lunedì 12 gennaio 2015

fatevi i gatti vostri n. 612 "tanta roba interessante da leggere"

ATTENZIONE  IN QUESTO POST CI SONO  UN SACCO DI LIBI INTERESSANTISSIMI
SULLA SITUAZIONE ECONOMICA GLOBALE CON ATTENTE ANALISI ASSOLUTAMENTE NON CONVENZIONALI. SCORRETE BENE FINO IN FONDO, TRA IL TESTO MAGARI PESANTUCCIO MA ATTUALE, CI SONO TANTI LINKS DI LIBRI DI LATOUCHE,CHE ABBIAMO TROVATO IN SITI DEDICATI. POTETE SCARICARLI A PIACERE. QUELLI CHE IN BASE AL RISPETTIVO REPORT VI PIACCIONO DI PIU' O ANCHE TUTTI.

Leggere è informarsi anche su temi ostici è un modo di difendersi e di lottare contro i servi cialtroni del capitalismo e del consumismo.

Esserino Gatto preoccupato dalle sorti del mondo


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SERGE LATOUCHE 
Serge Latouche (Vannes, 12 gennaio 1940) è un economista e filosofo francese. 
È uno degli animatori della Revue du MAUSS, presidente dell'associazione «La ligne d'horizon», è professore emerito di Scienze economiche all'Università di Parigi XI e all'Institut d'études du developpement économique et social (IEDES) di Parigi.
Conosciuto per i suoi lavori di antropologia economica, Serge Latouche critica il concetto di economia intesa in modo formale, ossia come attività di mera scelta tra mezzi scarsi per poter raggiungere un fine. Rifacendosi in tal senso al pensiero di Karl Polanyi egli mira a proporre nelle sue opere il concetto dell'economico, rifacendosi alla definizione di economia sostanziale, intesa come attività in grado di fornire i mezzi materiali per il soddisfacimento dei bisogni delle persone.
Critica, attraverso argomentazioni teoriche e con un approccio empirico comprensivo di numerosi esempi, il concetto di sviluppo e le nozioni di razionalità ed efficacia economica. Queste infatti appartengono ad una visione del mondo che mette al primo posto il fattore economico; per Latouche invece si tratta di "far uscire il martello economico dalla testa", cioè di decolonizzare l'immaginario occidentale, che è stato colonizzato dall'economicismo sviluppista. In questo quadro egli critica anche il cosiddetto "sviluppo sostenibile", espressione che a prima vista suona bene, ma che in realtà è profondamente contraddittoria, e rappresenta un tentativo estremo di far sopravvivere lo sviluppo, cioè la crescita economica, facendo credere che da essa dipenda il benessere dei popoli. I numerosi testi di Latouche invece evidenziano che i maggiori problemi ambientali e sociali del nostro tempo sono dovuti proprio alla crescita ed ai suoi effetti collaterali; di qui l'urgenza di una strategia di decrescita, incentrata sulla sobrietà, sul senso del limite, sulle "8 R" (riciclare, riutilizzare ecc.) per tentare di rispondere alle gravi emergenze del presente.
Nemico del consumismo e della razionalità strumentale, Latouche è un intellettuale che presenta tratti assai personali ed è stato introdotto nel dibattito italiano da gruppi culturali sia della destra radicale che della sinistra antagonista.[6]
Latouche è uno dei critici più acuti della ideologia universalista dalle connotazioni utilitariste: rifacendosi anche alle concezioni di Marcel Mauss e di Ivan Illich, rivendica la liberazione della società occidentale dalla dimensione universale economicista.
A coloro che nel mondo contemporaneo mettono in discussione la prospettiva universalista, cioè la pretesa della civiltà occidentale di imporre a tutto il mondo una serie di valori considerati validi per tutto il genere umano si obietta d'altra parte che criticando l'universalismo, si può finire nel relativismo e nel particolarismo. Non è stato forse il particolarismo, inteso come l'esaltazione delle culture particolari quello che spesso ha generato divisioni e lotte in nome di una ristretta, egoistica, visione della propria identità? 
Latouche ribalta questa accusa addossandola proprio all'universalismo che non è altro che una creazione ideologica occidentale, di un occidente che in nome della propria identità, dell'identità della tribù occidentale, come dice Rino Genovese, pretende d'imporre un imperialismo culturale al resto del mondo. 
Contro l'universalismo Latouche rivendica invece la necessità di « valorizzare l’aspirazione a un dialogo fra le culture, a una coesistenza delle culture. Per questo alla prospettiva dell’universalismo [opponendo] piuttosto un "universalismo plurale," che consiste nel riconoscimento e nella coesistenza di una diversità, e nel dialogo fra queste diversità. » 
Il suo pensiero trova riscontro in Italia nel movimento per la decrescita felice fondato da Maurizio Pallante.
Breve trattato sulla decrescita serena 
http://www.datafilehost.com/d/44f5efe8 
La decrescita - sostiene l'autore - non è la crescita negativa. Sarebbe meglio parlare di "acrescita", così come si parla di ateismo. D'altra parte, si tratta proprio dell'abbandono di una fede o di una religione (quella dell'economia, del progresso e dello sviluppo). Se è ormai riconosciuto che il perseguimento indefinito della crescita è incompatibile con un pianeta finito, le conseguenze (produrre meno e consumare meno) sono invece ben lungi dall'essere accettate. Ma se non vi sarà un'inversione di rotta, ci attende una catastrofe ecologica e umana. Siamo ancora in tempo per immaginare, serenamente, un sistema basato su un'altra logica: quella di una "società di decrescita".
Sfidare i limiti è l'imperativo del nostro tempo. Forzare il possibile, passare il segno, trasgredire in senso etimologico. Destino paradossale, quello delle parole. In nome della trasgressione appena ieri ci si faceva beffe dei divieti imposti per via autoritaria e del perbenismo, si aspirava all'equità sociale. Secoli prima, grandi movimenti di pensiero avevano ingaggiato battaglia con i valori tramandati, e inaugurato così la modernità. Ma l'"andare oltre" di oggi è l'emblema del dominio, perché si annida in un modello di sviluppo planetario che rispetta una sola regola: ignorare ogni confine naturale, geopolitico, etico, antropologico e simbolico, assimilandone l'idea stessa a remora passatista di cui liberarsi per aprire ai mercati. Il peccato di dismisura, sanzionato con severità dagli antichi, si è rovesciato in precetto; il furore prometeico ha sopravanzato lo spirito di sovversione. Serge Latouche non ci sta. Da anni elabora il progetto di un'alternativa praticabile al binomio crescita-illimitatezza. Si chiama decrescita e il suo concetto strategico è limite. Sinonimo di privazione in una prospettiva sviluppista, il limite appare qui come il vero punto di forza che può trattenerci dal baratro. Alla tracotanza autodistruttiva dell'universalismo liberoscambista e alla pervasività delle sue invarianti culturali, Latouche contrappone le eco-compatibilità, le sovranità circoscritte, le identità plurali, i legami che creano società.
L'occidentalizzazione del mondo 
http://www.datafilehost.com/d/0b874158 
Nel corso della guerra del Golfo, i proclami che annunciavano solennemente l'instaurazione del "Nuovo Ordine Internazionale", coi pieni poteri assunti dal "governo mondiale", si sono alternati e intrecciati ad accorati appelli a schierarsi senza esitazioni "a fianco dell'Europa e dell'Occidente" (così, ad esempio in un manifesto, firmato in Italia, da personalità e intellettuali come Randolfo Pacciardi, Salvatore Valitutti, Domenico Fisichella ecc.). E il pathos dell'Occidente che si erge a interprete privilegiato o unico dell'universalità e della Civiltà è il tratto caratteristico non solo della belle époque colonialista ma della storia dell'Europa (e degli Usa) nel suo complesso: è questo il punto di partenza di un libro, pubblicato prima della crociata antiirakena, ma la cui lettura risulta tanto più stimolante in un momento in cui il trionfo militare e politico dell'Occidente sembra aver prodotto un'ebbrezza, anzi una vera e propria ubriacatura etnocentrica che mal sopporta voci critiche o autocritiche. 
L'analisi di Latouche è impietosa. La marcia trionfale dell'Occidente è scandita dal genocidio e dall'etnocidio: "Le società tradizionali allergiche ai valori dei bianchi sono puramente e semplicemente eliminate mediante sterminio o deperimento 'naturale'". Le tecniche consolatorie tradizionalmente messe in atto per garantire ai vincitori la buona coscienza vengono efficacemente smontate dal libro che stiamo esaminando. Nonostante le sue pretese universalistiche, l'Occidente non ha affatto superato l'etnocentrismo e spesso dimentica che i suoi "rituali di violenza e di sterminio... sono almeno altrettanto ignobili che quelli dei 'selvaggi', dal momento che le torture e i genocidi attuali superano per la barbarie la festa cannibalica degli indiani tupinamba o i sacrifici umani degli aztechi, e persino gli autodafé degli eretici del passato". La barbarie dei paesi e dei popoli messi a ferro e fuoco è l'argomento costante a cui si sono richiamati i conquistatori che si ergono oggi a campioni della lotta contro il "dispotismo" come ieri, ai tempi di Colombo, contro l'"antropofagia". Ma leggiamo Latouche: "All'origine delle carneficine deliranti del Terzo Mondo che spaventano i focolari e ci confermano nella persuasione della barbarie dell'Altro, si trovano le frustrazioni create dall'Occidente. 
Gli esempi sono innumerevoli: la pacifica Cambogia precipitata in un genocidio inaudito in seguito all'intervento americano, l'Iran privato della sua rivoluzione borghese di Mossadegh da un intervento angloamericano, fino al terrorismo cieco dei rapimenti, atti di pirateria, prese di ostaggi, provocato dall'incubo del Medio Oriente". Si, il fondamentalismo islamico; che è il nome nuovo che oggi si ama dare alla barbarie, è anche la risposta alla prepotenza dell'Occidente. E agli esempi addotti dal libro altri se ne potrebbero aggiungere, desumendoli dagli avvenimenti successivi: chi ha armato e gonfiato Saddam Hussein poi stilizzato a incarnazione suprema della Barbarie e del Male? E lo smembramento e i massacri che insanguinano la ex Jugoslavia sono veramente pensabili senza la rivalità di quelle grandi potenze che ora si apprestano a intervenire in nome al tempo stesso del Nuovo Ordine Internazionale e dell'Occidente? La molla dell'insaziabile espansione di quest'ultimo è da individuare soprattutto nel suo "dinamismo culturale". Rinviare alle caratteristiche economiche e politiche dell'imperialismo sembra inadeguato o fuorviante a Latouche, il quale pure riconosce che "l'orgia sanguinaria dei conquistadores, l'auri sacra fames degli avventurieri, fenomeni mai veramente scomparsi, [sono] ancora presenti nella rapacità delle imprese transnazionali, nella violenza dei mercenari o negli abusi degli esperti". Ma non sarebbe questo l'essenziale. Non solo viene respinta la spiegazione cara alla linea di pensiero che da Marx conduce a Lenin, ma il marxismo è considerato corresponsabile del processo di deculturazione del Terzo Mondo. In tale quadro viene collocata anche la vicenda storica dell'Unione Sovietica: "Qui lo sradicamento è stato pianificato. La deculturazione programmata per tutti i piani quinquennali. L'Occidente non ha colonizzato n‚ saccheggiato, n‚ distrutto le credenze, le consuetudini, i costumi, le opere. Che importa! I sovietici saranno i loro propri conquistadores. Le chiese e i conventi saranno rasi al suolo, i villaggi bruciati, le popolazioni deportate, i contadini, cioè il popolo, sterminati e sostituiti da uomini nuovi senza radici, senza legami con il suolo, il paesaggio, la natura, l'ambiente". 
Allora l'autore-guida nella denuncia dell'Occidente come inesorabile "macchina tecno-economica" è Heidegger, ripetutamente citato: la cosa ben si comprende se si riflette sul fatto che le parole chiave, da me già evidenziate col corsivo, sono "sradicamento", "credenze ", "consuetudini", "costumi", "radici" "suolo". Una volta messi in ombra i suoi contenuti economici e politici, il secolare processo di espansione delle grandi potenze europee finisce con l'apparire come l'espressione di una impersonale e planetaria volontà di dominio che, assieme alla natura e all'ambiente (altre due parole chiave della denuncia di Latouche), travolge, appiattisce e omologa le culture e i popoli che incontra nel suo cammino, e tutto ciò in nome di una "pretesa di universalità" così onnivora da sfociare nell'etnocidio e nel genocidio. È "l'avanzata del deserto": a questo punto, risulta obbligato l'incontro col filosofo di Messkirch. Singolare destino il suo: dopo aver proceduto negli anni trenta ad una celebrazione esaltata dell'Occidente e dell'"uomo occidentale", in contrapposizione agli "ottentotti" o ai "negri", dopo aver spiegato o giustificato, nel periodo immediatamente successivo al crollo della Germania, il suo incontro col Terzo Reich col suo senso di "responsabilità occidentale", oggi Heidegger assurge a filosofo della differenza e quindi a critico implacabile dell'eurocentrismo! 
Ma di questo paradosso non è responsabile Latouche, il quale intanto non è affatto isolato e per di più stimola ad approfondire un capitolo cruciale della storia del nostro tempo. La parabola di Heidegger prende le mosse dallo smascheramento dell'ideologia dell'intesa che ha giustificato e celebrato la prima guerra mondiale come una crociata mirante al trionfo della causa universale della democrazia e della pace, previa liquidazione del covo dei nuovi barbari ovvero dei "discendenti degli Unni e dei Vandali", individuato e denunciato nella Germania. In modo abbastanza trasparente, l'interventismo democratico dell'intesa si rivela il continuatore e l'erede dell'interventismo civilizzatore, cioè dell'ideologia che ha accompagnato e promosso l'espansione coloniale dell'Occidente. E tale ideologia della guerra che oggi celebra i suoi trionfi. Basti pensare a due recenti interviste di Popper che, in nome di quella che definisce la Pax civilitatis, chiama a nuove guerre contro i barbari, esprimendo persino il rammarico che le ex colonie siano state private "troppo in fretta e troppo semplicisticamente" della tutela dell'Occidente, col risultato, nella migliore delle ipotesi, di "abbandonare a se stesso un asilo infantile" . 
Latouche si era ben reso conto dell'emergere di tendenze di questo genere già qualche anno fa, e nel suo libro osserva come "molti nostalgici del colonialismo", rallegrandosi delle difficoltà e degli insuccessi dei paesi del Terzo Mondo, "denunciano l'abbandono del suo fardello da parte dell'uomo bianco e vedono in essi la giustificazione dell'ordine coloniale, ovvero la necessità, nell'interesse stesso dei poveri indigeni, di un ritorno in forze". Data la contiguità tra interventismo democratico e interventismo civilizzatore e data altresì la permanente vitalità di tale ideologia, si comprende che la denuncia dell'occidentalizzazione del mondo faccia riferimento ad autori tedeschi che, anche se hanno fatto loro stessi ricorso al pathos dell'Occidente e della sua funzione civilizzatrice per quanto riguarda il rapporto del loro paese, celebrato come "centro" e "cuore" dell'Europa, con l'Est europeo e i popoli coloniali, per un altro verso sono stati costantemente impegnati nella polemica contro l'interventismo democratico dell'Intesa e dei nemici della Germania. In tale contesto non può non svolgere un ruolo privilegiato la filosofia di Heidegger il quale, sia pure con accenti via via diversi, nel corso della sua tormentata evoluzione, decostruisce l'ideologia universalistica in quanto sinonimo di omologazione e massificazione, o, peggio, in quanto strumento di guerra e di dominio a livello planetario e persino nel rapporto tra uomo e natura. 
Ma per sfuggire all'infausta ideologia dell'interventismo democratico e civilizzatore che tanti massacri ha provocato e continua a provocare bisogna abbandonare al suo destino il Terzo Mondo, e con esso, la categoria di universalità? Il libro che stiamo esaminando sembra talvolta incline a tale soluzione. Che però è illusoria: sia pure scandita da disuguaglianze mostruose e crescenti, l'unificazione del mondo è in larga parte già avvenuta, anche a livello economico, e i paesi colonizzati e pauperizzati dall'Occidente possono sperare di uscire dal tunnel in cui sono stati cacciati solo attraverso una modifica a loro favore dei termini di scambio. D'altro canto, nonostante il "monopolio" occidentale e soprattutto statunitense del "mercato dell'informazione", giustamente messo in evidenza da Latouche, emerge sempre più chiaramente il ruolo che il prezzo del petrolio e il controllo delle fonti energetiche hanno giocato nella guerra del Golfo. Il dramma è che, nell'attuale quadro internazionale, non sembra esserci spazio per quella modifica dei rapporti di scambio e di potere che sola potrebbe metter fine alla morte per inedia di milioni di persone. 
Sul piano più strettamente filosofico, ci si può chiedere se è corretto leggere, sulla scia di Heidegger, in chiave tout court universalistica, l'ideologia che ha accompagnato e accompagna l'"occidentalizzazione del mondo". In realtà, il suo tratto saliente è la con figurazione dell'Altro come il barbaro, il sotto-uomo o il non-uomo, il rifiuto quindi della concezione universale dell'uomo. E al di qua di tale concezione universale dell'uomo resta anche chi si ostina a parlare del Terzo Mondo come di un "asilo infantile". Non amava Kipling definire i popoli coloniali "metà diavoli e metà bambini"? Certo, il disconoscimento dell'Altro può anche fare appello a presunti valori universali, ma in che cosa può consistere la loro critica se non nella chiarificazione del carattere arbitrario del procedimento che trasfigura in termini di universalità un contenuto particolare e spesso vizioso? Non è possibile mettere in discussione un'ideologia pseudo-universalistica senza far ricorso ad una meta-universalità, cioè ad un'universalità più ricca e più vera nella misura in cui è capace di riconoscere e rispettare le differenze. In questo senso la critica dell'occidentalizzazione del mondo non può fare a meno delle categorie li diritti dell'uomo in quanto tale, inteso cioè nella sua universalità), alla cui costruzione l'Occidente ha dato un contributo decisivo. Ed è questo, in ultima analisi, il punto di vista dello stesso Latouche, anche se non si può non condividere con lui la preoccupazione che tale riconoscimento finisca col rafforzare la falsa coscienza di paesi che pure si sono macchiati di genocidio e etnocidio e che tuttora sono ben lontani dal voler mettere in discussione nei fatti, sul piano culturale, politico e militare, il loro tradizionale atteggiamento di arroganza etnocentrica
Latouche Serge - Come si esce dalla società dei consumi (2011) 
http://www.datafilehost.com/d/1d29c9d5
Latouche riprende qui tutti i principali temi e le argomentazioni della sua riflessione sulla necessità di abbandonare la via della crescita illimitata in un pianeta dalle risorse limitate. Non si tratta, a suo giudizio, di contrapporre uno sviluppo buono a uno cattivo, ma di uscire dallo sviluppo stesso, dalla sua logica e dalla sua ideologia. Per questo è anzitutto necessario "decolonizzare l'immaginario", un compito di portata storica in cui si rivela essenziale il dialogo con i maestri della tradizione "libertaria", da Ivan lllich ad André Gorz e Cornelius Castoriadis. La stessa crisi attuale può essere vista, secondo Latouche, come una "buona notizia", se servirà ad aprire gli occhi sulla insostenibilità del "progresso" che l'Occidente ha realizzato fin qui. Per Latouche, infatti, la via della decrescita serena passa in primo luogo per una presa di coscienza del fatto che lo sviluppo è un'invenzione dell'uomo, e che il rapporto tra uomo e natura può essere rimodellato in una dimensione "conviviale", nel rispetto della legge dell'entropia e all'insegna di quella che egli chiama "opulenza frugale": meno consumi materiali e più ricchezza interiore, meno "ben essere" e più "ben vivere".
Latouche Serge - Come sopravvivere allo sviluppo (2011) 
http://www.datafilehost.com/d/8e12c5d4
Secondo Latouche, bisogna mettere in discussione i concetti di crescita, povertà, bisogni fondamentali, tenore di vita e decostruire il nostro immaginario economico, che è ciò che affligge l'occidentalizzazione e la mondializzazione. Non si tratta ovviamente di proporre un impossibile ritorno al passato, ma di pensare a forme di un'alternativa allo sviluppo: in particolare la decrescita condivisa e il localismo.
Latouche Serge - La scommessa della decrescita (2014) 
http://www.datafilehost.com/d/305d0cb4
Il termine "decrescita" suona come una scommessa o una provocazione, nonostante la generale consapevolezza dell'incompatibilità di una crescita infinita in un pianeta dalle risorse limitate. L'oggetto di questo libro è incentrato sulla necessità di un cambiamento radicale. La scelta volontaria di una società che decresce è una scommessa che vale la pena di essere tentata per evitare un contraccolpo brutale e drammatico. Bisogna ripensare la società inventando un'altra logica sociale. Ma qui si pone la questione più difficile: come costruire una società sostenibile, in particolare nel Sud del mondo? Bisogna quindi esplicitare i diversi momenti per poter raggiungere questo obiettivo: cambiare valori e concetti, mutare le strutture, rilocalizzare l'economia e la vita, rivedere nel profondo i nostri modi di uso dei prodotti, rispondere alla sfida dei paesi del Sud. Infine, bisogna garantire tramite misure appropriate la transizione dal nostro modello incentrato sulla crescita a una Società della decrescita. Tutti temi questi che già a vario titolo compaiono nell'agenda politica di molti paesi europei, tra cui la Francia e la Germania, e che anche in Italia cominciano a definirsi in un tutto organico. Questo libro ne è il manifesto teorico.
Latouche Serge - L'invenzione dell'economia (2011) 
http://www.datafilehost.com/d/42ac875c
I saggi pubblicati in questo volume indagano l'origine delle categorie e delle rappresentazioni economiche moderne tra XVII e XVIII secolo. Con questa ricerca storica si chiarisce come l'umanità contemporanea sia ossessionata dalla produttività, dal consumismo e dal concetto di crescita illimitata. Serge Latouche dimostra il carattere artificiale e innaturale dell'economia. L'economia viene "inventata" solo da un certo punto in poi della storia e si impone attraverso l'immaginario economico, l'utilitarismo e il mercato. Latouche pensa che nel pensiero dell'Occidente moderno, la ragione sostituisca del tutto la saggezza e diventi "razionalità calcolante" ovvero calcolo economico. Quando ci si occupa di esseri umani, osserva Latouche, la razionalità strumentale e calcolante (che può funzionare per acquistare in borsa), non basta più, perché si ha a che fare con dei valori: libertà, giustizia, equità. Un libro fondamentale per capire la modernità e affrontare la postmodernità.
Latouche Serge - L'economia è una menzogna (2014) 
http://www.datafilehost.com/d/40621431
erge Latouche racconta la sua vita spesa per una società diversa da quella che sta pagando duramente il prezzo delle proprie storture. Giovanissimo studioso, grazie a missioni di cooperazione in Africa e in Estremo Oriente apre subito gli occhi sulla scienza in cui si è formato: l'economia. Capisce che è la religione ufficiale del nostro tempo, e comincia a smantellarne i dogmi produttivisti e sviluppisti. Insomma, diventa "ateo". La scoperta dell'ecologia è poi per Latouche un passo decisivo verso il pensiero della decrescita. Fin dalla sua apparizione, la parola suona blasfema e ancor più adesso, nell'abisso della crisi, quando si continua a invocare la crescita come soluzione. È il grande abbaglio dello "sviluppo sostenibile", contro cui Latouche non smette di obiettare con tutta la forza dei suoi argomenti, diventati ormai parole d'ordine di vasti movimenti: prosperità senza crescita, abbondanza frugale, ecosocialismo. Decrescere significa in realtà far crescere tutto ciò che ci è negato da uno sviluppo forsennato: la gioia di vivere, la qualità dell'aria, dell'acqua e del cibo, la convivialità.
Latouche Serge - Per un'abbondanza frugale (2012) 
http://www.datafilehost.com/d/5f5cdb32
Che cos'è mai l'abbondanza frugale, oltre a un ossimoro che lega provocatoriamente due opposti, a un'ennesima parola d'ordine suggestiva e impraticabile? Se qualcuno replicasse così alla prospettiva di una convivenza capace di sobrietà non punitiva, verrebbe preso sul serio da Serge Latouche, e contraddetto con ottime ragioni. Agli argomenti di chi dissente da lui e dagli altri, sempre più numerosi, "obiettori'di crescita", il maggior teorico della decrescita dedica questo libro, ormai necessario dopo anni di malintesi, resistenze, travisamenti strumentali, accese controversie. Gli sviluppisti incrollabili, o gli scettici poco inclini a dar credito alle logiche antieconomiche, troveranno qui il repertorio delle loro tesi e delle loro perplessità, smontate una a una. Sarà difficile continuare a sostenere con qualche fondatezza che la decrescita è retrograda, utopica, tecnofoba, patriarcale, pauperista. La crisi devastante che stiamo vivendo la indica invece come l'uscita laterale dalla falsa alternativa tra austerità e rilancio scriteriato dei consumi. Un'abbondanza virtuosa, ci avverte Latouche, è forse l'unica compatibile con una società davvero solidale.
Latouche Serge - Usa e getta. Le follie dell'obsolescenza programmata (2013) 
http://www.datafilehost.com/d/8beb0462
Stampanti bloccate a orologeria, dopo diciottomila copie, o computer fuori uso allo scadere dei due anni: non siamo di fronte a una strana moria elettronica degna della fantascienza, bensì alla manifestazione più recente di un fenomeno che è parte integrante della società della crescita. Si chiama "obsolescenza programmata" e fa sistema con il nostro modo di produrre, di consumare, di pensare, di vivere. Significa che gli oggetti messi in vendita hanno una fragilità calcolata, tanto che la durata della garanzia coincide spesso con la loro vita effettiva. Impossibile ripararli. Vanno gettati e subito sostituiti con altri, ancora e ancora. Di questa illimitatezza malata, che ci avvolge sempre più nella spirale di iperproduzione, turboconsumo e immane scarto, Serge Latouche è l'oggi l'accusatore più conseguente. Con la sua capacità di infilzare le storture di un'economia di catastrofe, mette in sequenza gli antecedenti storici e fraudolenti dell'"usa e getta", ne smaschera la logica simbolica e indica una via d'uscita: una prosperità senza crescita, prospettiva frugale ma non pauperista che sappia decolonizzare la mente dall'imperialismo delle merci, e riprenda il passo umano della durevolezza, della riparabilità e del riciclaggio.
Latouche Serge, Cochet Yves, Dupuy Jean-Pierre, George Susan - Dove va il mondo. Un decennio sull'orlo della catastrofe (2013) 
http://www.datafilehost.com/d/753c21c7
Difficile sbagliare le previsioni a brevissimo termine, perché il futuro immediato è già qui. Meno coinvolgente il vaticinio su ciò che capiterà nel lungo periodo, quando non ci saremo più. Così la vera sfida è centrare i pronostici a medio termine. L’hanno persa con disonore coloro che appena l’altro ieri facevano a gara a rassicurarci sulla ripresa dell’economia mondiale. È da tutt’altra prospettiva che muovono quattro tra i maggiori «obiettori di crescita» nel ragionare sul decennio che ci aspetta. Serge Latouche, Yves Cochet, Jean-Pierre Dupuy e Susan George giudicano ineluttabile il declino dell’ordine economico neoliberale e non distolgono lo sguardo dal baratro che si sta spalancando. Anzi, tra loro c’è chi rivendica il «catastrofismo illuminato» come l’unico esercizio previsionale all’altezza della situazione. L’idea è che non si possa sfuggire all’alternativa: decrescita o barbarie.

1 commento:

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