domenica 30 ottobre 2022

fatevi i gatti vostri 1962 "in fuga col Cristo" 2 ed ultima puntata dela saga dei Dal Rombo

Finarmente si rià l' ora normale. Un ne potevo più. Per me che mi levo ale 5 du ore e più di buio erano na rottura di coglioni ncredibile. No tanto pe la luce accesa che arza la bolletta. A quella ho trovato rimedio coi ledde attaccati a na batteria e la batteria a un pannellino solare sicché potrei sta anche tutta la notte a legge andano in culo all' Enelle e a tutti quelli che nazzicano cola corrente. Il fatto è quando vai fori ed è ancora tutto buio. Hai voglia te a mette lumini sula bicicletta, per chi corre in macchina col' occhi cispiosi e nelo stomaco l' urtimi rigurgiti naciditi dela cena di iersera, ammesso che li vedano so come i lumini da morto e siccome in questo caso manca il morto, spesso ci penzan loro a completà l' opera stiacciando il poro ciclista come fosse na merda ala fermata del tramme che quando smonti dar predellino la pesti anche coll' impeto naturale  delo scendere. Ora nvece che r covidde pare si sia rotto le palle di tormentammi e l' ora è tornata normale mi posso arzà di migliore umore ed'è già quarcosina, basta sta attenti a non accende la radio o latelevisione, sinnò il giramento di coglioni riprencipia subito.

Oggi mi so preso l' impegno di pubbricà la seconda ed urtima puntata dela mi ultima novella che poi più che novella è na vicenda vissuta o meglio na vicenda relata e poi doventata patrimonio storico dela memoria del Bar Nado. S'era dunque giunti a Beppe dal Rombo coevo di Don Luigi e di lì riprencipio:

Beppe dal Rombo tra quelli dela su genia era sortito il più pio di tutti ed essendo amico d'infanzia di Don Luigi quando questi era doventato prete gli si era attaccato ala tonaca e un lo mollava mai. Così quello che vi vengo a narrare deriva da una testimonianza certa e inoppugnabile. Beppe aveva sposata na ragazza che era figliola der capostazione di Calambrone e quando aveva chiesto conziglio a don Gigi se gli sembrasse na cosa oppurtuna di piglialla in moglie, il prete aveva detto "boia dé, Beppe, e sei ar confino co Pisa devi sta attento ar culo ma comunque la stazione appartiene ala città di Livorno nfatti si chiama Livorno Calambrone da un confondesi cor paese di Calambrone indove so pisani e dela peggio specie".

"No no- lo rassicurò Beppe- loro abitano propio nela stazione perché le ferrovie gli danno di diritto l' alloggio dato che è no scalo merci in mezzo ar nulla". Erravano tutti e due, Don Luigi perché, pur avendo diritto ad essere assistito dall' onniscente cartografia celeste  e dar sisde de celi (il servizio più segreto dela CIA e der KGB che grazie all' onniscenza sapeva i cazzi di tutti) non poteva rompere i coglioni ar Divino per avere notizie su na stazioncina di merda che lui del resto conosceva perché da ragazzo ci andava a rubbà le ciliege cor mi babbo e cor babbo der Ciampino. Bebbe, da parte sua, un c'era mai andato perché Luciana la topa gliela aveva data in macchina fori dala stazione di Livorno e lui s'era subito nnamorato e poco dopo n aveva fatto la proposta di matrimonio. Proposta quanto mai appropiata e dirrei necessaria perché du settimane dopo avegli spalancato le zampe, Luciana aveva prencipiato a gonfià essendo pregna di colui che sarebbe dovuto venì ar mondo nove mesi dopo pigliando il nome di Franco Dal Rombo. Franchino che poi è doventato prete col nome di don Franco e pare che pe une smentì la su genià doverse vecchine, che avevano avuto l' avventura di andà a fa cena coll' ostie, abbino sentito de rumori inequivocabili e perfino un certo tanfo da gasse mefitico ntorno all' altare. Ma torniamo a primordi:

Calambrone paesino che, come aveva ben detto Gigi è n rovincia di Pisa, fino ar sessanta ce l' aveva la su stazioncina che si chiamava Calambrone  mentre l' altra cui si è fatto riferimento esiste tuttoggi e si chiama Livorno Calambrone perché Calambrone è anche tutta un area geografica di riferimento che si colloca appunto tar le province di Pisa e Livorno.

Quando lei portò Beppe a conosce i sua a luilì gli prese n'accidente. Si rese immediatamente conto che  si trovava in territorio nemico e un poteva nemmeno più scappà perché, come s'è detto,  Luciana aveva prencipiato a gonfià come un dolce n forno. Si sposarono e durante la cerimonia il babbo di lei pe giustificassi co convitati der fatto che la unica gemma avesse pigliato un livornese s'addoperava tutto rtempo a riferilla così:

"Gaò è nato a Livorno ma su avi eran tutti di qui e allora pazienza l' importante è che andiano d'accordo e mi faccino subito un  nipotino bello e pisanello". 

Boia se gli faceva male lo stomaco a Bebbe a sentì quelle parole, ma un poteva bestemmià perché era religioso e se r signore aveva penzato di vergaglielo su pel culo a quella maniera, bisognava fà bon viso a cattiva sorte.

Di vaini Beppe n'aveva pochi o punti e così si dovvette accontentà anche dela casetta che portava n dote la su moglie, niente di che, tre stanzine striminzite davanti a un padule ma era di propietà e un c'era da pagà la pigione e allora pazzienza se anche la casa era ne dintorni di Calambrone provincia di Pisa. 

Le poche vorte che gli riesciva di arivà da Nado ecco che tutti lo pigliavan pelle mele e nvece der nobile attributo che i Dal rombo seran guadagnati a forza di scurreggioni tonanti a luilì gli ricordavan la su disgrazzia vociando appena lo vedavano: "O ragazzi è c'è Beppe!"  

"O Beppe chie?" domandava retoricamente quarcheduno dela congrega.

"Beppe Da Pisa no? O chi voi che sia?"

Doppo i primi bicchieri di vino o i primi ponci, se s'era d' inverno, Beppe prencipiava a doventà loquace e a sciorinà le su disavventure matrimoniali e soprattutto rendeva il barre edotto di quante e quali fossero le sorprese che s'era dovuto trovare ad affrontare una volta trasferitosi a casa dela moglie.

Intento si trombava quando diceva lei e lei un lo diceva mai e quando lui timidamente gli si accostava prencipiando a tastagli le mele cola speranza che leilì gli aprisse armeno  l' uscio davanti  lo rimbrottava acidamente:

"O Madonnina cara che ossessione! Ma un hai altro nel capo che la topa, gaò e sei di una monotonia che un si pole sopportà".

Lui si ritirava in bon ordine ma la cosa un feniva lì perche lei tra tutti i difetti che una donna pole avé possedeva quello der lamento a giornata. Un giorno gli doleva r capo, un giorno aveva la tosse, n'altro un poteva move un ginocchio e quell' altro ancora si sentiva la schiena stroncata.

Beppe pregava il Signore perché era un omo pio e preferiva pregà piuttosto che fassi scappà quarhe porcoddìo.

"O Signore - diceva-  tagliami na gamba ammé piuttosto che fa venì n' undia ncarnita allei. E un ce la posso fa Signore ammé m' avete dato l' ergastolo senza avé ammazzato nessuno".

Cercava di conzolassi un po' osservando r su figliolo, sperando che col crescere gli si potessero scorgere almeno alcuni tratti di quella livornesità della quale la su famiglia era sempre stata fiera. Ma r bimbo, pur essendo bono come r pane, somigliava tutto ala su mamma e peggio ancora ar su nonno capostazione, era venuto su grassottello e rosa rosa, cor naso a patata e l' occhi porcini. Frequentava l' oratorio e cantava ner coro co na bella vocetta ntonata ma dall' indubitabile calata pisana che faceva rabbrividì r poro Beppe ogni volta che lo sentiva. 

E la su moglie seguitava a sta male, era ngrassata tarmente da togliegli quarsiasi fantasia sessuale prima ancora che gli si formasse in mente. Lo redarguiva per qualsiasi cosa a cui lui mettesse mano e gli rinfacciava continuamente che senza i boni offici del socero un sarebbe stato nemmeno bono a trovassi un lavoro. Già... il lavoro: casellante in un casottino presso un passaggio a livello di campagna che un avrebbe avuto alcuna importanza se non si fossee guadagnato negli anni la nomea di  "passaggio dela morte" perché i contadini coi trattori e le macchine agricole dovevan per forza attraverzà quel varco e prima che le ferrovie mettessero la sbarra e r casellante era capitato tre volte che que pori biforchi fossero stati travolti da treni in corza. 

Stava lì dentro da solo, stiantando di cardo d'estate e diacciandosi d' inverno. Ntanto Franchino aveva fenito r seminario e s'apprestava a fassi prete e la su moglie era doventata così insopportabile che quando feniva r su orario ar casello a Beppe un gli faceva nemmeno voglia di ritornà a casa.

C'era sulla via per casa, i cui 4 chilometri Beppe copriva colla bicicretta, un  tabernacolo cor un Cristo in croce. Ala base, il muratore che lo aveva eretto, aveva avuto la bona ispirazione di creacci un angolo di mattoni pieni che formavano un comodo supporto per sedessi e Beppe, ogni sera, fermava la bici la appoggiava ala parete del tabernacolo, si metteva a sedé e si rivolgeva al Cristo: 

"Io lo so che lassù c'hanno da fa ed è difficile che ascortino un poro disgraziato come me, ma te, che lo sai cosa vole dì esse messo in croce per piacere se poi liberami dala mia... perché un ce la faccio più"

E na sera Beppe vide il Cristo sorridegli, poi gli sembrò che gli dicesse di avvicinarsi coll' orecchio e quando l' ebbe fatto, il Cristo, che grazie al celo aveva l' accento livornese, gli disse: "Beppe t'ho ascoltato e n'o parlato ar mi babbo. E si va via nzieme, tirami giù dala croce che anche io ne ho le palle strapiene di sta attaccato quassù pe affranda da peccati sti merdosi de tu simili". 

Beppe, con attenzione e devozione sfilò i chiodi dale mani e da piedi e gli parve che il Cristo si stirasse la braccia e dala rigidità der gesso, nel quale lo aveva sempre visto ngabbiato,  era come se rapidamente ir su corpo straziato ripigliasse na certa  consistenza muscolare. 

"E ce la fai a portammi in bicicretta?" gli chiese il Cristo.

"Boia se ce la fo! O indove si deve andà Gesù?"

" Prencipia a tornà ndietro verso tu casello". 

Beppe pedalava cor una  ndicibile  gioia nel cuore  "O come farò a raccontallo al barre?" si chiedeva. "Ah ma don Luigi mi deve  crede, lui è n'omo di fede un metterà in dubbio r mi racconto" e pigiava su pedali come fosse Bartali e ad ogni poco co na mano toccava dietro il Cristo che gli sussurrava "Vai Beppe vai".

L' ultimi trecento metri gli sembrarono na pista di decollo pe n' arioplano. Il Cristo aveva allargato le braccia e pareva fossero ali e lui mulinava que pedali come se avesse un motore nele gambe, "Boia dé! N fuga nzieme a Gesù Cristo o come avrebbe fatto a raccontallo?"

Lo raccontò al barre Don Luigi, al quale lo aveva riferito il maresciallo dei carabinieri che aveva fatto il sopralluogo: il macchinista all' ultimo momento aveva visto una bici attraversare il passaggio a livello che stranamente aveva la sbarra alzata, la bici giaceva come  un groviglio di pezzi di ferro scagliati a lato della ferrovia e tra le traversine e la selce del binario pezzi d'uomo mescolati a frammenti di gesso colorato erano tutto ciò che restava di Beppe del Rombo e del Cristo del tabernacolo. 

Ndr. Guasi come rispettosa accettazione di quella fuga a due il Cristo nel tabernacolo, atutt'oggi, non è ancora stato rimesso.

Bona Domenica

Dante




5 commenti:

  1. Non me la sento di stilare classifiche tra la produzione narrativa di Dante. Mi piace tutta e tantissimo ma in ogni caso questo racconto merita una menzione particolare per come le figure divine vengano così efficacemente rese partecipi alle vicende degli umani. Un po' come avveniva nell'antica mitologia. Il finale di questo raccontino poi mi pare davvero condotto con maestria. Bravissimo Dante voglio leggerne ancora tanti di questi pezzetti di storia rivisitata a tuo modo.
    Buona domenica a tutti
    Patty e Vale

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  2. Se si tratti di resoconto o di pura invenzione non so ma poco importa, Dante ci ha abituati a questo sua continua alternanza narrativa che conduce dal reale al surreale, al fantastico. Grazie alla sua arte affabulatoria, fatterelli che resterebbero mera cronaca di tempi e persone che furono, assumono una dimensione epica. Qui, come giustamente osserva la signora Patty, entra in ballo anche una mitologia cristiana con la Vergine che ci mostra la sua natura umana e il Cristo che insofferente di quella scomoda posizione fugge in bici dietro all' emulo di Gino Bartali. Le due puntate sono esilaranti e quasi ogni rigo è ricco di un humor inimitabile. Il finale è inatteso ma non tragico anche la corsa liberatoria contro la morte ci fa sorridere e quei resti umani mescolati ai pezzi di gesso del Cristo sono di una tenerezza indicibile.
    Se fosse possibile mi piacerebbe tanto ascoltare questa novella dalla viva voce di Dante.
    Buona Domenica
    Giovanni Martinelli

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  3. Ma così streghe le pisane? Il racconto è bellissimo e letto sarebbe ancora meglio.
    Buona domenica
    Luci

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  4. Mi associo a chi mi ha preceduto nel richiedere la lettura di questo incredibile racconto. Solo la voce di Dante potrebbe aggiungere qualcosa in più a questo pezzo d'arte narrativa.
    Grazie in anticipo
    Eliana

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  5. Busate evvi verà aprito, dimandate e visarà Dante. Disponimento dimé Serenisimo Gato Dogie

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