mercoledì 13 marzo 2013

fatevi i gatti vostri n. 506 " un raccontino di Dante"

Io la chiamo sindrome di Cecco. Ne soffro da sempre. C'è nel mio animo un velo di tristezza che ho sempre cercato di tenere ben dentro coperto bene sotto  le barzellette, i motti di spirito e tutto ciò che crea allegria. E che c'entra Cecco? Cecco era il clown di un piccolo circo che venne da noi quando ero ragazzino. Il tendone era piccolo, i leoni spelacchiati e le trapeziste avevano la cellulite (questo lo osservò la mi mamma ché io all'epoca di cosce di donna non me ne intendevo punto). Ma Cecco...Cecco era un fuoco d'artificio, saltava e cadeva, poi, da posizioni impossibili. si rimetteva in piedi giusto in tempo per sfornare battute micidiali. Ero molto attratto dai circensi e siccome lo spiazzo dove si erano sistemati distava al massimo 300 metri da casa mia, ero sempre in mezzo ai loro carrozzoni. Per di più, sebbene il circo vantasse un improbabile nome ungherese con molte w y s  k e z , il clown, delizia di noi ragazzi era nato proprio a Livorno e questa trasferta era per lui l'occasione di ritornare nella sua città. Una mattina vidi Cecco che sembrava dormisse. Almeno aveva la testa poggiata sulle mani e i gomiti sulle ginocchia, il tutto mentre sedeva sulla scaletta di una roulotte assai malandata. Dopo aver fatto visita ai leoni e alle scimmie che mi attiravano in modo particolare ripassai davanti a Cecco e lo vidi che si stropicciava gli occhi. "O Cecco" gli dissi " ho visto che sonnecchiavi...",
"no" mi fece lui" non dormivo, pensavo".
"Pensavi al numero di stasera?"
" No quello lo so a memoria, pensavo a cose che non so fare."
 Mentre parlava aveva ancora il viso sbaffato di cerone e gli occhi lucidi ma non pel trucco.
"Cose tristi?" feci io cogliendo quell'aspetto che l'uomo aveva prontamente dissimulato con un colpo di tosse e passandosi la mano sugli occhi.
"Cose della vita" mi rispose, con un tono così serio e grave che non l'avevo mai sentito. Non avevo sentito una voce così seria  nemmeno dal mi babbo, quando m'ero fatto beccare a vendere l' olivo benedetto. Quella volta l'avevo fatta grossa: Erano le Palme e io con alcuni complici avevo venduto, porta a porta, dei rametti di olivo provenienti dal mio ingegno ossia rimediati in campagna. Li avevamo anche benedetti, con una tazzina da caffè prestataci da Nado, il barrista) e riempita da Dino Ciampi nell'acquasantiera della chiesa. La vicenda e il fatto di esserne stato il promotore mi costò l'espulsione dalla squadra dell' oratorio,
nella quale giocavo col n.7, segnando al contempo quello che sarebbe stato il mio indirizzo politico. Il giorno dopo infatti giocavo sempre col 7 nella "stella rossa"
la temibile compagine che faceva capo alla casa del popolo gestita dal PCI. Poco importava che invece delle magliette gentilmente inviate al parroco dal Lanerossi Vicenza (le suore che si azzardavano a metter piede a Livorno pareva venissero tutte da Vicenza, da Verona e da Padova) avessi dovuto indossare una canottierina sgualcita e tinta di rosso dalle volontarie dell' UDI, ero un piccolo calciatore che aveva un mercato.
Mentre col pensiero ero riandato a quei fatti, all'epoca non troppo lontani, ero riamasto silenzioso e Cecco mi fece:" ci sei rimato male? Per quel che ho detto sulla vita intendo?".
Poi mi spiegò che aveva due figli ambedue infelici (a Livorno si usa quest'eufemismo per definire ogni tipo di problema gravemente invalidante, dalla cecità alla tetraplegia finanche alla demenza).
"E come fai Cecco a far ridere la gente se nel cuore hai questo peso gli chiesi?"
"Vieni" mi disse " ti insegno un trucco" e in un attimo aveva fatto un mezzo salto mortale e si era messo sulle mani coi piedi in alto. "Adesso ho capovolto le cose e in questa posizione mi viene facile far uscire i pensieri" e detto fatto sputò per terra un grumo di roba che non ebbi dubbi a identificare per i suoi pensieri. Poi si rimise in piedi e in quattro e quattr'otto mi sciorinò davanti un bel pezzo del suo repertorio. Io ridevo come un matto.
Dopo 5 o sei minuti Cecco mi chiese "Hai capito allora?".
"Certo basta che impari a camminare sulle mani e a sputare i pensieri".
Stavolta fu Cecco a ridere e rideva rideva,pareva non riuscisse a smettere. Io ridevo con lui trascinato da quell'euforia.
"Tu hai la battuta naturale" mi disse Cecco "ecco perché ho riso tanto ma quando sei sulle mani che succede?."
"Vedo il mondo da un altro punto di vista".
"Ci avevi mai pensato prima?" riprese Cecco
" No" dissi "ma quando è morto  di leucemia Lucianino che giocava a pallone con me ho cominciato a pensare che era andato a giocare in un posto bellissimo dove non si muore più e raccontavo agli altri che in sogno vedevo le sue partite e i tiri che aveva fatto e i gol che segnava. Don Enzo si è incazzato perché ho sostenuto che quel posto non era il paradiso ma la mi mamma ha detto che era vero e c'era il paradiso per chi struscia le panche e c'era anche  un mondo bello ed eterno senza troppi dii per quelli che in chiesa non ci vanno e m'ha detto anche che era stata contenta quando avevo venduto l'olivo benedetto ".
Quando ebbe saputo la storia dell' olivo Cecco mi strinse la mano così forte che mi fece male.

Poi entrò nella rulotte e tornò fuori stringendo in mano una medaglietta luccicante
"C'è anche un pochino d'oro dentro" mi disse, "a scuola, tantissimi anni fa ero il primo della classe e l' ho vinta facendo i meglio temi d'italiano per tutto un'anno".
Poi continuò:
"Bravo bimbo, ti auguro di diventare un dottore o un ingegnere ma sappi una cosa
tu sei nato clown, hai fatto ridere me caro mio e non è cosa da poco. Nelle nostre vite c'è la commedia che rappresentiamo e la tragedia che spesso nascondiamo dentro. Sarai amato dalle persone, ma ti troverai spesso solo, specie quando avresti bisogno di qualcuno che fa ridere te. Allora mettiti a testa in giù e ricordati di Cecco".

Non l'ho più visto ma la medaglia è ancora appesa sulla mia scrivania, c'è scritto ex schola vita, dalla scuola ...la vita e non credo che per me avrebbe potuto esserci miglior maestro di Cecco

5 commenti:

  1. Dante, questa è una truffa bella e buona: non è "un raccontino", sono TRE!
    Quella di Cecco è quasi una parabola, ma ti assicuro che la storia dell'olivo benedetto è altrettanto bella e la tua storia da calciatore altrettanto simbolica, allegorica e tutto questo genere di cose, soprattutto quando salta fuori che la tu' mamma era contenta (e anche il paradiso di tua madre, ora che ci penso, mi sembra un vero incanto).
    Quanto alla sindrome di Cecco, per certi versi è la nostra debolezza, ma per altri è la nostra forza. E di fprza ne serve a tutti in questa vita, e tanta.

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  2. A volte penso, Dante, che mi piacerebbe aver conosciuto al gente che hai conosciuto tu (ma anche quella che conosci ora). Mi sa che la mia vita sarebbe un po' più semplice, da almeno un punto di vista.

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  3. prendo un po' di forza
    mi serve
    grazie

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  4. il mio blog giace semi abbandonato, non scrivo quasi più
    non passo neanche più tanto a leggere i blog degli amici
    ma i vostri post li ricevo via mail e, anche se difficilmente commento, li leggo sempre anche se magari un pochino in ritardo...
    ciò detto, ieri era il mio compleanno e questa mattina leggere questo post è stato un regalo bellissimo, una lezione di vita stupenda...

    grazie Dante !

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