pomeriggi adolescenziali passati a guardare le gocce di pioggia che rimbalzano sul vetro, sognando di sposare Mick Jagger. Di quei bomboloni sganciati da un razzo su un letto di zucchero che papà ti portava a mangiare per insegnarti i piaceri della vita. Di mattine in cui scopri allo specchio che in una notte hai preso cinque anni e non ti resta che tifare per un po’ d’indulgenza, in un Paese in cui dimostrare la propria età è più grave che fare una rapina a mano armata. Di salti della quaglia da uno schieramento a un altro nella più autentica suddivisione tra esseri umani: quella tra coppie e single. E di tutto quello che non ricordiamo più ma ogni tanto affiora dalle misteriose stanze della nostra memoria difettosa. In questi racconti che spaziano tra ricordi e riflessioni chiamando a testimoni Borges e la moglie di Tolstoj, Grace Kelly e Gaber, Simenon e la zia Leila, Ovidio e gli U2, Serena Dandini torna alla scrittura dopo “Dai diamanti non nasce niente”. “Grazie per quella volta” esplora con tenerezza, ironia e sincerità una catena di debolezze di cui andare fieri: è il tempo di autoassolverci, di fare pace con i nostri difetti imparando a conviverci tra alti e bassi.

giovedì 24 aprile 2025

Fatevi i gatti vostri n. 2096 "Niente appropriazione? Allora sei n coglione"


Dopo sto lunedì di Pasqua di merda,  indove anche l'ovi puzzan di farso e sembra l'abbiano fatti cor culo tutti que farzi che ora tessan le lodi di Francesco, non trovo ancora la serenità di spirito che si converrebbe al poste infrasettimanale. 

Stamattina, dato che apriva il barre ir mi babbo, so andata a Calafuria ali scogli co Dino.  L'aria ancora un'è bellina carda come in tanti aprili che ho a memoria. S'è fatto colazione al barre omonimo lì e per pura combinazione hanno le tazzine da caffè co la scritta  caffè der doge, che rimanda a Venezia che mi manca molto e al Gato Dogie che mi manca anche di più. Ogni vorta che andavo sù da Dani mi guardava male perché aveva paura che gli fregassi il su posto sur divano. Poi quando vedeva che un avevo ntenzione di spodestallo mi si drusciava sule gambe e avviava del fusa che pareva un rasoio elettrico. 

In questa Pasqua c'è mancata anche la conzueta scorreria di Dante, mi mancano le visite frequenti di Dani e pe Holly devo fa no sforzo pe ricodammi quando è venuta l'urtima volta. 
Nemmeno Costanza se l'è sentita di fa r viaggio. Avrebbe voluto Dino lassù in Ervezzia e ci aveva suggerito di fa r viaggio nzieme, Addirittura ci faceva conzegnà na macchina dela Herze davanti al barre, noleggiandola lei da lassù. Si vede che è una che pole. Ma è sempre stata generosissima co tutti noi e quando i vaini so in mano a gente così, io so contenta. 

Comunque io dovevo sta al barre e Dino, come ar solito un aveva voglia.Sull'aiuto de mi fratelli, nisba,  Il Mosca è, come ar solito, mpaniato tra le osce di Camillina, la sorellina di Samatta che bercia quando canta e spesso anche quando un canta. Ir Tafano, Riccardo, mio gemello, ve lo ricorderete di sicuro, s'è digià messo in caccia di topa.Ll'altro giorno ha portato na francese che mi ricordava la sarciccia. No pe l'aspetto fisico eh. Su quello r mi fratello ha sempre avuto occhio e culo nel trovalle splendidamente vistose. Dicevo dela srsiccia perché era n'espressione tipica di Don Luigi quando voleva di quarcosa di sferzante su una parecchio scollacciata guasi sul volgarotto. "Eh cari miei - attaccavava cola su bella voce da sermone- ci fu uno che si interrogò sula natura dela sarciccia e arivò al concrusione che era maiale di dentro e budello di fori". 
Comunque se tra r Tafano e e la Franzé è n'accordo pe stiacciassi i pidocchi da peli der cul,o faccian loro basta che un  s'accasino.
Così al Barre siamno restatati io e Ampelio, r mi babbo, la mi mamma di là a frigge er Ciampi a dormì cola testa nascosta dal Tirreno. 
Stamattima mentre si faceva colazione e mi godevo il fatto che a fa r cappuccino fosse n'altra, gli ho detto: "Oh Dino ma com'è che un soni più?". 
"Che devo sonà affà?" mi ha risposto "oramai le so tutte a memoria". 
"Ma tanto pe esercitassi no?" Ho nzistito io e lui: 
"si e mi dovrei esercità sule marce funebri ma di sonalle all' amici un ci voglio nemmeno penza e la mia un me la posso sonà da solo perché  lo sai meglio di me 'chi spara al sole, spara a vento'." 
detto tipico di noi livornesi che rende l' 
idea di quanto sia inutile fare qualcosa di impossibile o che non avrà effetto. Poi la colazione è fenita e mentre s'era suli scogli a piglià vento Dino s'è fatto penzieroso. "O a che penzi Dino?"  gli ho chiesto. Lui è stato zitto un altro po, poi m'ha risposto "Un penzo a niente".
 "E ti ci vole tutta sta concentrazione e sto silenzio pe un penzà a na sega?" "Boiadé domandelo a monaci zenne. Pe fa r vòto mentale e ci mettan dell' anni lorolì..."
 E un me la son sentita di domandagli altro così ho guidato fino al barre, lui s'è messo a rilegge un giornale vecchio e io ho ripreso posto dietro ar banco.


Il libro recenzito oggi io non l'ho letto, mi ha scritto Bobby di avello mandato a Dani pela biblioteca ed ha aggiunto che è interessante. Speriamo, queste sono copertina e sinossi. Prima che lo legga io ci vorrà tempo ma ci proverò, è na mezza promessa.

Un abbraccio a tutti

Zanza









L’appropriazione culturale – ovvero l’uso e la rielaborazione dei saperi e patrimoni tradizionali stranieri
 per esprimere la pro¬pria identità – è da tempo un argomento rovente nel dibattito occidentale, anche perché è molto difficile stabilire dei confini netti rispetto all’appartenenza a una determinata cultura. Per i progressisti rifiutare l’appropriazione culturale vuol dire mettere in discussione la legittimità di una produzione intellettuale che si serve da padrona dei tesori altrui, quasi sempre delle minoranze. Per le destre, d’altronde, è auspicabile una logica rigorosa dell’identità culturale, complementare e necessaria alla costruzione di una identità nazionale forte. Secondo Jens Balzer ogni cultura si basa però inevitabilmente sull’appropriazione, benché ne esistano una buona e una cattiva: tutto sta nello scegliere il modo più corretto. Muovendo da Édouard Glissant e dal Black Atlantic di Paul Gilroy, passando poi dalla teoria queer di Judith Butler e tramite Gilles Deleuze e Félix Guattari, l’autore delinea con verve e spiccata abilità di-vulgativa un’etica dell’appropriazione che diventa anche il fondamento di un rapporto illuminato con la propria identità.

martedì 22 aprile 2025

fatevi i gatti vostri 2095 "Sono sempre i migliori ad andarsene"

CIAO PAPA FRANCESCO

che i prati del Gatto Eternissimo Ti accolgano!

Siamo sicuri che riconoscerai il tuo Dio anche se ti si presentasse tigrato e gnaulante e che non lesinerai una carezza e un abbraccio  a Esserino, a Balena, a Ito e a tutti i mici che sono lassù.




la Redazione

domenica 20 aprile 2025

fatevi i gatti vostri 2094 "La storia apocrifa dela Pasqua " (raccontata da Dante nel lontano 2001)

BONA PASQUA 2025 

A TUTTI I NOSTRI LETTORI 




Ci fu dunque un tempo in cui la magia era assai diffusa tra gli uomini. 

Funzionava né più né meno come ora, filtri, pozioni e nvocazioni per ottenere che una situazione attuale non gradita a chi si rivolgeva alla magia cambiasse. 

A seconda dell'incrinazione d'animo der postulante si potevano avé risoluzioni vorte ar bene o ala malvagità. 

Cosi una che il marito un la trombava più, poteva, presempio, chiede ar mago o ala strega di turno di fagli tornà n uccello come l'aveva prima. Anzi, ove possibile, d'allungaglielo e ingrossaglielo un poinino.  Difatti a sentì leilì, coll'anni, e gli s'era smosciata la topa  da sembrà  du etti di ciccia prossima ad andàmmale. Questa era una richiesta a fin di bene. 

Qualcuna più nfame chiedeva nvece di fa stiantà tutte quelle troie che si facevan trombà dar su marito. Questa, come facilmente capirete, era finalizzata ar male. 

Ora, tra tutti i maghi der mondo, i piu famosi eran quelli del medio oriente e tra questi ce n era uno che stava facendo na carriera che pareva quella der nostro  Sinnere  nel tennisse. 

Aveva prenciapito cor mutà l'acqua n vino e poi da n acciuga e n panino aveva fatto na mortipricazione tale da facci sbuzzà di cibo tutti i su seguaci ed anche altri astanti. Guasi al culmine dela carriera aveva fatto rizzà di terra un paralitico. In quell'occasione le solite donne, co problemi coniugali, s'eran buttate a su piedi. L'avevan pregato di fa rizzà anche l'uccelli de loro mariti. Lui aveva risposto cortesemente, affermando di non èsse ghei e di un potelle accontentà. Aveva  comunque suggerito, confidenzialmente, che a vestissi un po' più da budelli e aiutandosi cole mani e cola lingua ci potevan provà anche da sole. A quelle che nvece r marito un le caava propio suggeriva di provare cor una parabola analogica di sto tipo da enunciare al marito riluttante: 

"La topa caro fava / è come la lumaca/ se si tocca fa la bava/ ma se uno non la caca/ gli fa subito le corna/  e ala fine l conto torna" 

(l'ho scritta n'italiano perché pare che Gesù la c la pronunciasse bene.

Come rota di scorta pe n'eventuale bisogna, s'era tra l'altro proposto loro Giuda dicendo: "Pe na vil moneta da un danaro, o donne, vi trombo io. Per du monete vi unto e v'apro anche l'uscio di servizio. V'assicuro che quando ci so vaini (soldi) in ballo Giuda ne tira fori dele belle". E difatti di lì a poco un si sarebbe smentito.

Fin qui tutto pareva procedere abbastanza regolarmente. C'era chi ar nostro  lo pigliava pe matto e chi gli andava dietro.

Quando però il  miracolatore, che avrete capito ormai rispondeva ar nome di Gesù, fece risuscità un morto, la notizia arivò anche ai capoccioni ebrei. Lorolì fecero subito conziglio e si dissero "sto rompicoglioni mette in discussione ir nostro potere. L'antenato di Netagnau sintetizzò: "Allora bisogna levasselo dale palle e ala sverta". Gesù venne arrestato pr iniziativa dei sommi sacerdoti e del Sinedrio, i quali pagarono Giuda perché lo tradisse. Dopo l'arresto, Gesù fu condotto prima da Anna e poi da Caifa che era r su genero e gli era succeduto nela carica di Sommo Sacerdote. Non potendo il sommo sacerdote ed il Sinedrio comminare la pena di morte, essi chiesero quindi al governatore romano Ponzio Pilato di condannare a morte il prigioniero. Non fu propio agevole convince Ponzio che quer poveraccio  era un agitatore. Ancora dovevan passa secoli prima che Benito usasse la medesima soluzione co Giacomo e senza dové cità Benito e Matteotti e a luilì  st' eliminazione di stato un gli sconfinferava troppo.  Ci penzò un poino  In fondo un gli pareva un cattivo diavolo e  aveva persino detto: "date Cesare quello che è di Cesare", lo stesso che diceva lui da sempre facendo na piccola cresta su quer che era di Cesare. Quello poi  che era di quel tal Dio, citato dal predicatore, lui un lo sapeva e comunque si trattava di quarcosa d'astratto  per cui non rompeva affatto i coglioni ale finanze di Roma. L'ebrei perà erano tanti, guadagnavano perfino sul salto dele pulci e versavan tributi ingenti nele su casse quindi un si potevano scontentà.

Ala fine gli vienze n' idea  che pareva l'avesse penzata un ministro dela giustizia d'oggigiorno.

Fece riunì tutti i ladri di Gerusalemme, tutti i ricettatori e i più nfami esseri del circondario, ricattatori, sfruttatori di prostitute, ruffiani in genere e per ciliegina sula torta vi convocò anche  tutti i maghi e sedicenti maghi co tutti i loro seguaci che ovviamente a Gesù un lo potevan sopportà. La folla un entrava nemmeno nela piazza sotto la su finestra ma era assai facile prevedenne le  ntenzioni di voto. Così quando Ponzio chiese: " Volete libero Gesù o Barabba?" guasi nessuno tranne i maghi invidiosi di lui sapeva chi fosse Gesu. Tutti nvece riconoscevano Barabba per esse uno di loro e all'unisono ne urlarono il nome spedendo Gesù direttamente n croce. Qui le testimonianze nciampicano nell'argomentare. A rigor di logica un grande mago si sarebbe smaterializzato  lasciando la croce n terra  e li sgherri romani cor un palmo di naso. Ma. come s'arrabattano a dì l'evangelisti, Gesù un poteva andà nculo ar mondo a quella maniera. Doveva morì in croce sacrificandosi pe l'umanità e lasciando ad essa il messaggio che uno bono come lui moriva pe lavare i peccati di tante merde come loro. Come se esistesse la minima prova che na merda si possa scioglie pe senzo di corpa. Ala fine come in un firme fatto dall'americani, indove dopo drammi incredibili, tutto fenisce bene, Gesù morì n croce. Dopo tre giorni, tuttavia, il sepolcro fu trovato voto perché ntervenne il babbo che ra un mago anche più grande di lui, anzi un mago immenzo dato che tutto quello che c'era sula terra e anche oltre, lo aveva creato lui. E aveva fatto r tutto n una sola settimana facendocisi anche entrà la domenica festiva. Nzomma il babbo lo resuscitò, lo messe a sedé ala su destra ammonendolo: "Occhio bimbo che co quelli laggiù un ci si pole scherzà. Io me l'ero digià levati dale palle na vorta, quando lui cacò a piedi dell'albero dela conoscenza e lei la trovo l'arcangelo cor un serpe nfilato nela topa.  ste du du caate. Stavorta hai voluto fa di testa tua e passi ma n'altra volta in croce ti ci lascio quant'è vero Iddio.  E siccome Iddio era lui e s'era autocertificato, Gesù capì e  da dumila anni s'è guardato bene dal ritornacci n terra. Guasi pe contrappasso alla marvagità dell'omini avvenne che Pietro, il primo de su discepoli fondasse la chiesa di Roma, che la chiesa formasse i su preti e che da allora chiesa e preti abbian seguitato a pigliacci tutti pel culo nella migliore tradizione evangelica.


Racconto fatto da Dante al Bar Nado nell'ormai lontano 2001. La mi mamma, sempre senzibile a queste novelle ebbe la bona sorte di registrallo e coll'aiuto del Ciampi e qualche correzione stilistica lo ripropongo, in occasione di questa Pasqua 2025, augurandovi di stare bene, sereni e di mangià questo e tantissimi altri ovi di cioccolato.


Dato che s'è parlato di magie mi pare opportuno corredare il poste odierno cola presentazione di un libro importantissimo su di essa. Da sempre fa bella mostra di sé nela biblioteca di Esserino. Quando gli fa voglia d'arzassi dall'erba del prato eternissimo, Balena entra in biblio, pronuncia le conzuete minacce all'amato fratello, poi monta senza sforzo sulo scaffale. Del resto  è il primo in basso il palchetto dove il libro, assai massiccio, è poggiato orizzontalmente. Il micione tigrato ci si sdraia sopra e  dorme sperando che in sogno gli appaia  la formula per produrre tonno con sorcio e possibilmente pe moltiplicallo.

Di novo auguri da

Zanza e da tutti i redattori del blogghe.


Una eccezionale raccolta di istruzioni pratiche le quali, se studiate ed eseguite con ogni attenzione, porteranno alla immancabile realizzazione dell’aspirante adepto. Si tratta di una selezione logica e coordinata degli insegnamenti dati dalle più grandi e profonde scuole iniziatiche. Di questa straordinaria sapienza partecipano le fondamentali nozioni della scienza magica ed esoterica: dalla cabala allo yoga, dagli insegnamenti massonici e rosacroce a quelli della Golden Dawn e di altre importanti sette segrete. L’Autore ha raccolto e disposto i vari insegnamenti in un ordine rigoroso e graduale, che permette ad ogni lettore di ferma volontà, che realmente lo desideri e si impegni nella via del sapere magico e iniziatico, di progredire e di realizzarsi. L’essere umano comprende in se stesso diversi ordini di esistenza, e l’Universo non è altro che energia in diverse forme. L’uomo può apprendere ad usare tali forze per i propri scopi, stabilendo dei collegamenti con esse e predisponendo condizioni tali che le forze stesse siano costrette a fluire nell’individuo. Il segreto sta nel divenire una cosa sola con l’Universo. Le istruzioni sono molto chiare e precise, precedute e seguite da avvertenze e spiegazioni, ed i diversi rituali sono anch’essi esposti in forma molto particolareggiata.

mercoledì 16 aprile 2025

fatevi i gatti vostri 2093 "Ariva n altro Nobelle"

Così ha annunciato il Gatto Pietro quando ha visto da lontano arrivare Mario Vargas Llosa. Esserino è saltato su come una molla. Ne aveva divorato libri interi e ne ha un bel numero archiviati nella sua biblioteca. Balena ha bofonchiato: io preferiva cuando rivavino i cochi. Intendendo cuochi, ovviamente.

E così i prati del Sinior Gato Eternisimo hanno salutato l'ingresso di Mario Vargas LLosa.



Tutti i giornali si affannano a ricordare la storia della amicizia con Marquez e da Repubblica all' Unità titolano più o meno così: (tento di riassumere le troppe pagine che si sono spese sulla vicenda) ma non voglio privare i nostri lettori di un po' di gossippe

Vargas Llosa e il Pugno che Mise Fine a un'Amicizia

Nel 1976, un evento clamoroso segnò la fine dell'amicizia tra due dei più celebri scrittori sudamericani, Mario Vargas Llosa e Gabriel García Márquez. Il 13 febbraio di quell'anno, durante un'anteprima cinematografica a Città del Messico, Vargas Llosa colpì García Márquez con un pugno, causandogli un occhio nero e una contusione al naso. Per decenni, le circostanze di questo episodio rimasero avvolte nel mistero, fino a quando nel 2007 emersero nuove informazioni e fotografie che chiarirono i motivi dietro la lite.

Il pugno fu scagliato per gelosia, come rivelato dal fotografo Rodrigo Moya, testimone dell'evento. García Márquez si presentò nel suo studio il giorno dopo l'incidente per documentare la fine della loro amicizia, che non era terminata per motivi politici, come si era sempre pensato, ma per questioni personali legate a una donna probabilmente moglie di LLosa (che Gabriel gli aveva trombato o per lo meno  si era ingegnato a farlo)

Le fotografie della lite furono pubblicate in occasione dell'ottantesimo compleanno di García Márquez, poco prima di una riconciliazione tra i due scrittori. Non ci fu bisogno di scuse pubbliche; il loro riavvicinamento fu simbolicamente segnato dalla pubblicazione di un'edizione speciale di "Cent'anni di solitudine", con una prefazione di Vargas Llosa.



Entrambi gli autori, vincitori del Premio Nobel, avevano condiviso una profonda amicizia in gioventù, ma le loro strade si erano separate a causa di divergenze politiche, in particolare riguardo al caso del poeta cubano Heberto Padilla. Vargas Llosa si era schierato contro la persecuzione di Padilla, mentre García Márquez rimase vicino al regime cubano.

L'episodio del pugno rimane comunque, con pochi dettagli certi. E' invece chiaro che la loro amicizia fu segnata da passioni e rivalità, e che entrambi gli scrittori, nel corso degli anni, hanno preso posizioni politiche sempre più distanti.

Nel corso della sua vita, Vargas Llosa ha evoluto le sue posizioni politiche, passando da un'iniziale inclinazione di sinistra a posizioni più conservatrici, candidandosi persino alla presidenza del Perù nel 1990. La sua carriera è stata caratterizzata da un continuo dibattito e da una ricerca di identità, che lo ha portato a sostenere candidati di destra in diverse elezioni.

Pasteggiato che ebbimo con queste cazzate provo a scrive quarcosa di più serio. Li ho letti e amati tutti e due anche se con una preferenza per Garcia Marquez riguardo alla sua maestria nell'impianto scenografico e per Llosa, invece, per lo stile nello scrivere. 

Per chi non li conosce ecco una più dettagliata analisi delle loro differenze:

Gabriel García Márquez e Mario Vargas Llosa, entrambi Premio Nobel per la Letteratura, condividono l'appartenenza al movimento del realismo magico, ma presentano differenze significative nel loro stile narrativo. Márquez tende a esplorare la fusione tra realtà e immaginazione, creando mondi onirici e leggendari come Macondo, mentre Llosa si concentra su narrazioni più realiste, spesso ambientate nella sua natia Perù, con una forte attenzione ai temi politici e sociali. 


Realismo Magico vs. Realismo Sociale:

Márquez è considerato il padre del realismo magico, introducendo elementi fantastici e soprannaturali in contesti quotidiani, creando un universo narrativo ricco di simbolismo e magia. Llosa, invece, predilige una narrazione più realistica, focalizzata sulla rappresentazione della società peruviana, con una forte attenzione alla politica, all'ingiustizia e alle dinamiche sociali. 

Focus narrativo:

Márquez crea mondi immaginarie, come Macondo in "Cent'anni di solitudine", che diventano simboli di intere culture e storie collettive. Llosa, invece, si concentra spesso su storie individuali, che riflettono le problematiche della società peruviana, come in "La città e i cani". 

Sintassi e lingua:

La prosa di Márquez è ricca di dettagli, descrizioni elaborate e un linguaggio poetico, mentre Llosa utilizza un linguaggio più diretto e preciso, con una sintassi più lineare, secondo Wired. 

Tempo e spazio:

Márquez utilizza il tempo in modo non lineare, spesso con riferimenti al passato e al presente, creando un flusso narrativo che si intreccia con la realtà onirica. Llosa, invece, tende a seguire un ordine cronologico più rigoroso, con una maggiore attenzione alla geografia e al contesto storico. 

Temi e messaggi:

Márquez esplora temi universali come l'amore, la solitudine, la famiglia e il destino, spesso attraverso un linguaggio metaforico e simbolico. Llosa, invece, si concentra su temi politici, sociali e culturali, come la dittatura, la corruzione e la discriminazione. 

In sintesi, mentre entrambi sono autori di grande importanza, Márquez privilegia la fusione tra realtà e fantasia, creando un universo narrativo ricco di magia e simbolismo, mentre Llosa si concentra sulla rappresentazione realistica della società peruviana e dei suoi problemi, con un linguaggio più diretto e una forte attenzione ai temi politici e sociali. 

In biblio abbiamo questi (eccone le copertine)

Bona settimana preparazione ala Pasqua

Zanza




















sabato 12 aprile 2025

Fatevi i gatti vostri n.2092 "D'una come Eudora ci s'innamora sinnò è meglio une scrive"

Tant'anni fa anch'io er Ciampino s'era un ragazzi, Quarche anno dopo si frequentava l'università. A Firenze, perché a Pisa un era propio possibile stacci per noi Livornesi. Co Dino e s'era persino riesciti ad entrà ala Normale.


Dato, però, che normali un s'era punto, un si fenì neanche r primo semestre. "Cacciati per indegnità - ebbe a commentare Dino che poi, lapidario come sempre, seguitò e concruse: " e così cari normali vi si va n culo, avvoi e a tutta Pisa" Ora l'espressione potrà aparivvi volgarotta ma mi sento di mettivi al corrente d'una realtà socio antropologica e lo faccio mutuando  dala nostra Bibbia locale, il Vernacoliere:
 

"A.Livorno il culo è una cosa molto seria.  Quasi fondativa d’un modo d’essere e di pensare. Scolpito in un proverbio: “Se ‘r mondo fosse un culo, Livorno sarebbe ‘r buo”. Ad orgogliosa ed essenziale sintesi di come un livornese concepisce il mondo e la posizione in esso occupata dalla sua città: al centro, così come il buco del culo sta nel preciso mezzo del culo stesso. Con un paragone d’ambito anale certo autosatirico ma in cui si realizza non solo uno dei caratteristici elementi della trilogia gastro-ano-genitale (mangiare, cacare, trombare) alla quale la mente e la lingua livornese (una vera e propria filosofia parlata, espressa in contenuti di fisicità essenziale e in termini perennemente e familiarmente riferiti all’ambito anatomico-sessuale) rapportano ogni dialettico confronto; ma si manifesta anche, in quel paragone, la sufficienza “culturale” con la quale i livornesi sono sempre andati in culo, per l’appunto, non solo a chi gli sta vicino (e, per ciò stesso, sui coglioni: massimamente i pisani ma spesso ce n’è pure per i lucchesi e per i fiorentini), ma anche a chiunque rappresenti un potere e principalmente un potere istituzionalmente padronale, di re o ministri o papi che si tratti. Senza disdegnare l’insofferenza anche per un sindaco che voglia regolare il traffico o per un vigile urbano col blocchetto in mano. Per quell’innata ostilità a regole e dettati che ha fatto spesso definire i livornesi come un popolaccio anarcoide e arrogante, mentre anarcoide lo era prima di diventar solo succube massa di manovra per elezioni e stadi, e l’arroganza l’ha ormai mandata anche quella in culo."

Penzo che con questa apologia der culo "verbis et factis" si possa conclude l'antefatto storico includente l'addio a Pisa e il trasferimento a Firenze.  Dino si segnò a biologia, perché interessato alla natura delli stronzi. Io andetti a lettere perché ar liceo m'avevan conzigliato così. Mi ci ruppi subito i coglioni. Sebbene fossi riescito a levammi di ulo l'esame di latino coll'osannato ma  terribile prof La Penna, mi lasciai attrarre dall indirizzo di lettere moderne. Lì ci tranzitava parecchia più topa, che ar posto dela  gobba e dell'occhiali tipici dele studiose classiche, sfoggiavan dele minigonne che ti facevano stiantà di passione. C'erano anche doverse femministe col sottanone. A lorolì  la minigonna gli sembrava n'eresia ma sebbene minacciassero di tagliaccelo ala fine avevano anche loro de vòti da empì come quell'altre. Col mi solito modo di fare restavo sule palle a parecchie ma alcune mi trovavano spontaneo e se ti trovavano spontaneo voleva dì che gliela potevi chiede. Co modi e ne tempi giusti, certo, ma n culo un ti ci mandavano. Ar più più come mi disse una diplomaticamente: "Ar momento vivo nzieme a un ragazzo ma ci sta che fra due o tre giorni mi sia venuto a noia, se hai tutto sto nteresse  che dichiari, resta ne paraggi. E così fra studio, poco, lavoro parecchio, e diverse nottate a fa lo scemo co Dino, la vita scorreva. C'erano de be seminari di letteratura angloamericana (la mi preferita) e mi ci iscrissi per tutte e quattro le annualità. Fu propio in uno di que seminari che aveva per tema tre scrittrici der sudde, ebbi la furminazione. Lessi e studiai con convinzione la Porter (Katherine Ann) e la Gordon (Caroline) ma quando prencipiai a legge Eudora Welty mi pigliò l'amore pello scrive. Ero di battuta facile all'epoca. Così, guasi ad ogni lezione, tiravo fori quarche cazzata dele mie. Ricordo che Il professore mi disse diverse volte: "Dante, te le devi scrive coteste cose sennò si pardano ed è peccato". Fu così che prencipiai a mette qurcheduno de mi bislacchi penzieri per iscritto.


Oggi mi capita tra le mani questo libro, propio di Eudora e propio dedicato a chi si cimenta collo scrive. Difatti raccconta come anche lei abbia iniziato a scrive. Spero vi garbi. Lo faccio mette come sempre in biblioteca, in cartaceo, a disposizione di  chi ha la tesserina di accesso. Ovviamente, come recitano vari avvisi sul blogghe non riceviamo alcuna percentuale da autori o editori nè dai gicanti della rete. Il nostro obbiettivo resta quello di diffondere un modestissimo contributo culturale e invitiamo sempre chi pole e chi vole  a comprare una copia  cartacea. Fatelo, se non vi è troppo scomodo, dai tanti librai italiani che hanno bisogno di sostegno in un momento difficile pela categoria. 

In chiusura una notizia che spero faccia piacere chi ci legge: 

Da questa settimana fino ala fine di maggio il blogghe presenterà due post alla settimana, uno di mercoledì e l'altro di sabato o di domenica a seconda dela disponibilità dei vari redattori. E' l'ovo di Pasqua di Esserino e Balena 


Bon uicchende


Dante 



Quali sono i dettagli nella vita di uno scrittore che formano la materia prima delle sue narrazioni? Quali suoni, colori, volti sono destinati a fissarsi sulla pagina scritta per trovare lì il loro significato più vero? Qual è, in altre parole, il rapporto che lega il vissuto, l’esperienza, la memoria con l’arte del raccontare? Eudora Welty fatto amare i suoi romanzi, prova a rispondere a questi interrogativi in un libro a metà strada fra l’autobiografia letteraria e il manuale di scrittura creativa. Ripercorrendo le tappe più luminose dell’infanzia e della giovinezza – la vita familiare e la scuola, i libri e la scoperta del mondo, fino ai primi tentativi di scrivere racconti – la Welty ricostruisce la propria formazione intellettuale e ci offre una riflessione inedita su come anche eventi apparentemente marginali possano imprimersi nella coscienza di uno scrittore, contribuendo a plasmare il suo stile e il suo immaginario; perché, come scrive l’autrice, “il nostro tempo soggettivo è spesso la cronologia propria dei racconti e dei romanzi: è il filo continuo della rivelazione”




sabato 5 aprile 2025

fatevi i gatti vostri 2091: "Sentimentale? Allora va bene per me!"

Questa l'ha comperata Bobby chiedendomi di scusarlo con tutti voi per la poca partecipazione. E' una guida molto bella che è piaciuta anche a me e alla zia Holly  che conosciamo Venezia capillarmente.  La settimana scorsa avevo promesso che  ne avrei parlato. Ve la consigliamo! Intanto la metto sotto le zampe guardiane di Esserino Gatto e, di seguito, vi mostro la copertina e la  sinossi.

Buon week end

Dani



Quante vite servono per raccontare Venezia? Sospesa tra terra e acqua, leggenda e realtà, la città è da sempre una strepitosa macchina di avventure. Filosofi illuministi, poetesse improvvisatrici, cortigiane, donne di garbo, grandi salonnières, truffatori, giocatori d’azzardo, tutti sono andati in scena a Venezia. Evocato dalla sapienza narrativa e teatrale di Luca Scarlini, ciascuno riprende qui il suo posto nello spazio e nel tempo di una mappa di relazioni, esistenze e creazioni artistiche, dando vita a percorsi stravaganti e capricciosi. Il ritmo di questa Nuova guida sentimentale di Venezia si compone tra le parole dell’autore e i disegni di Alvise Bittente, un controcanto di immagini, visioni ironiche e qualche volta parodistiche, che costella le varie tappe nei luoghi del turismo, del lavoro, del mistero e del piacere. I sestieri della città prendono le sembianze di microcosmi ribattezzati dalla fantasia dell’autore: La Vena (la via di ingresso alla città), La Giungla (la complicatissima zona tra Rialto e San Marco), Il Pozzo (il Ghetto e i suoi dintorni), La Vasca (le Zattere), L’Ombra (la Giudecca) e L’Atollo (il Lido e le isole), ognuno con i propri stili e usanze. Eclettico e fluviale, questo libro dispone all’ascolto delle voci del tempo per ritrovare lo spirito di un luogo magico in cui «l’aria, l’acqua, il fuoco e la pietra non cessano di mescolarsi e mutare, giocare ai quattro cantoni o a rincorrersi»