sabato 27 aprile 2019

fatevi i gatti vostri n. 1273 "Livorno maggio 1972 -il libro dei siculi accenti" raccontata da Dino Ciampi

Strana quest' anno la primavera. Bobby da Londra mi parla di temperature estive. Qua piove quasi ogni giorno ma non mancano alcune ore di sole. L' umidità è piuttosto alta e si sta bene con la maglia a maniche corte  quando siamo in casa. Fuori un maglioncino e uno spolverino in nylon bastano.
Costanza è arrivata puntualmente e dato che la stanza di Bobby è libera l' abbiamo ceduta a lei e Dino.
Io e Z anza dormiamo nella mia. Al piano di sotto ci sono gli zii e Balena mentre salottino e cucina vengono usati per tutti i momenti sociali che vanno dalla prima colazione al dopocena.
Qualcosa è cambiato, inutile nasconderselo la festosa atmosfera che da un paio di anni animava le feste natalizie è lontanissima. Si sta bene, si mangia si beve, si discorre ma mancano due tessere importanti per completare il variegato mosaico animal-sociale del nostro gruppo. Esserino, presente in ogni nostro discorso, anche grazie alla sua Biblioteca ci ha portato via il suo inesauribile moto ovunque dovumque percumque (locuzione che coniò zia Dante due giorni dopo l'arrivo dei mici a Venezia.
L'altro grande assente resta lo zio che forse dai nostri resoconti potrebbe essere apparso quasi esagerato nel suo silenzio dopo anni ed anni di verve straripante.
In realtà lo zio non fa niente di diverso da quello che ha sempre fatto. Pensa al vino aiuta in cucina, accompagna con la barca chi di noi ne ha bisogno. Si è messo a preparare tutti i libri per l' inserimento in biblio e la sua scrivania ha assunto un aria ordinata ed efficiente.
Quello che ci manca è la sua voglia di narrare, di affabulare, di stupire. Lo zio nei suoi panni migliori è sempre stato elemento in grado di animare una serata anche da solo. Adesso è un uomo forte e buono che sembra sorvegliare la famiglia come un angelo custode ma senza prendervi parte. La zia mi ha detto: io ho sempre conosciuto questo suo aspetto è è quello che mi è sempre piaciuto di più ma mi mancano tutti i suoi difetti ho perfino sperato che mi entrasse sotto le lenzuola tutto sudato, cosa che mi faceva imbestialire ma nulla da fare profuma di bagnoschiuma e borotalco come un bambino.
Dino sostiene che fin da piccolo Dante abbia manifestato stranezze simili.

"Ricordo- mi racconta-  che al Liceo non avevamo voglia di studiare e sebbene andassimo bene sia in Latino che in greco, alle interrogazioni prendevamo sempre impreparato riserbandocidi fare una sfuriata alla fine e di pareggiare la media scritto orale. Una volta il professore di Greco che si chiamava Teofrasto Belvecchio, per noi tutti Teo, disse, rivolto a Dantino che era assorto nella contemplazione delle cosce di Katia: "facile far così Davini...! Affidarsi alla buona vena, al senso, della traduzione nei compiti e ridurre al minimo le fatiche dello studio della letteratura. Scommetto che se ti assicurassi che domani ti interrogherò  ti salveresti solo evitando di venire  a scuola con qualche scusa"
" Ci so dimorte più probabilità che  io  domattina possa arecitanni ir nono  libro dell' Odissea di quante n'abbia lei di dimmi a memoria la formazione del Livorno" rispose Dante. "Comunue accetto la scommessa,- proseguì- da domani mi pole interrogà quando gli pare e quante volte ni pare" . Poi chiese licenza per  andà a pisciare e, collì' occasione quella mattina sparì anche da scuola". All'epoca i telefonini un c'erano ma da Nado aveva lasciato detto che se ale volte l'avvesse cercato il su babbo pe aiutallo ala barca lo poteva trovà a Calafuria, così dopo mangiato pigliai la lambretta der mi babbo e andetti a vedé che cazzo facesse laggiùe. Era giù in fondo ali scogli, seduto, cor un libro in mano. Scesi e lui mi avvertì subito: "Bada Dino so ncasinato, mettiti lì e un rompe i coglioni che devo imparà sto cazzo di libro de siculi accenti". Mi pareva impresa difficile pe Ulisse stesso così ni risposi:  io invece vo a bé na birra diaccia  e a guardà le puppe dela barrista". Mentre mi perdevo tra quelle montagne di ciccia  d tra le quali una leggenda popolare voleva si potesse vedé perfino Marziglia, attaccò uno di que temporali  che a Livorno so ben noti e temuti, co dele bussate d'acqua che facevano impressione. Lo chiamai dall' alto pe accompagnallo a casa cola lambretta ma mi chiarì subito le su intenzioni: "levati dale palle devo finì di studià." Aveva il libro tutto fradicio in mano e declamava da solo mentre ni scorrevano addosso fiumi d'acqua e sebbene fosse fine aprile, propio come ora,  un era mica tanto caldo.
Il giorno dopo Belvecchio fece finta di pensare un po' al nome del condannato all' interrogazione e poi fingendo chissà quali rimembranze sentenziò : " Ah già Davini si era dichiarato disponibile! E Dantino s'alzo e andette ala cattedra.
"Leggere a pag 6 con metrica adeguata e traduzione rispettando come si deve accenti e spiriti" comandò Belvecchio e Dante, coll' occhi chiusi s' impostò come per   declamà. Ossia  assunse   in una tal  posa che se in vita sua pareva un avesse fatto altro che recità n greco antico.
Il professore ni ordinò di aprire il libro ma lui lapidario:
"un mi serve"
"Davini cominciamo con queste esibizioni? Dov'è il libro?"
Dante ando al banco tirò fuori un sacchettino e dentro c'era il libro ormai ridotto a una palla informe.
Lo aprì sula cattedra stirandolo cole dita e spargendo tutt'intorno l' acqua che sgocciolava,  poi si messe a tre metri di distanza cominciando a declamare.


Era chiaro che nessuno poteva leggere in quelle pagine ormai macinate da acqua e sale, tanto più da quella distanza. Eppure nato dancane  luilì une sbagliava manco uno spirito.
Obtorto collo Belvecchio dovette riconoscere che la performance era stata perfetta ma non seppe rinunciare al veleno:
"E allora ragazzi battiamogli le mani a questo fenomeno che qualora non trovasse posto nell' universo accademico lettere classiche avrà un ingaggio assicurato al circo".
Dante tornò a posto educatamente e quando il prof. chiese ancora inacidito: "e quanto pensi di meritare in questa interrogazione ?"
rispose umilmente
"spero di rientrare nela  sufficenza ma il professore è lei non mi permetterei mai"
"Mi pare che tu ti sia permesso abbastanza"
"Questo no pe mancanza di rispetto ma solo perché attiene ar fatto che  lei l' ha messa sul piano dela scommessa che un mi pare nrientri ne canoni ortodossi dell' insegnamento:
Lei ha scommesso che non ce l' avrei fatta a fare una certa cosa e io ho accettato la sfida. Guardi un ho nemmeno detto "si scommette un caffé" mi basta la soddisfazione di sapé che una mattina se mi piglia il bischero ni potrei chiede allei di fa  quello che ho fatto io e godo a penzà  che la costringerei a dassi malato".
Fu così che il miglior grecista del Liceo fu rimandato a settembre e l' unico che ni teneva testa , che era il sottoscritto Ciampi Aladino, ebbe la stessa sorte senza avé fatto un cazzo pe meritalla solo perchè a Livorno ma anche altrove si sa bene che  i somari tirano meglio appaiati che da soli".

Buona giornata da Dani

2 commenti:

  1. Oh l' oscena e terrifica immagine di quel libercolo che turbò i miei sonni di giovinetta. Finito il Liceo bruciai il vocabolario. Una stupenda ricostruzione questo felicissimo racconto del Ciampi e non ho dubbi che ci sia il 99% di verità.
    Bacioni
    Anna Ferrari

    RispondiElimina
  2. Ci voleva un raccontino di questa fatta
    Grazie Dino

    Giovanni Martinelli

    RispondiElimina

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