The Strawberry Statement, ovvero 'la dichiarazione delle fragole': poco importano, al preside, le rivendicazioni studentesche, “Dirgli che abbiamo un'opinione nostra è come dirgli che ci piacciono le fragole”. Da qui il titolo del libro di James Simon Kunen e quello della pellicola di Stuart Hagmann, tradotti da noi, con licenza poetica, come Fragole e sangue.  Con un tempismo perfetto rispetto all'attualità del periodo - basti pensare agli episodi della Kent State e della Jackson State University -, nei cinema statunitensi il 1970 è un anno di rivolte studentesche, dato che, oltre a Fragole e sangue, escono in sala L'impossibilità di essere normale di Richard Rush e R.P.M. di Stanley Kramer (ai quali si potrebbe aggiungere, sia per le sue scene iniziali che per il legame con la Metro Goldwyn Mayer, anche Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni).
È evidente, con buona pace dei Thunderclap Newman, che ormai è Hollywood stessa a ripetere call out the instigator, tanto è vero che proprio la MGM produce Fragole e sangue: il sistema coglie l'occasione di realizzare film antisistema che cavalchino l'onda della controcultura, non tanto – o non solo – nell'ottica di un rinnovamento estetico, quanto, soprattutto, a livello di contenuti, poiché in ogni caso la contestazione offre la prospettiva di un buon ritorno economico.
Fragole e sangue è di certo l'irrinunciabile testimonianza di un'epoca, se non altro per gli studenti del Delta College e della Pacific Western in veste di comparse, gli scorci di San Francisco e la memorabile colonna sonora, ma a suo tempo, il film di Hagmann ha scatenato critiche feroci. Si rimproverava al regista, qui al suo primo lungometraggio, di aver furbescamente contaminato il film con trovate pubblicitarie, di aver mostrato studenti naïf animati da intenti confusi, di aver trasformato il protagonista del libro di Kunen, uno studente ebreo della Columbia, in un WASP californiano: di aver svilito, in sostanza, lo spessore della causa politica.
Tuttavia, per quanto il film possa essere considerato insincero, vale la pena una considerazione sul piano visivo, dal momento che le scelte stilistiche più eclatanti sono certo riconducibili alla pratica pubblicitaria, ma richiamano in ogni caso i precedenti tentativi di portare la psichedelia al cinema. Già, perché, anche se nel film alla droga a malapena si allude, scomodare la psichedelia permette di rendere inequivocabile il riferimento a un immaginario controculturale, imprescindibile punto di partenza per la definizione, sul piano formale, di una specificità politica adeguata al contesto.
Se, da un lato, i tagli di montaggio stranianti e i movimenti di macchina circolari non possono che richiamare film come Il serpente di fuoco o Easy Rider, dall'altro, laddove in pellicole più ambiziose da un punto di vista estetico emergevano elementi grafici o simbolici legati alla nuova generazione, in Fragole e sangue questi stessi elementi sono rivisitati ricorrendo al materiale umano, come nella scena in cui gli studenti, disposti in maniera geometrica, cantano in coro Give Peace a Chance. A conti fatti, magari non si potrà perdonare ad Hagmann l'uso sconsiderato dello zoom, ma bisogna pur riconoscere che, traducendo una formazione alla Busby Berkeley in un mandala di gruppo, ha potuto superare, sia pure per poco, la dimensione individuale in favore di quella collettiva, lasciando intravedere il vagheggiato traguardo che consiste nel fare un film politico in maniera politica.