domenica 22 giugno 2025

fatevi i gatti vostri n. 2020 " A Venezia e si pole andà anche al mare e si pole"

Gira e rigira risiamo ala domenica.  Io cerco di dà un senzo a quest'estate notando e andando in canoa. So dimagrito sette e otto chili e vorrei rifà un po' d'addominali e di dorzali. No pe m ostralli perché oramai a luglio fenisco 71 anni ed entro ner mi 72esimo e a esibissi c'è da passà pe ricoli. L'obbiettivo sarebbe quello di dà un sostegno migliore ala colonna vertebrale ma senza sforzalla troppo. La canoa è ideale perché richiede la contrazione dell' addominali e anche dele semirotazioni su un fianco e su quell'altro. A notà me la cavo ancora benissimo ma colo stile libero mi indolenzisco e allora mi impegno in chilometrate a dorzo e quando mi rompo coglioni vo a rana. Dican tutti che andà ar mare a Venezia e come volé andà da Roma a Ostia di sabato d'estate. V'assicuro che un'è così. Io piglio il vaporetto n. 6 e in mezz'ora mi porta al Lido. Il Lido sa di mare appena arrivi. Di qua c'è la laguna e di la l'Adriatico. La spiaggia è bella e grandissima. Il mare è quel che è ma mica lo devo beve, per notacci dentro m'avanza. L'unico problema per me è il chilometro abbondante che separa l'approdo del vaporetto dala prima spiaggia libera utile, quella del vecchio ospedale. Mezzo chilometro  di gran viale, bello co tanti alberghi e boni barri che spandano l'odore di briosce e di bomboloni, e poi na secentina di metri di lungomare. Co mi problemi di mobilità, a piedi un ce la fo ma ho allestito una biciclettina pieghevole tipo Graziella alla quale ho messo le rote d'una bici da bambini. Resulta abbastanza piccina e nzaccabile in un borzone. Peserebbe un po' a portalla a mano ma la metto su un carrellino che ho ricavato da una borza co rote pella spesa al supermercato. Messa in quel modo sul vaporetto mi ci fanno salì e appena al Lido la monto e via ala spiaggia. La rottura di coglioni è che al ritorno la devo rismontà e rimette nela borza ma si pole fa. Ho fatto così fino all'altro ieri quando, in un campo vicino al mi campere, ho trovato il telaio d'una bici molto vecchia buttata via. La forcella e i pedalì c'erano. Gli ho messo un manuvrio che mi pareva adatto, na sella che un offendesse r culo, catena e rote sempre ricavando r tutto da materiale di recupero che ho nela mi officinetta . Un credo sia troppo appetibile.


Poi, il giorno dopo, di buzzo bono, ho pedalato fino al ferribotte sul quale cor un euro e mezzo, oltre a quello dela perzona si pole portà na bici ntera. Così dopo la spiaggia l'ho legata nel parcheggio bici davanti all' approdi e ora la mattina devo solo piglià il sei e scioglie la catena appena arrivo. Se un la rubano è na cosa fantastica. Come capirete oramai mi contento di poco e se le emozioni dela vita so queste un è difficile conzeguille.

Come recenzione oggi presento r Cacciatore. Serie dela quale perora ho visto solo 3 puntate. M'affido quindi a commenti più autorevoli de mii.

Bon uicchende


Dante




Articolo a cura di Paolo di Marcelli su everyeye.it

 19/04/2020


Ok, è prodotta da Rai Fiction, ma Il cacciatore ha i toni, le atmosfere, il ritmo, ma soprattutto la qualità delle migliori serie americane. Ci sono due pregiudizi da vincere prima di mettersi comodi e affrontare le venti puntate dirette da Stefano Lodovichi e Davide Marengo: il primo è credere che la Rai continui a rivolgersi esclusivamente a un pubblico di anziani, il secondo è scommettere che della lotta alla mafia abbiamo visto già tutto. Si potrebbe pensare, in aggiunta, che siccome negli ultimi anni il racconto della criminalità organizzata ha avuto molto più successo, di pubblico e critica, se filtrato dal punto di vista dei cattivi (vedere il successo di Gomorra), allora un ritorno dei buoni come protagonisti non promette niente di buono. Siamo felici di constatare, invece, che entrambe le stagioni, da poco disponibili su Amazon Prime Video, presentano dei sorprendenti elementi di novità rispetto al genere, e una cura per i dettagli tipica del cinema più appassionato, che fanno de Il Cacciatore un evento televisivo imperdibile.


Una storia vera

Tutti, più o meno, conosciamo la cosiddetta stagione delle stragi di Cosa Nostra, culminata con gli omicidi di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli uomini della scorta. Erano gli anni del maxiprocesso, che per la prima volta diede un volto e un nome alla mafia, e un pezzo di Storia narrato molte volte al cinema e in tv. Sappiamo, ovviamente, che dopo quelle tragedie lo Stato reagì, cercando con ogni mezzo i mandanti delle bombe e tutti i latitanti ancora in libertà. Quello che non sappiamo, o di cui abbiamo solo una vaga idea, è cosa successe nel dettaglio, quali furono le forze contrapposte e gli esiti di una vera e propria guerra. Il cacciatore racconta proprio questo, ovvero la lotta serrata ai mafiosi all'indomani della morte dei due giudici di Palermo. Lo spunto è tratto da Il Cacciatore di mafiosi, libro di memorie di un pubblico ministero, Alfonso Sabella, coinvolto in prima persona in quel periodo tanto complicato quanto glorioso.


Contro la mafia, per la prima volta, un antieroe

Francesco Montanari ha fatto tanto cinema e tv. La prima interpretazione che viene in mente, tuttavia, è senza dubbio quella del Libanese in Romanzo Criminale - La serie, diretta da Stefano Sollima. In quell'occasione fu strepitoso nell'incarnare l'astro nascente della malavita romana esprimendo al meglio una smisurata fame di potere. Sembra che Lodovichi e Marengo si siano ricordati di quel sorriso insolente, di quel modo di fare ingordo e arrogante per scegliere chi avrebbe interpretato l'egocentrico, spregiudicato e spericolato Saverio Barone, nome di fantasia del PM protagonista de Il cacciatore. Per la prima volta, a combattere la mafia, non troviamo un eroe senza macchia, un "buono" mosso esclusivamente dall'amore per la legalità, ma un uomo intenzionato prima di tutto a fare carriera, costi quel che costi, per dimostrare a tutti di essere il migliore. Tant'è che, e non si tratta di uno spoiler, quando alla fine del pilota gli viene proposto di combattere la criminalità organizzata, la prima risposta che dà è negativa, confessando di "non essere nato" per quel tipo di imprese. L'interpretazione di Barone è valsa a Montanari il premio come miglior attore al Canneseries, neonato concorso internazionale rivolto al meglio della serialità internazionale.

Prima ancora di un poliziesco, una storia su carriera e lavoro

Il cacciatore "diventa", quindi, un poliziesco incentrato sulla guerra alla mafia, ma comincia, innanzitutto, come una storia su i conflitti legati al desiderio di fare carriera a tutti i costi e, a ben vedere, uno spaccato sulle dinamiche d'ufficio.Anticonvenzionale, se pensiamo che l'ambiente di lavoro è quello delicato, e prima d'oggi raccontato senza ombre, di un pool antimafia.

Oltre alle vicende che riguardano direttamente il protagonista, che con i suoi metodi prevaricatori si guadagna il rancore di tutti, compreso quello della sua compagna (Miriam Dalmazio), la serie mostra da vicino cosa significhi mettere in piedi un'indagine, coordinarsi con le forze dell'ordine, spartirsi gli obiettivi da catturare nel rispetto di regole e procedure raccontando le stesse invidie, incomprensioni, colpi bassi, trionfi, delusioni e routine di un lavoro qualsiasi.


Una veste accattivante e cinematografica

Ci sono delle ridondanze (qualche flashback esistenziale di troppo, nel bosco, in cui un giovane Saverio impara a cacciare); alcuni passaggi non sono messi a fuoco come dovrebbero, specie nella seconda stagione. A volte i dialoghi, in particolare quelli tra Montanari e la Dalmazio, soffrono qualche leggerezza e il ritratto dei mafiosi poteva risultare più realistico e brutale. Tuttavia il risultato è migliore della somma delle parti perché Silvia Ebreul e Marcello Izzo scrivono un arco narrativo efficace non solo dell'intera vicenda ma di tutti i personaggi principali. E sono tanti. Bagarella (David Coco), sua moglie Vincenzina (la splendida Roberta Caronia), Toni (Paolo Briguglia), e poi Giovanni ed Enzo Brusca (Edoardo Pesce ed Enzo Praticò), Giada (Miriam Dalmazio) e ovviamente Barone e il collega Mazza (Francesco Foti, grazie al quale Il cacciatore assomiglia anche a un buddy cop movie) rappresentano un universo variegato e credibile di umanità, crudeltà e aspirazioni, il cuore vero della serie. La fotografia di Davide Manca non sbaglia un colpo e i due registi sono capaci di virtuosismi inaspettati (alcune scene di suspense e d'azione sono mozzafiato) e sfumature da grande cinema. Soprattutto, oltre alla coolness di un ottimo cast pensato per un pubblico giovane e che speriamo serva a consacrare più di un talento, il Cacciatore vince la sfida di indovinare un taglio internazionale e allo stesso tempo di conservare il meglio della fiction all'italiana, quella che sa mettere in scena, coniugando immedesimazione e nostalgia come nel caso de L'amica geniale, gli scenari, la Storia, i difetti, le virtù e i caratteri tipici del Paese.





domenica 15 giugno 2025

fatevi i gatti vostri 2019 "Schiavone pell'ombrellone"

Come avrete visto è oramai fenito  il periodell'ovo di Pasqua. Prolungatosi grazie alla generosita delle nostre redattrici è stato caratterizzato da du poste ala settimana. Col gran caldo estivo siamo tornati alla conzueta ritmicità. Oggi le donne so tutte al mare e m'han chiesto di provvedé ala pubbricazione. Magari raccontando quarcosa in merito a come devasto r mi tempo. Prencipiamo da lì:

A dire il vero, la totale mancanza dela primavera, le piogge esagerate di maggio e ora il repentino arrivo d'una calura da stiantà m'hanno parecchio destabilizzato. Idee n'avevo tante: volevo fa, forze, la mi urtima vogalonga ma un mi sentivo bene. Ho prencipiato a costruì n'appendice n legno ar mi famigerato bocchise di lamiera. In quer box d'una quindicina di metri quadri sta tutta la mi poliofficina. E' laggiù  a Malcontenta, dove sta parcheggiato il vecchio camper Ford compagno di tante avventure. Ancora devo finì sta prolunga e dubito di faccela entro fine mese. Sono riescito a fa passà la revisione al camper e ho sistemato le cose meccaniche e di carrozzeria che potevo fa da solo. Didentro ora è tutto in ordine e luilì ha una gran voglia di movessi ma chi lo deve guidà un s'è ancora mosso. Co' dolori so arrivato all'ossicodone pe terapia ma lo piglio solo quando propio un ce la fo più. Ne momenti di riposo guardo le serie tv di tipo poliziesco, perché la televisione co guerre e omicidi veri in prima pagina, ogni giorno, un riesco più a seguilla.

Oggi ho fenito di vedé la sesta e, perora ultima, stagione di Rocco Schiavone, il vicequestore romano esiliato ad Aosta e interpretato da un eccellente Marco Giallini.

In questo ruolo lui, a parer mio, è bravissimo e regge tutta la baracca. Il resto è così così ma il resultato finale è accettabilissimo ed ho salvato i files di raiplay pella videoteca di Esserino. Potrebbe esse un diverzivo ala settimana Enimmistica pe fa quarcosa sotto all'ombrellone se avete la fortuna di mette le chiappe ar sole anche quest'anno.

Pe na recenzione più approfondita dela mia rimando a questa di Michele Corrado, comparza su   onda cinema (https://www.ondacinema.it/serial/recensione/rocco-schiavone.html)

Bona Domenica

Dante



Rocco Schiavone

di Antonio Manzini

recensione di Michele Corrado

La serie che sin dalla prima messa in onda del 2016 ha affezionato milioni di telespettatori e rinfrescato il panorama asfittico delle fiction Rai, rimanendo però ben lontana dal rappresentare una vera rivoluzione

C’è una scena dall’impatto fortemente iconico nella prima puntata di “Rocco Schiavone”. Anzi, più che di una vera e propria scena, si tratta di una semplice ripresa del protagonista. Siamo nei pressi di uno snodo autostradale nei pressi di Aosta, sta albeggiando e sul ciglio della strada il vicequestore Rocco Schiavone, con la faccia di bronzo di Marco Giallini, imbraccia un kalashnikov e si fuma una lunga canna di marjuana. A grandi boccate.

Rewind. Coadiuvato da un manipolo di criminali, suoi amici d’infanzia, il vicequestore di Aosta ha appena fermato un tir contenente marjuana, armi di contrabbando e un numeroso gruppo di immigrati illegali provenienti dall’Africa centrale. Dopo aver requisito il carico, Rocco ne ha reso una parte ai suoi amici criminali, del resto non mancherà di aiutarli in numerose occasioni, e ha lasciato invece che gli immigrati raggiungano la loro destinazione.

Braccio un po’ violento della legge, all’occorrenza bandito, sorta Robin Hood postmoderno, il personaggio nato dalla penna di Antonio Manzini (i romanzi dai quali è ispirata la serie sono editi da Sellerio) è una figura iconoclasta, un ceffo che proprio non ti aspetteresti di incontrare in prima serata sulla Rai. Già solo per questo, per la forza anticonformista del suo protagonista, “Rocco Schiavone” rappresenta uno strappo deciso, per certi versi violento, alla fiction Rai classica. Proprio per questa stessa ragione, risulta però anche l’occasione in parte perduta, da parte dell’emittente pubblica nazionale, di realizzare un prodotto davvero riuscito e originale, se non addirittura rivoluzionario. Con le smorfie della sua faccia segnata dalle rughe, con l’inconfondibile parlata romanesca e i modi bruschi di chi soffre regole e protocolli più di ogni altra cosa, Giallini ha dato vita a un personaggio magnetico e stratificato. Al poliziotto insofferente all’autorità, al capo che spesso e volentieri bullizza i suoi sottoposti, corrisponde però un animo tormentato e romantico, che patisce il distaccamento dalla terra natìa, incapace com’è di sentirsi a casa in un’Aosta che vive quasi come un esilio, e intollerante alle ingiustizie, siano esse perpetrate da un “infame” o dallo stato che rappresenta. Ad angustiare più di ogni altra cosa Rocco è però Marina, l’adorata moglie rimasta uccisa tra le sue braccia dagli spari di un criminale in cerca di vendetta. Interpretata dalla suadente Isabella Ragonese (e a partire dalla quinta stagione da Miriam Dalmazio), la donna appare a Rocco nei momenti di sconforto e solitudine. È un fantasma amorevole, ma allo stesso tempo impedisce al vicequestore corroso dai sensi di colpa di voltare pagina.



Un personaggio del genere, e la sua interpretazione da parte di Giallini, avrebbero meritato una messinscena e una cifra stilistica all’altezza, che invece non sono pervenute, se non a sparuti sprazzi. Impedendo così al risultato finale di andare oltre la mera piacevolezza. Il personaggio Rocco Schiavone è troppo potente per la regia ordinaria, da fiction Rai verrebbe per l’appunto da dire, dei vari Soavi, Manfredonia e Spada e per un linguaggio televisivo in fin dei conti conformista. Finisce così per cannibalizzare tutto quello che lo circonda, per sovrastare ad esempio i pur interessanti gialli che il vicequestore e la sua squadra devono risolvere di episodio in episodio. Neanche la presenza dello stesso Manzini in sede di sceneggiatura è riuscita a circoscrivere la problematica.  A catalizzare l’attenzione di chi guarda non sono dunque i fatti, piuttosto le azioni, le reazioni e le metodiche del protagonista a essi.

Non aiuta una fotografia impersonale che riesce soltanto in alcuni frangenti a trasformare la nevosa Aosta in un luogo dell’anima, indugiando invece nelle solite inquadrature delle cime innevate e del teatro romano viste in mille pubblicità turistiche patrocinate dalla regione. Le cose vanno ancora peggio quando la produzione tenta sotterfugi abusati come l’inframezzo onirico dell’incontro tra Schiavone e Marina durante il proverbiale stato di incoscienza del poliziotto ferito, che finisce col risultare estremamente posticcio e amatoriale.

L’unico elemento di “Rocco Schiavone” che sembra anelare a una cifra stilistica propria e definita è la colonna sonora di Corrado Carosio e Pierangelo Fornaro che punta su struggenti linee blues di chitarra in linea con la ruvidità del protagonista. Del resto, i titoli di testa sono accompagnati dalla voce e la chitarra del bluesman londinese Duke Garwood – insieme a Mark Lanegan tra i cantautori preferiti di Giallini. La colonna sonora poteva però essere parte di un disegno stilistico più grande, come accadeva ad esempio ai motivi poliziotteschi de “L’ispettore Coliandro”, tanto per usare un paragone di casa Rai, che insieme ai personaggi fumettosi e le storie stravaganti ne hanno fatto una delle serie più originali della recente storia seriale italiana. Probabilmente a “Rocco Schiavone” è mancato dunque un retroscena autoriale, che invece due fini autori di film di genere come i Manetti Bros hanno potuto conferire alla serie dedicata allo stralunato poliziotto bolognese.

L’ombra lunga del vicequestore giganteggia per carisma e spessore anche su tutti i personaggi su cui si staglia. Una rosa che, pur variegata, raramente supera lo steccato dello stereotipo. La squadra di Rocco è difatti composta da veri e propri archetipi della commedia all’Italiana. C’è il “tonto” D’Intino (Christian Ginepro), lo sveglio e “sciupafemmine” Scipioni (Fabio La Fata), l’eccentrico medico legale Fumagalli (Massimo Reale), l’ombroso incline a smarrirsi Italo (Ernesto D’Argenio) e il dolce e riflessivo Casella (Gino Nardella) – tutti personaggi dei quali sarebbe un esercizio facile trovare il corrispondente in altre serie italiane similari, a partire ovviamente da “Il commissario Montalbano”.

Non va meglio se spostiamo la lente sulle numerose fiamme che nel corso delle stagioni cascano tra le braccia del tenebroso poliziotto, praticamente una serie di figurine, ciascuna egualmente inefficace nel suo ruolo di scaccia-fantasma (di Marina) di turno. Anche qui parliamo di caratterizzazioni tagliate con l’accetta, come la talpa suo malgrado Caterina (Claudia Vismara) o la ricca ereditiera che si riscatta facendo la giornalista d’assalto Sandra (Valeria Solarino). È invece foriero delle gag più divertenti e scorrette il trio di amici d’infanzia criminali di Rocco, i romanacci Sebastiano (Francesco Acquaroli), Brizio (Tullio Sorrentino) e Furio (Mirko Frezza).

Nel corso delle 6 stagioni  “Rocco Schiavone” è riuscita a diventare uno dei prodotti più seguiti della televisione nazionale, allargando il suo raggio di interesse anche verso frange di pubblico più esigenti. Proprio per la libertà che solo un pubblico altamente affezionato garantisce, la sensazione è che la produzione avrebbe potuto osare molto di più.

La serie rimane comunque un prodotto superiore alla media della fiction nostrana, che sia grazie alle trame gialle dei singoli episodi che al plot noir che la percorre per l’intera durata (la faida tra Schiavone e i fratelli Baiocchi), porta in prima serata Rai tematiche importanti come la ludopatia, la solitudine, l’elaborazione del lutto e la nostalgia del nido. Il tutto con un discreto ritmo e una bilanciata alternanza tra momenti mistery e divertenti gag.

sabato 7 giugno 2025

Fatevi i gatti vostri 2018 "Meglio provà cole streghe che sta a fassi le seghe" by zzzzz

Sto poste lo dedico a due che si sentan ganzi e che l'altro ieri al barre, mentre io Sama e le trombanti si chiaccherava tra noi, si so nfilati nel discorzo senza nvito.

Si ragionava dele varie ordinanze per cui un si pole girà in costume da bagno in paese. A dì la verità un c'era discussione perché noi quattro co differenti argomenti si sosteneva tutte  più o meno la medesima tesi.

"O che c'è di male se una camina in costume da bagno pela strada?" Aveva esordito Samatta, proseguendo poi: "E pole esse na cosa più o meno elegante ma un siamo mica n una contrada slamica un siamo". 

"Boia dé- rinforzava la trombante maior - giù dal muretto da perizzomi che ci sò esposti e pare d'esse n'un campo di mele mature e a sentì loro r culo gnudo n ispiaggia sì e n du pezzi pe la strada no!".

" Allora com'è? bisogna arza n muro perché sinnò come si fa a un vedelle - ripigliava la su sorella - quando nvece pela strada  a vorte ne so a giro arcune cor un vestito tanto  trasparente che si vedan bene la topa er buo der culo. Ntendiamoci se voglian mostrà io un mi scandalizzo davvero  ma se io mi so scordata di comprà le sigarette e vengo su n bikini e mi fanno la murta m'incazzo di brutto!"

"Sì la libertà è na bella cosa e tutto quer che la limita m'indispone- sostenevo io- anzi a me sto senzo dela decenza mi sembra na misura pe protegge no r pudore ma i complessati"

A sto punto uno de du ganzi, che finallora avevan meritato quarche nostra occhiatella perché brutti un eran davvero, sarta su e co na strafottenza da sputagli ner caffé dice la sua:

"Voi quattro e ci potete andà anche gnude pe la strada tanto a chi gli nteressano quattro streghe attempatelle come voi?"

Forze "streghe" ci poteva anche sembrà un comprimento. Ma sentissi dà dell' attempatelle da du torzoli che a fa tanto potevano avé du o tre anni meno di noi, c'ha dato un po' noia, lo ammettiamo. 

Così sto poste lo scrivo per loro e che r titolo gli sia di monito perché se seguitano co sto stile gli verrà r gomito der tennista a forza di  andà la mano  nzùengiù

Per voi nvece presento sta guida dove, tra le streghe d'Italia, ci siamo anche noi ma non vogliamo sciupare la sorpresa dicendo indove siamo allocate pe organizzà i nostri sabbi.

Bon weekend

Zanza



Un viaggio tra i borghi, le valli e le foreste incantate che hanno ospitato i raduni delle streghe. Questi vengono rievocati insieme alla caccia alle streghe, che fece dell’herbara un’entità malefica legata al demonio, e all’eredità pagana, i cui simboli resistettero all’avvento del cristianesimo e ai tentativi dell’Inquisizione di cancellarli. Regione per regione, l’autore narra le leggende e le tradizioni che fecero di queste zone la dimora preferita di maghe e fattucchiere e offre al lettore, grazie a mappe, indirizzi e consigli pratici, gli strumenti per organizzare veri e propri itinerari magici tra i sentieri di campagna e gli anfratti nascosti del territorio italiano, in cui guaritrici e sciamane raccoglievano le erbe medicamentose e officiavano i sacri riti in onore dei loro dèi.