Con opera lenta e paziente sto cercando di ricreare in casa la vecchia serenità che al mio rientro da Livorno mi era parsa volata via, insieme a Balena. Purtroppo questo tempo freddo, che non ricordo di aver mai sentito in aprile inoltrato, non aiuta molto. Ieri ho trovato su un pezzo di carta da pacchi tutto stropicciato un manoscritto dello zio. Non avendolo mai udito prima ho pensato che fosse opera abbastanza recente.
Si tratta di una storia simil zen, di quelle che allietarono molte delle mie sere da ragazzina, quando con Bobby stavamo accanto alla stufa ad ascoltarlo. L'ho faticosamente letta e trascritta qui sperando che vi piaccia o vi faccia sorridere. Lo zio al posto dei nomi dei maestri zen ha messo solo le iniziali. Forse per non urtarne la suscettibilità. Pare che siano tremendi anche dall'aldilà. Ho rispettato la sua scelta.
Buona domenica a tutti
Dani
Il tatami meraviglioso.
Il famoso maestro zen T.N. viveva in una maniera così semplice e sobria da rasentare l'indigenza. I suoi abiti erano ormai logori, non portava calzature, la sua modestissima abitazione aveva il pavimento pieno di crepe e fessure in cui si annidavano formiche e altri insetti. Nondimeno era riconosciuto in tutta quella regione del Giappone come il più saggio e venerabile dei maestri. Molti erano i discepoli che lo frequentavano avidi dei suoi insegnamenti. Tra di essi, l'allievo G.Z. soffriva nel vedere le miserrime condizioni in cui versava un sì grande faro di saggezza e conoscenza e desiderava onorarlo donandogli qualcosa di consono alla statura morale di quel vecchio saggio. Non osava tuttavia intervenire tentando qualche restauro della casupola. Né si azzardava a donare una veste lussuosa. Penso così a qualcosa che non alterasse niente di ciò che il maestro aveva dintorno ma che almeno eliminasse alla vista le brutture di quel pavimento sconnesso e pieno di insetti. Si rivolse così ai migliori intessitori di stuoie e chiese loro di realizzare un grande tatami da pavimento cercando di tirar fuori quanto di più bello e stupefacente avessero mai creato. Ci volle quasi un anno ma quando il tatami fu pronto G.Z. rimase attonito in contemplazione. Non aveva mai visto niente di così bello: Il tatami comprendeva tre grandi mandala. Il numero tre voleva rappresentare probabilmente i tre tesori del buddismo. All' interno ogni mandala si suddivideva in altre tre mandala più piccoli che contenevano a loro volta altri 3 mandala minuscoli. Il meraviglioso stava nel fatto che nessuno riusciva a contare tutti i mandala presenti. Gli occhi e la mente perdevano la concentrazione e chi si era cimentato nell'impresa cadeva in una specie di trance. Se questa era la meraviglia prodotta a livello di effetti psicofisici, i tecnicismi usati non erano da mano, i milioni di pagliuzze costituivano mosaici perfetti e nessuno comprendeva come potessero stare insieme in una maniera così solida. Il costo fu salatissimo ma G.Z. veniva da una famiglia agiata e non gli pesò investire in quella meraviglia tutto quanto aveva come sua riserva personale. La notte prima del mattino in cui aveva programmato la consegna G.Z non riuscì a chiudere occhio. Temeva che qualcuno potesse rubare il tatami nonostante avesse assicurato il manufatto al suo polso con una corda e avesse messo a guardia i 6 cani posseduti dalla sua famiglia. Il mattino seguente, aiutato da due servitori, si recò alla dimora di T.N. e inginocchiandosi davanti al maestro srotolò il tatami dichiarando che era un dono per lui da parte del suo umile allievo. Il maestro fece un lieve cenno di ringraziamento con la testa, poi sempre col gesto ordinò ai due servitori di arrotolarlo e poggiarlo in un angolo. Gz non dormì neppure la notte seguente, pensava a quale destinazione avrebbe dato il maesto al suo meraviglioso tatami. Lui lo aveva pensato per coprire il pavimento ma forse il maestro vedendo quella meraviglia lo avrebbe appeso non volendo che alcuno lo calpestasse. Grande fu il suo dolore e la mortificazione quando il mattino seguente, recatosi alla casa del maestro vide la stuoia srotolata sull'aia antistante la casa. Per di più due maiali e un cane vi stavano stesi sopra. Il cuore batteva forte nel petto del giovane monaco e avrebbe voluto chiedere conto del motivo per cui il maestro l' avesse umiliato in quel modo. Non poteva però rivolgere una domanda così diretta. Certo TN avrebbe reagito a tale insolenza bastonandolo e cacciandolo dalla scuola. Così pensò di chiedere a H.K. un altro grande e venerato maestro che, però, non aveva ancora raggiunto lo status di T.N. Conosciuta la storia H.K. disse soltanto: "Se avessi ricevuto io quel tatami lo avresti trovato nella stanza del cesso" e lo licenziò con un gesto imperioso che non ammetteva repliche di sorta.
Il giovane continuava a non capire e volle fare un altro tentativo con R.T. maestro in ascesa, non ancora al livello degli altri ma che sapeva essere un po' più loquace.
"Mia povera zucca vuota- disse questi- come puoi tu interrogarti sull'operato del venerabile T.N.? Quale incredibile presunzione ti muove a ciò?"
"Il monaco balbettò: "io ...io.. volevo solo abbellire la sua casa rendendola degna della sua grandezza"
Il maestro lo fece ruzzolare a terra con un calcio nel sedere e lo bastonò ma essendo il più loquace degli interpellati gli pose tre domande affinché il giovane avesse la opportunità di aprire la sua povera zucca.
Come poteva egli aver pensato che una deliberata scelta di T.N. sul proprio modo di vivere potesse essere messa in qualche modo in discussione?
Come poteva pensare che il venerabile maestro potesse essere sensibile a tali sciocche ostentazioni?
Infine come poteva non comprendere che chi modifica la propria immagine o quella del proprio modo di vivere per mostrarla ad altri o per compiacerli, è come se cedesse ad essi un pezzo della propria libertà?
DDD
grazie del racconto, semplice e profondo
RispondiEliminaredcats
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