Nel poste scorso Zanzarina s'è buttata in una apologia della posizione di noi tutti in merito alla questione dell' omofobia. Il pezzo è escito carino perché Zanza ha talento e una lingua degna della miglior tradizione labronica. Ha rimediato anche i plausi di Martinelli e si sa che il prof. pesa anche le virgole. Che c'entrava però di tirar fori le nostre storie private e i riferimenti a Giulia che peraltro è morta? Quando avrò voglia ci scriverò un post. E'un pezzo del bar Nado che sicuramente merita ricordo ma vorrei farlo con la giusta delicatezza. Quanto alla storia della su mamma (di Zanza) e del negro, posso testimoniare che è verissima e ebbe anche un seguito da parte di Nara stessa quando Ampelio (suo marito) fu colto da una botta d'arguzia e chiosò: armeno ni si diaccia! pora topa! (almeno si rinfrescherà quella povera vagina). Lasciava sottindendere, il gàggio, che fosse stata la sua sfrenata attività amatoria ad aver spinto la moglie a desiderare un negro sì ma non particolarmente dotato. Ma Nara pronta: boia dé, popò di stronzolo che sei, l'ho detto pe non passà da troia e un fattici rimané male a te, ma se mi porta in Affrica lo sa che fo? Li metto tutti in fila e ni dò r numerino come ala mutua.
Il commento di Gatta Randagia, che ritrovo con piacere, m' ha ricordato un episodio della mi parentesi romana e visto Ito l'ho trovato, son tranquillo e mi posso dilungare, lo racconto a Gatta come saluto, e a tutti come novella della domenica.
Giocavo a biliardo proprio in fondo ala strada dove te hai dato i semi all' uccellini. C'era un club in via L. Caro pomposamente battezzato Kermesse ma per tutti i romani semplicemente Bisca. Si giocava di soldi e conoscevo quasi tutti. A giocar bene erano in diversi: Miki il barista, Sardokan che veniva da Ozieri, Pasqualino il cantante sordo che mi regalò un disco intitolato Vierno e che conservo ancora come una grande testimonianza d'affetto, altri che ricordo un po' sfumati. Talvolta veniva anche Francesco Nuti che a quell'epoca viveva un gran bel periodo e giochicciava anche a biliardo, non come nei su film ma piuttosto benino. A rivederlo ora povero Francesco una vita con dei bei soldi e dele bellissime tope ma un niè bastata, quando il tormento è di dentro è di dentro.... Mi chiamavano "er professore" non perché fossi bravissimo ma perché avendo fatto matematica conoscevo bene le geometrie dei tiri di sponda e finchè si trattava di teoria ero in grado di confutare qualsiasi cazzata che fosse stata enunciata come dogma. In pratica mi avevo buon braccio ed ero cresciuto alla scuola livornese che ha i suoi talenti ma giocavo col freno mentale di sapere quanto poco avevo in tasca e colla paura si fa male tutto. Tra i giocatori temuti a Roma c'era tale Natan detto Er Giudio che giocava in una bisca di via Marcello Provenzale, tra Torrevecchia e Primavalle. Sala biliardi che, talvolta, frequentavo anch'io per la possibilità di incrociare la stecca con gente di molto più brava di me: Felice er nonno, Massimo detto martello er Carrozza, micidiale se non lo si conosceva (era un appassionato di crittografie è me ne chiedeva sempre qualcuna ), Carletto di Val Melaina uno dei meglio bracci di Roma. Er Giudio, all' apparenza pareva battibile perché faceva un gioco misero, sotto le righe, ma attenzione ad esporsi, ti faceva vincere le prime, poi si riavvicinava, riperdeva qualcosa, recuperava e appena mollavi un pò ti assestava le stoccate che bastavano per passare in vantaggio di cassa. Da quel punto non gliele riprendevi più perché era tignosissimo e attaccato alla lira e al gioco come una cozza agli scogli. Incontrare lui e er Carozza e non sapere chi erano voleva dire lasciarci lo stipendio. Per trovare qualche pollo nuovo ogni tanto sconfinava e una volta si presento in Prati con gli occhiali da sole e una mano fasciata. Pasqualino, lo riconobbe e mi dette di gomito, io lo conoscevo, avevamo giocato un mese prima una ventina di partite, ne avevo vinte 12 io e 8 lui ma indovinate un po'? il bilancio di cassa in lieve favore suo.
Trovò il pollo in un avvocatino che faceva il praticante in uno studio sopra il bar d'angolo con Piazza Cola di Rienzo e sapevamo che tirava l'anima coi denti e la cinghia con due mani. Regola voleva di farsi i fatti propri ma ci fece pena e considerato che giocavano di una cifra che non era appetibile per nessuno tranne l'ebreo e che, nondimeno, per il giovanotto poteva rappresentare un pasto caldo, pensammo di intervenire. Fu così che una eccellente stecca trasferitasi da Montefiascone, detto er Burò (neofrancesismo per burino) si avvicinò al tavolo dove i due erano impegnati e chiese:
Scusate sapete mica se ci sta ancora lo sciopero dele forne? (a M.F. parlano con la e tant' é che fanno le corse de studio)
Natan non colse a tempo l'insidia e replicò: ma dove? io er pane l' ho trovato regolare.
E er burò: A Giudì se stai in giro tu..... intenno l'antre de forne... l'antre..... (per i nordici: intendo quegli altri di forni - i crematori)
E al povero ebreo non rimase che commentare: Grazie signori grazie per questo stupendo esercizio di gestione de li cazzi vostri, me ne vado, ma pure voi ve ne dovete annà
vene dovete annà tutti ....
AFFANCULOOOOOOOOOOOO .
A presto
Dante